Giuseppe LigrestiPoesia |
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PASOLINI SU MARILYN MONROE (DA LA RABBIA)
Del mondo antico e del mondo futuro
era rimasta solo la bellezza, e tu,
povera sorellina minore,
quella che corre dietro ai fratelli piu' grandi,
e ride e piange con loro, per imitarli,
e si mette addosso le loro sciarpette,
tocca non vista i loro libri,i loro coltellini,
tu sorellina piu' piccola,
quella bellezza l’avevi addosso umilmente,
e la tua anima di figlia di piccola gente,
non hai mai saputo di averla,
perche' altrimenti non sarebbe stata bellezza
Spari', come un pulviscolo d’oro.
Il mondo te l’ha insegnata.
Cosi' la tua bellezza divenne sua.
Dello stupido mondo antico
e del feroce mondo futuro
era rimasta una bellezza che non si vergognava
di alludere ai piccoli seni di sorellina,
al piccolo ventre cosi' facilmente nudo.
E per questo era bellezza, la stessa
che hanno le dolci mendicanti di colore,
le zingare, le figlie dei commercianti
vincitrici ai concorsi a Miami o a Roma
Spari', come una colombella d’oro.
Il mondo te l’ha insegnato,
e cosi' la tua bellezza non fu piu' bellezza.
Ma tu continuavi ad esser bambina,
sciocca come l’antichita', crudele come il futuro,
e fra te e la tua bellezza posseduta dal potere
si mise tutta la stupidita' e la crudelta' del presente
te la portavi sempre dietro come un sorriso tra le lacrime
impudica per passivita', indecente per obbedienza.
Spari' come una bianca ombra d’oro.
La tua bellezza sopravvissuta del mondo antico,
richiesta dal mondo futuro, posseduta
dal mondo presente, divenne cosi' un male.
Ora i fratelli maggiori finalmente si voltano,
smettono per un momento i loro maledetti giochi,
escono dalla loro inesorabile distrazione,
e si chiedono: “E' possibile che Marilyn,
la piccola Marilyn ci abbia indicato la strada?”
Ora sei tu, la prima, tu la sorella piu' piccola, quella
che non conta nulla, poverina, col suo sorriso,
sei tu la prima oltre le porte del mondo
abbandonato al suo destino di morte.
PASOLINI:HORROR DREAMS
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Post n°33 pubblicato il 07 Gennaio 2012 da pierpaolopasolini3
Sdraiati su una stella fornicavamo, sfidavamo il dileggio farcendo le bocche d’una densa saliva, e nulla era così chiaro come il bagliore di quella luna.
Ah notte, divoravi l’aria, e tu, mia cara, lo senti ancora l’ansante respiro dimorare ai tuoi seni?
Nessun sangue poteva annerire il colore di un sogno, l’etere ci sembrava d’improvviso così vicino, ed estasiata affondavi i colpi, ed io ti incoronavo, divenivi d’un tratto grano per il mio campo, orchidea che ornava lo steccato;
ed io non ero più selvaggio e bianco e dorato ora apparivo, splendevo quasi dello stesso bagliore di quella luna.
Poi disumanamente si fece giorno. Ed il grano mutò in falce.
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Miei baci, scoloriti, invecchiati, danzate ancora come diavoli volanti sulle aureole delle peccatrici infanti?
Ah, come mi ricordo quando il murmure incessante delle foglie intonava la melodia dell’amore, e dopo ancora il vento, che mi alitava alle orecchie parole mortuarie.
Un pino, un grosso pino, svettava ai bordi dell’autostrada, come un fulmine sul cielo di Bahia, e io non lo vedevo nascere, lo vedevo sul retrovisore, svanire, poiché non ho mai visto nulla nascere ma tutto morire!
Vento, che mi aliti ancora all’orecchio parole mortuarie:
“Ho freddo questa notte e i miei pensieri tremano di sangue”.
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Non credere a un amore fisico, carnale, percepiscimi come amore etereo, consumerò ameni pensieri fra i sepolcreti delle mie visioni, mi vedrò sdraiato accanto alla tua figura ridotta a frantumi di specchio conficcati alle pareti del cervello. Crolla il tramonto per violentare notti, e tenebre, figlie di questo quotidiano stupro, verranno a sigillare il disamore. E lussuria campeggerà nell’atrio come le stridule voci dell’Inferno che designeranno vergini sentieri quando rinsecchite appariranno a te le mie passioni.
“Cercami o Morte”, e candido ti sembrerà il mio volto.
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Quanta gente si adagerà alla terra, come uno scoppio d’allegra morte, senza lasciare traccia, Parola, di quel feto seccato?
Sonnecchiando tra le polveri rimarrà adesso immortale a osservare il buio fitto di un rimorso, a veder fiorire agli angoli della bara le nere tele dei ragni che di lì a poco domineranno incontrastati in un regno non più Regno, |
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INFO
ATTESTATI DI MORTE
Leggere Attestati di Morte di Giuseppe Ligresti è un’esperienza odeporica, in cui il viaggio del Poeta assume tinte immaginifiche ed una consapevolezza che ci rimanda a Borges, quando scriveva che "la morte è un’usanza che tutti, prima o poi, dobbiamo rispettare". Ligresti possiede il dono di consegnarci dei versi che contengono solidi impasti, e chi è in grado di assaggiarli, saprà assaporare perfino i più dolci elementi – amalgamati con cura – nel suo panem amarum che costituisce Attestati di Morte.
Tratto dalla postfazione "Fino a farsi Luce" di Eugenio Patanè
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Amore, mio giovine emblema,
Tornato a dorare la terra,
Diffuso entro il giorno rupestre,
E' l'ultima volta che miro
(Appiè del botro, d'irruenti
Acque sontuoso, d'antri
Funesto) la scia di luce
Che pari alla tortora lamentosa
Sull'erba svagata si turba.
Amore, salute lucente,
Mi pesano gli anni venturi.
Abbandonata la mazza fedele,
Scivolerò nell'acqua buia
Senza rimpianto.
Morte, arido fiume...
Immemore sorella, morte,
L'uguale mi farai del sogno
Baciandomi.
Avrò il tuo passo,
Andrò senza lasciare impronta.
Mi darai il cuore immobile
D'un iddio, sarò innocente,
Non avrò più pensieri nè bontà.
Colla mente murata,
Cogli occhi caduti in oblio,
Farò da guida alla felicità.