Recenti uscite di un esponente politico della maggioranza in materia di immigrazione e di cittadinanza hanno suscitato non poco scalpore e tanto entusiasmo da parte dei terzomondisti di casa nostra. Negli scorsi giorni poi, è continuato sulla terza rete Rai la massiccia campagnia mediatica a favore degli immigrati: in "Che tempo che fa" un gioioso Gad Lerner, davanti ad un ammirato Fabio Fazio, sollenemente affermava la assoluta inutilità e stupidità della parola e del concetto di "clandestino", dicendosi orgogliosamente e fanciullescamente cittadino del mondo. Nei telegiornali di Rai Tre, che qualunque spettatore di media intelligenza, non può non considerare i migliori del panorama televisivo italiano, quanto a taglio giornalistico e preparazione culturale e professionale degli inviati, ieri c'erano ben tre servizi, andati in onda uno dietro l'altro, in cui si affermava senza possibilità di dubbio, che gli immigrati sono tutti bravi e buoni e sono tutti disponibili alla integrazione. Fra parentesi, a fronte di questa alluvione di notizie pro-stranieri, c'era sullo stesso telegiornale solo un piccolo servizio cha dava conto della paura della popolazione di certe piccole cittadine del nord, ove si sono verificati terribili episodi di violenza ai danni di giovani donne autoctone, episodi perpretati da integrati immigrati (?!).Vabbeh, almeno non possiamo dire che l'Italia sia razzista - chi lo dice è in mala fede, non ci sono dubbi!Dimostrato inconfutabilmente ciò, vorrei sommessamente far notare i rischi di questo trionfalismo di integrazione e di buonismo, riportando il lucido articolo di Angelo Panebianco (www.corriere.it), invitando a ragionare con la propria testa e cercando di non lasciarsi condizionare più di tanto dalla sbornia terzomondista e buonista di certi politici e di certi mass-media. Siamo realisti, almeno un pò, per favore e consideriamo anche questo pericolo, in fondo non tanto lontano. Eppoi, diciamoci la verità senza ipocrisia: NON TUTTI I MIGRANTI SONO CATTIVI, MA TROPPI CATTIVI SONO MIGRANTI. SE L'ISLAM DIVENTA PARTITOLa politica democratica è strutturalmente vincolata a un orizzonte di breve periodo. La natura del sistema democratico spinge gli uomini politici ad occuparsi solo dei problemi che agitano il presente. Le altre grane, quelle che già si intravedono ma che ci arriveranno addosso solo domani o dopodomani non possono essere prese in considerazione. A differenza di ciò che fa la migliore medicina, la politica democratica non si occupa di prevenzione. Se così non fosse, una notizia appena giunta dalla Spagna dovrebbe provocare grandi discussioni entro le classi politiche di tutti i Paesi europei, Italia inclusa. La notizia è che, come era prima o poi inevitabile che accadesse, c’è già su piazza un partito islamico che scalda i muscoli, che è pronto a presentarsi con le sue insegne nella competizione elettorale di un Paese europeo. Si tratta del Prune, un partito fondato da un noto intellettuale marocchino, da anni residente in Spagna, Mustafá Bakkach. Ufficialmente, il suo intento programmatico è di ispirarsi all’islam per contribuire alla rigenerazione morale della Spagna. In realtà, cercherà di difendere e diffondere l’identità islamica. Avrà il suo battesimo elettorale nelle elezioni amministrative del 2011. Se otterrà un successo, come è possibile, solleverà un’onda (ce lo dicono i flussi migratori e la demografia) che attraverserà l’intera Europa. L’effetto imitativo sarà potente e partiti islamici si formeranno probabilmente in molti Paesi europei. A quel punto, la strada della auspicata «integrazione» di tanti musulmani che risiedono in Europa diventerà molto ripida e impervia. Perché? Perché la scelta del partito islamico è la scelta identitaria, la scelta della separazione, dell’auto- ghettizzazione. Si potrebbe anche dire, paradossalmente, che quando nasceranno i partiti islamici sarà possibile valutare davvero quale sia, per ciascun Paese europeo, il reale tasso di integrazione dei musulmani. Perché è evidente che il musulmano integrato (per fortuna, ce ne sono già moltissimi), quello che vive quietamente la sua fede e non ha rivendicazioni identitario-religiose da avanzare nei confronti della società europea in cui risiede e lavora, non voterà per il partito islamico. A votarlo però saranno comunque molti altri, sia per adesione spontanea (in nome di un senso di separatezza identitaria) sia a causa della pressione degli ambienti musulmani che frequentano.Al pari del partito islamico spagnolo, si capisce, ogni futuro partito islamico europeo dichiarerà (e non ci sarà ragione di credere il contrario) di rifiutare la violenza. Non potrà infatti rischiare (pena il fallimento del progetto politico) vicinanze o contaminazioni con cellule terroriste più o meno attive o più o meno dormienti in Europa. Ma ciò non toglie che l’ideologia dei partiti islamici sarà comunque quella tradizionalista/ fondamentalista.Sarà l’ideologia della cosiddetta Rinascita islamica, impregnata di valori antioccidentali e, alla luce del metro di giudizio europeo, illiberali. Si tratterà di forze illiberali che useranno la politica per strappare nuovi spazi, risorse e mezzi di indottrinamento e propaganda. Per questo, il loro ingresso nel mercato politico-elettorale europeo bloccherà o ritarderà a lungo l'integrazione di tanti musulmani. Che fare? La politica democratica non può facilmente difendersi da questa insidia. Però le possibilità di successo o di insuccesso dei partiti islamici nei vari Paesi europei dipenderanno da un insieme di condizioni.Conteranno certamente anche le maggiori o minori chances che ciascun singolo musulmano avrà di ben inserirsi nel lavoro, e di poter accedere, per sé e per la propria famiglia, a condizioni di benessere (ma guai a credere che basti solo questo per annullare le spinte identitarie). Conteranno anche, e forse soprattutto, le caratteristiche istituzionali dei vari Paesi europei. Si difenderanno meglio, io credo, le democrazie dotate di sistemi elettorali maggioritari (che rendono difficile l’ingresso di nuovi partiti) rispetto a quelle che usano l’una o l’altra variante del sistema proporzionale.La Gran Bretagna ha commesso errori colossali con la sua politica verso l’immigrazione musulmana. Il suo scriteriato «multiculturalismo» ha finito per consegnare all’Islam, e anche all’Islam più radicale, importanti porzioni del suo territorio urbano (al punto che oggi la Gran Bretagna deve persino fronteggiare il fenomeno dei numerosi cittadini britannici, di lingua inglese, che combattono in Afghanistan insieme ai loro correligionari talebani). Tuttavia, quegli errori sono forse ancora rimediabili. Il sistema maggioritario rende infatti molto difficile l’ingresso nel mercato politico britannico di un partito islamico. Diverso è il caso dei Paesi ove vige la proporzionale nell’una o nell'altra variante: l'ingresso è relativamente facile e la politica delle alleanze e delle coalizioni, tipicamente associata ai sistemi proporzionali, garantisce influenza e potere anche a piccoli partiti. Una circostanza che i futuri partiti islamici potranno sfruttare a proprio vantaggio. Da antico, e non pentito, sostenitore del sistema maggioritario penso che quella qui descritta rappresenti una ragione in più per adottarlo.
SE L'ISLAM DIVENTA PARTITO
Recenti uscite di un esponente politico della maggioranza in materia di immigrazione e di cittadinanza hanno suscitato non poco scalpore e tanto entusiasmo da parte dei terzomondisti di casa nostra. Negli scorsi giorni poi, è continuato sulla terza rete Rai la massiccia campagnia mediatica a favore degli immigrati: in "Che tempo che fa" un gioioso Gad Lerner, davanti ad un ammirato Fabio Fazio, sollenemente affermava la assoluta inutilità e stupidità della parola e del concetto di "clandestino", dicendosi orgogliosamente e fanciullescamente cittadino del mondo. Nei telegiornali di Rai Tre, che qualunque spettatore di media intelligenza, non può non considerare i migliori del panorama televisivo italiano, quanto a taglio giornalistico e preparazione culturale e professionale degli inviati, ieri c'erano ben tre servizi, andati in onda uno dietro l'altro, in cui si affermava senza possibilità di dubbio, che gli immigrati sono tutti bravi e buoni e sono tutti disponibili alla integrazione. Fra parentesi, a fronte di questa alluvione di notizie pro-stranieri, c'era sullo stesso telegiornale solo un piccolo servizio cha dava conto della paura della popolazione di certe piccole cittadine del nord, ove si sono verificati terribili episodi di violenza ai danni di giovani donne autoctone, episodi perpretati da integrati immigrati (?!).Vabbeh, almeno non possiamo dire che l'Italia sia razzista - chi lo dice è in mala fede, non ci sono dubbi!Dimostrato inconfutabilmente ciò, vorrei sommessamente far notare i rischi di questo trionfalismo di integrazione e di buonismo, riportando il lucido articolo di Angelo Panebianco (www.corriere.it), invitando a ragionare con la propria testa e cercando di non lasciarsi condizionare più di tanto dalla sbornia terzomondista e buonista di certi politici e di certi mass-media. Siamo realisti, almeno un pò, per favore e consideriamo anche questo pericolo, in fondo non tanto lontano. Eppoi, diciamoci la verità senza ipocrisia: NON TUTTI I MIGRANTI SONO CATTIVI, MA TROPPI CATTIVI SONO MIGRANTI. SE L'ISLAM DIVENTA PARTITOLa politica democratica è strutturalmente vincolata a un orizzonte di breve periodo. La natura del sistema democratico spinge gli uomini politici ad occuparsi solo dei problemi che agitano il presente. Le altre grane, quelle che già si intravedono ma che ci arriveranno addosso solo domani o dopodomani non possono essere prese in considerazione. A differenza di ciò che fa la migliore medicina, la politica democratica non si occupa di prevenzione. Se così non fosse, una notizia appena giunta dalla Spagna dovrebbe provocare grandi discussioni entro le classi politiche di tutti i Paesi europei, Italia inclusa. La notizia è che, come era prima o poi inevitabile che accadesse, c’è già su piazza un partito islamico che scalda i muscoli, che è pronto a presentarsi con le sue insegne nella competizione elettorale di un Paese europeo. Si tratta del Prune, un partito fondato da un noto intellettuale marocchino, da anni residente in Spagna, Mustafá Bakkach. Ufficialmente, il suo intento programmatico è di ispirarsi all’islam per contribuire alla rigenerazione morale della Spagna. In realtà, cercherà di difendere e diffondere l’identità islamica. Avrà il suo battesimo elettorale nelle elezioni amministrative del 2011. Se otterrà un successo, come è possibile, solleverà un’onda (ce lo dicono i flussi migratori e la demografia) che attraverserà l’intera Europa. L’effetto imitativo sarà potente e partiti islamici si formeranno probabilmente in molti Paesi europei. A quel punto, la strada della auspicata «integrazione» di tanti musulmani che risiedono in Europa diventerà molto ripida e impervia. Perché? Perché la scelta del partito islamico è la scelta identitaria, la scelta della separazione, dell’auto- ghettizzazione. Si potrebbe anche dire, paradossalmente, che quando nasceranno i partiti islamici sarà possibile valutare davvero quale sia, per ciascun Paese europeo, il reale tasso di integrazione dei musulmani. Perché è evidente che il musulmano integrato (per fortuna, ce ne sono già moltissimi), quello che vive quietamente la sua fede e non ha rivendicazioni identitario-religiose da avanzare nei confronti della società europea in cui risiede e lavora, non voterà per il partito islamico. A votarlo però saranno comunque molti altri, sia per adesione spontanea (in nome di un senso di separatezza identitaria) sia a causa della pressione degli ambienti musulmani che frequentano.Al pari del partito islamico spagnolo, si capisce, ogni futuro partito islamico europeo dichiarerà (e non ci sarà ragione di credere il contrario) di rifiutare la violenza. Non potrà infatti rischiare (pena il fallimento del progetto politico) vicinanze o contaminazioni con cellule terroriste più o meno attive o più o meno dormienti in Europa. Ma ciò non toglie che l’ideologia dei partiti islamici sarà comunque quella tradizionalista/ fondamentalista.Sarà l’ideologia della cosiddetta Rinascita islamica, impregnata di valori antioccidentali e, alla luce del metro di giudizio europeo, illiberali. Si tratterà di forze illiberali che useranno la politica per strappare nuovi spazi, risorse e mezzi di indottrinamento e propaganda. Per questo, il loro ingresso nel mercato politico-elettorale europeo bloccherà o ritarderà a lungo l'integrazione di tanti musulmani. Che fare? La politica democratica non può facilmente difendersi da questa insidia. Però le possibilità di successo o di insuccesso dei partiti islamici nei vari Paesi europei dipenderanno da un insieme di condizioni.Conteranno certamente anche le maggiori o minori chances che ciascun singolo musulmano avrà di ben inserirsi nel lavoro, e di poter accedere, per sé e per la propria famiglia, a condizioni di benessere (ma guai a credere che basti solo questo per annullare le spinte identitarie). Conteranno anche, e forse soprattutto, le caratteristiche istituzionali dei vari Paesi europei. Si difenderanno meglio, io credo, le democrazie dotate di sistemi elettorali maggioritari (che rendono difficile l’ingresso di nuovi partiti) rispetto a quelle che usano l’una o l’altra variante del sistema proporzionale.La Gran Bretagna ha commesso errori colossali con la sua politica verso l’immigrazione musulmana. Il suo scriteriato «multiculturalismo» ha finito per consegnare all’Islam, e anche all’Islam più radicale, importanti porzioni del suo territorio urbano (al punto che oggi la Gran Bretagna deve persino fronteggiare il fenomeno dei numerosi cittadini britannici, di lingua inglese, che combattono in Afghanistan insieme ai loro correligionari talebani). Tuttavia, quegli errori sono forse ancora rimediabili. Il sistema maggioritario rende infatti molto difficile l’ingresso nel mercato politico britannico di un partito islamico. Diverso è il caso dei Paesi ove vige la proporzionale nell’una o nell'altra variante: l'ingresso è relativamente facile e la politica delle alleanze e delle coalizioni, tipicamente associata ai sistemi proporzionali, garantisce influenza e potere anche a piccoli partiti. Una circostanza che i futuri partiti islamici potranno sfruttare a proprio vantaggio. Da antico, e non pentito, sostenitore del sistema maggioritario penso che quella qui descritta rappresenti una ragione in più per adottarlo.