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La strage di Alessandria d’Egitto


 
 IL FRONTE ROVESCIATO    La strage di Alessandria d’Egitto gonfia il fiume di sangue alimentato dall’odio con­tro i cristiani nell’anno appena trascorso. Se­gnando l’inizio del 2011 con lo stesso, im­placabile cinismo di un tiro al bersaglio con­dotto sotto gli occhi distratti e indifferenti dei grandi del mondo. Colpi veri, confusi coi mi­lioni di falsi che nelle stesse ore salutavano l’arrivo del nuovo anno, quasi ad aumentare la distanza tra la realtà di una tragedia che pare ormai infinita e la finzione di chi si osti­na a non vedere. Troppi brindano all’anno che viene senza far caso alle macchioline di sangue schizzate anche sui loro bicchieri. Che sia un anno felice. Non lo sarà per tutti. Natale e Capodanno non hanno rallentato gli assassini. Con asciutto realismo, si po­trebbe dire che hanno solo facilitato loro il compito, lasciando l’imbarazzo della scelta tra migliaia di bersagli inermi. E nel contra­sto raggelante tra la tragedia e la festa, si rag­grumano i due «estremi negativi» della sfida «drammaticamente urgente» della libertà re­ligiosa, così come Benedetto XVI ce l’ha ri­proposta nella Giornata Mondiale per la pa­ce: da una parte il fondamentalismo, che la religione vorrebbe imporla con la forza, dal­­l’altra il laicismo, che al contrario vorrebbe «in modo spesso subdolo» emarginarla, e ridur­la a fatto privato e minimale. Avrebbe potuto essere facile, e perfino 'pro­duttivo' – nel senso attribuito a questo ter­mine dalle moderne leggi del marketing – sfruttare opportunisticamente le ripetute uc­cisioni dei cristiani. Insistere solo e soltanto sul dato di un cristianesimo assediato e mi­stificato, continuamente minacciato da un odio tanto più feroce quanto più incapace di svuotare le Chiese perseguitate e di tappare le bocche ai pastori. Cristianofobia, l’hanno chiamata: termine entrato proprio alla vigi­lia di Natale anche nel lessico di Papa Rat­zinger. Che dunque non ignora che questa drammatica realtà esiste. Ma sa che è parte – certo, enorme – della stessa sfida, figlia di quegli stessi «estremi negativi».  Tanto più allora suona profetico, in questi momenti, l’annuncio di Benedetto XVI di vo­lersi ritrovare il prossimo ottobre ad Assisi, a venticinque anni dalla prima convocazione da parte di Giovanni Paolo II, con i leader di tutte le religioni per «rinnovare solenne­mente l’impegno dei credenti a vivere la pro­pria fede religiosa come servizio per la cau­sa della pace». È la contro-sfida lanciata da un lato ai seminatori di odio e di indifferen­za, dall’altro ai luoghi comuni e alle troppe ignoranze, nella certezza che «chi è in cam­mino verso Dio non può non trasmettere pa­ce », e che «chi costruisce pace non può non avvicinarsi a Dio».  È il rovesciamento del fronte. La risposta a chi abusa del nome di Dio per ragioni che nulla hanno a che fare con Dio, per umi­­liare, discriminare, uccidere. La risposta a chi pensa che un pater, ave, gloria tra le mu­ra di casa lo si possa – e magari, perché no, lo si debba – tollerare, ma che un crocefis­so esposto sia un’offesa. «Estremi negativi» di una stessa visione della convivenza che, mentre rifiuta la piena e vera espressione della libertà personale, di cui quella reli­giosa è il fondamento, nega la possibilità stessa del con-vivere, che nella ricchezza data dalle diversità ha costruito nei secoli la civiltà. Condannando la società che vor­rebbe difendere a chiudersi in se stessa e, dunque, a morire.  Tornando nel 1993 ad Assisi, per pregare con i capi religiosi per la pace nei Balcani, Gio­vanni Paolo II, ricordando il precedente del 1986, invitò a affidarsi ancora una volta «al Signore della storia, il quale ci ha dato dei segni, anche tangibili, di averci ascoltato». È con questo stesso spirito che Benedetto XVI tornerà ad Assisi. Certo che, ancora una vol­ta, il Signore ascolterà. www.avvenire.it Salvatore Mazza