Staighài PoiesisDall'antro del presente giungono antiche voci da dentro |
De Bello Hoc Nostro
è un componimento poetico narrante l'antica epopea di un popolo ora perduto, di cui non abbiamo traccia nella nostra storia, non possiamo risalire a queste antiche genti leggendo i testi sacri delle religioni umane perchè non vi è alcun'impronta che ci porti a sospettarne solo l'esistenza. Eppure quell'epoca è esistita, l'Uomo era Poeta e un giorno dovette dimenticarsi di se stesso, per proteggere il cuore stesso della Poesia: la sua Anima. Ogni Anima persa in questo mondo deve tornare a essere parte della Parola stessa, del soffio e del respiro uniuversale. Lo farà e torneremo di nuovo a fare poesia: da Uomini Liberi.
LA GUERRA E I GIGANTI
DE BELLO HOC NOSTRO
I
I Fantasmi di Aiarha
Nascosta nei libri della storia
La primavera avanzava
Il mondo guardava sull’orlo
Della fine il deserto
Che scompariva mentre
Molti salutavano all’ultimo giorno
Le stanche file disserrate che scomposte
Risalivano le montagne.
Dicevano: questa primavera lascio
Il deserto e vado nella montagna
Ma la montagna inghiottì
La notte mentre il sole vegliava
Sulle spalle della montagne
Quegli sgargianti soldati mentre
Nella montagna entrarono.
Ma dopo il mondo crollava
Precipitando, mentre rimaneva
A guardare le fila entrare nella montagna
Seduto, molti dissero: dì a mia madre
Che entrerò nella montagna
E che tornerò a primavera.
Avanti – si dissero – venti soldati
Mentre il sole iniziava il giorno
Senza cantare l’aurora al deserto
Il deserto era morto, e le dune violate
E sterili divenute alle stelle.
L’affanno e la sete la polvere
Delle via più antiche
Gli ammassi senza fine del vento
Al centro del deserto
Erano ormai senza più voce.
Intensi suoni di metalli
Librati nell’aria ora pervadevano
Queste scolorite sabbie addomesticate.
Paludi ora inghittirono al settimo
Giorno gli ultimi corpi liberi.
Al settimo giorno sono arrivati
E nella montagna è crollato il mondo.
In un giorno di primavera,
nascosti nei libri di storia
sono arrivati nel deserto
e per non morire di sete
hanno fatto montagne.
Il sole iniziò a non fare più male
Sulla pelle nuda dei bianchi
Pionieri del cielo puro.
E la fiamma inerme ci annunziò
La fine dei tempi
Vedemmo gli ultimi guerrieri inghiottirsi
Nella montagna.
Sole ascolta il mio ultimo canto
In questo lembo estinto di deserto
Se la mia voce ancora ricordi
Come io la tua ho ancora in me
Sole che uccidi chi non ferma la sua sete
Che non hai pietà per coloro
Persi nella via del fuoco
Che non temi i nuovi dei giunti
Dalle acque feconde di culle inaccessibili
Senti quando levano i loro inni
Al tuo specchio?
Ma possono loro sopportare
La tua ira a mezzoggiorno
Possono loro cantarti mentre incendi
Le iridi impietoso?
Possono amarti mentre nella tua insolenza
Non scendi a patti con alcun dio?
Ti prego sole bruciami adesso
Nel tuo rogo mi addormento
Ma non farmi scendere nella montagna.
Ascolta la mia poesia che si disperde
pioviscolando
Assieme alla sabbia ancora libera
Nell’ultima nebbia senza dio
Lasciami sperare assieme all’arida
Terra che non affogherò nell’ombra
Della montagna e che non avrò domani
Ma sarò per sempre ora.
Non darmi un lavoro, dammi il deserto
Non darmi onore fama e orgoglio
Dammi il deserto e il vento
Dammi il sale del mare che divora
La mia pelle, dammi la polvere
Delle ere di cui mi cospargo la mattina
Dammi le lacrime che salgono dal ventre
Gravido delle rocce rosse alla fine
Dei nostri racconti
Che dicono di essere poeti
Per combattere nelle notti senza ombra.
Dammi la forza di essere ancora
Menestrello di una corte senza re
Giullare senza porpora che comandi.
Guardami sole del deserto
cammino sulle orme di mio padre
Cercando mio madre
Mentre umile scende dal dorso della sera,
con l’otre dell’acqua a misura del mondo.
Donna che misura l’arco dell’universo
Con il passo nella polvere nebbiosa
Del mattino che le giunge chinandosi davanti.
Nella tana delle stelle i cacciatori
Hanno già fermato il tempo
Correndo contro le ombre dal passo stanco
Corrono per non essere visti dal deserto.
Nell’immensità si estingue l’ultima luce
E mia madre scompare attraverso
La bianca pelle del cacciatore
Che preme sulla mia pista
Venuto dal cielo, io corro veloce
Inseguito da una notte troppo insensata
Corro per tagliare la pista al cacciatore
Che va contro tempo
Ferma la luce
Corro per togliere il tempo
Corro per mia madre che lascia cadere
L’acqua infrangendosi l’otre
Sparge sangue.
DE BELLO HOC NOSTRO
II
Non per odio andammo a morir…
All’ultimo passo del sole nell’orizzonte
Sui nostri colli che docili accoglievano la luna
E le nevi in avvenire
Per tutto il cielo oggi rapisce la pace
Mille folgori balenano attraverso i nembi
Di battaglia come il sole inferocito canta sul deserto ora
Sole che vedi il giorno della guerra i irradi di sangue
Il caldo delle migliaia di corpi buttati sulle sabbie
Senza più respiro ne’ voce.
Ma queste voci che cadono sempre più giù
Attraversano l’abisso scavato da coloro
Che squarciarono il cielo e incendiarono l’aria
E ora cantiamo annebbiate memorie
Per non scordare i vostri nomi
Per non far dire che i fiori sono morti
Ma che altrettanti sono nati
Per non dire che la notte divampa
Ma per raccontare del sole
E di come questa primavera strozzata
Dalle menzogne di chi si agita
Dietro la luce spezzerà il rovente furore
di questo deserto, e molti morti
Ricorderanno di essere stati vivi
E non attenderanno le vostre ricurve prue
All’orizzonte come antichi sogni di gloria
Segneranno il settimo giorno
Gridando a tutti i cieli i loro nomi.
Uno ad uno li riconoscerete,
Attraverso i tempi incantenati,
Uno ad uno li avete ghermiti, ricordete.
E stravolta sarà la vostra vita
Quando file di gente tornata dalla morte
Vedrete s’avanza sgargiante attraverso la fine
Di tute le ere. Uno ad uno li ricorderete e li conterete
Ma distrutta la vostra fiamma sarà
Perché ciò che nasce Unico fugge i raggi
Del falso sole, e scempio del canto che faceste
Ricorderà, Unito nei migliaia di corpi crocifissi
Nel buio e nelle vostre macchine l’Uomo
Ricomincerà a cantare.
La terra dell’Uomo nessuno può più dividere
Sentirete il suo canto: lalalalà
Osservate la prima aurora laddove
Il buio è sconfitto
Annunciate questo nelle vostre abitazioni
E nelle vostre industrie: - Non è morto
Ciò che non deve morire non è morto
Ciò che è rinato -
Siete ora parte della nostra immensa vita
L’usura delle ere che fiaccati vi ha
Nel cuore che vi ha bevuto
Il sangue la civiltà ora è distrutta
Nessuno può cancellare
Il popolo che è sempre stato
La storia di Ilhymana
Datemi da bere mentre attraverserò le strade
Deserte alle porte del grande mare di sale
Ricordo di essere arrivato oltre i venti stridenti
A sessanta passi dalla fonte di tutti i mari
All’origine dell’acqua mentre combatto
Con ombre estranee alla ragione della mia razza
Mi dicono e mi hanno detto mi diranno
Che sono vermi d’altri inferni le razze nere
Mi diranno di passare su queste terre
Con neri stivali affogando in argomenti
Essenziali al destino di conduttori poco capaci
Che vengono dal ventre delle stelle e dicono
Di essere veri dei.
Mai come questa primavera siamo stati chiamati
Assieme al migrare delle rondini
Passando sui continenti senza più acqua
Puntati dai cacciatori chiusi nelle coperte
Color del fango per spezzare il nostro passo nel cielo
Ora passiamo ancora attraverso le porte
E fischiano nuovamente i proiettili
Stridono nel cielo e vengono dalla terra come funghi
Dopo la pioggia, s’appostano i cacciatori.
Non riuscimmo più a vedere allora
Colpiti agli occhi molti caddero
Interrompendo la marcia verso il nostro luogo
Molti vanno sempre più giù nella terra
E una melma di soda e calce li ricopre ora
Ma sanno coloro che sparano di non essere
Causa della nostra caduta,
Perché anche cadendo noi rinasciamo,
È il nostro volere e il nostro antico talento.
Vi siano cacciatori pure sulla nostra rotta
Perché nel loro esistere capiamo
Ancora il nostro ritorno.
Ilhymana canta l'esperienza
Un maledetto parlare giunge a noi
E non va oltre lo specchio
Illuminandosi a fasi lunari
Mentre ricordavamo i nostri passi
Ai conifni di mondi stranieri
Per narrarci le storie dei fratelli
Sparsi sui mari e nei cieli a trovarsi nuove vie
Per passare oltre gli stretti di buona speranza
E arrivare ai cancelli del profondo
A cavallo delle procelle
e fischiando assieme al vento assassino
Passiamo oltre le tempeste
Ridendo di anitche storie funeste
Che hanno mangiato il pensiero
Ai vecchi abitatori di quest’isola
Ora noi passiamo e capiamo ancora
Che erano solo detti di vecchi pazzi
Senza senno, ma noi abbiamo perso ora
La memoria che ci ridiamo dei vecchi?
Ci trasporta il vento dei sessanta stridenti
Verso l’origine del sud, passiamo
A cavallo del capo horn
E rinasciamo dopo essere statio inghiottiti
Dalle urla delle onde
Che smisurate sono ingrassate di loro sfrenata corsa
Per essere smisurati archi di volta
E inghiottirci nelle cupole degli abissi
Ma ora ci ridiamo di quello che è
E i vecchi non sono che voci d’oltremare
Verso terre rumoreggianti di marea e spuma bianca
Possiamo raggiungere le terre d’oltremare,
Ma per ora la navigazione ci diverte.
Procediamo lenti trascinati da un gementi venti
Che lagnano la lentezza delle nuvole
Mentre scoprono il cielo.
E noi cantiamo loro che le stelle sono venti diversi.
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BALLATA...
BALLATA DEL FALCO E DEL CONFESSORE
Era l’undici giugno di questa triste epoca
Quando entra nella città il confessore
Il confessore di un dio lontano
Espressione di un paese senz’anima
Entra nella capitale il dio della vecchia corte
Il confessore non è per sua natura
Tenero di cuore e manda a morire
Mondi interi che reclamano la loro innocenza
Ma il confessore non è tenero di cuore
E manda a morire mondi interi, pieni d’eroi
gagliardi che gridano : Viva la nostra innocenza
ma il confessore serve un dio lontano
che arde in un mondo senza vergini impenitenti
continua qui:
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