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Diario politicamete scorretto di un catto-democratico.

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strage in Norvegia

Post n°200 pubblicato il 25 Luglio 2011 da diefrogdie
 

Strage in Norvegia

Il killer che ha insanguinato la Norvegia è semplicemente un folle, come la setta che ha sparso il gas nervino a Tokyo, chi ha distrutto un edificio federale a Oklahoma City, il reverendo Jim Jones che fece suicidare novecento persone, gli adepti della strage di Waco o Unabomber.

Assegnare all'assassino norvegese patenti intellettuali è una paranoia giornalistica, una forma di nobilitazione della vanità assassina.

Ha ben detto il padre di Brevik: "Avrebbe dovuto uccidersi.

Giulio Meotti - www.http://www.ilfoglio.it/zakor/880

 
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ONORE AI CADUTI PER LA LIBERTA'

Post n°199 pubblicato il 14 Luglio 2011 da diefrogdie

ONORE AI CADUTI PER LA LIBERTA'

I militari italiani caduti in Afghanistan

I VOLTI

I militari italiani caduti in Afghanistan

 

 

1 Giovanni Bruno - 3 ottobre 2004

2 Bruno Vianini - 3 febbraio 2005

3 Michele Sanfilippo - 11 ottobre 2005

4 Manuel Fiorito - 5 maggio 2006

5 Luca Polsinelli - 5 maggio 2006

6 Carlo Liguori - 2 luglio 2006

7 Giuseppe Orlando - 20 settembre 2006

8 Giorgio Langella - 26 settembre 2006

9 Vincenzo Cardella - 26 settembre 2006

10 Lorenzo D'Auria - 24 settembre 2007

11 Daniele Paladini - 24 novembre 2007

12 Giovanni Pezzuolo - 13 febbario 2008

13 Alessandro Caroppo - 21 settembre 2008

14 Arnaldo Forcucci - 15 gennaio 2009

15 Alessandro di Lisio - 14 luglio 2009

16 Antonio Fortunato - 17 settembre 2009

17 Roberto Valente - 17 settembre 2009

18 Matteo Mureddu - 17 settembre 2009

19 Giandomenico Pistonami - 17 settembre 2009

20 Massimiliano Randino - 17 settembre 2009

21 Davide Ricchiuto - 17 settembre 2009

22 Rosario Ponziano - 15 ottobre 2009

23 Pietro Antonio Colazzo - 26 febbraio 2010

24 Massimiliano Ramadù - 17 maggio 2010

25 Luigi Pascazio - 17 maggio 2010

26 Francesco Saverio Positano - 23 giugno 2010

27 Marco Callegaro - 25 luglio 2010

28 Mauro Giglio - 28 luglio 2010

29 Pierdavide De Cillis - 28 luglio 2010

30 Alessandro Romani - 17 settembre 2010

31 Gianmarco Manca - 9 ottobre 2010

32 Francesco Vannozzi - 9 ottobre 2010

33 Sebastiano Ville - 9 ottobre 2010

34 Marco Pedone - 9 ottobre 2010

35 Matteo Miotto - 31 dicembre 2010

36 Luca Sanna - 18 gennaio 2011

37 Massimo Ranzani - 28 febbraio 2011

38 Cristiano Congiu - 4 giugno 2011

39 Gaetano Tuccillo - 2 luglio 2011

40 Roberto Marchini - 12 luglio 2011

 

 
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DOVE VA L'EGITTO

Post n°198 pubblicato il 27 Giugno 2011 da diefrogdie
 

DOVE VA L'EGITTO

All'indomani di un'altra giornata di attacchi contro la minoranza copta cristiana in Egitto [vedi www.asianews.it], voglio fare alcune osservazioni con l'aiuto delle parole di Giulio Meotti, osservazioni che ridimensionano la cosiddetta primavera araba.
“Ottanta milioni di barbe in
Egitto”, hanno scandito i salafiti annunciando al Cairo la nascita del “Nour Party”, il Partito della Luce. Sperano di ottenere il dieci per cento dei voti. Un’enormità, se sommata a un probabile trenta per cento dei Fratelli Musulmani, che hanno lanciato un'alleanza con i liberali per conquistare buona parte del futuro parlamento egiziano. In queste settimane militanti salafiti hanno colpito chiese cristiane, centri sufi, personalità islamiche moderate, donne senza velo e venditori di alcolici. I mistici sufi hanno paura. Hanno paura i copti, che i salafiti accusano di voler “cristianizzare” l’Egitto. I salafiti sono in gran parte finanziati dall’Arabia Saudita, da cui vorrebbero portare in Egitto la legislazione sugli alcolici, la mescolanza dei sessi e le minoranze religiose. Intanto la Guida Suprema della confraternita, Mohammed Badie, dichiara che il problema del medio oriente è la "cospirazione ebraica".

di Giulio Meotti

 
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Io, Asia Bibi, muoio: ascoltate la mia voce!

Post n°197 pubblicato il 17 Giugno 2011 da diefrogdie
 

Io, Asia Bibi, muoio: ascoltate la mia voce!

In carcere i giorni e le notti sono uguali. Non so più dire che cosa provo. Paura, questo è sicuro... ma non mi opprime più come all’inizio. I primi giorni arrivava a farmi battere un tamburo in petto. Ora si è un po’ calmata. Non è più un soprassalto continuo. Le lacrime no, non mi hanno mai lasciata. Scendono a intervalli regolari. I singhiozzi, invece, sono cessati. Le lacrime sono le mie compagne di cella. Mi dicono che non mi sono ancora arresa, mi dicono che sono vittima di un’ingiustizia, mi dicono che sono innocente.

Non so molto del mondo al di fuori del mio villaggio. Non ho studiato, ma so che cosa è bene e che cosa è male.
Non sono musulmana, ma sono una buona pakistana, cattolica e patriota, devota al mio Paese come a Dio. Abbiamo amici musulmani. Non ci sono mai stati problemi. E anche se non abbiamo avuto sempre vita facile, abbiamo il nostro posto. Un posto di cui ci siamo sempre accontentati. Quando si è cristiani in Pakistan, ovviamente bisogna tenere gli occhi un po’ più bassi. Certi ci considerano cittadini di seconda categoria. A noi sono riservati lavori ingrati, mansioni umili. Ma il mio destino non mi dispiaceva. Prima di tutta questa storia ero felice con i miei, laggiù a Ittan Wali. Oggi sono come tutti i condannati per blasfemia del Pakistan.


Che siano colpevoli o no, la loro vita viene stravolta. Nel migliore dei casi stroncata dagli anni di carcere. Ma il più delle volte chi è condannato per l’oltraggio supremo, che sia cristiano, indù o musulmano, viene ucciso in cella da un compagno di prigionia o da un secondino. E quando è giudicato innocente, cosa che capita assai di rado, viene immancabilmente assassinato appena lascia il penitenziario. Nel mio Paese l’accusa di bestemmiatore è indelebile. Essere sospettati è già un crimine agli occhi dei fanatici religiosi che giudicano, condannano e uccidono in nome di Dio. Eppure Allah è solo amore. Non capisco perché gli uomini usino la religione per fare il male.
Mi piacerebbe credere che prima di essere esponenti di questa o quella religione siamo anzitutto uomini e donne. In questo momento mi rammarico di non saper né leggere né scrivere. Solo ora mi rendo conto di quale enorme ostacolo sia. Se sapessi leggere, oggi forse non mi ritroverei chiusa qui dentro. Sarei senz’altro riuscita a controllare meglio gli eventi. Invece li ho subiti, e li sto subendo tuttora.
Secondo i giornalisti, 10 milioni di pakistani sarebbero pronti a uccidermi con le loro mani.

A chi mi eliminerà, un mullah di Peshawar ha addirittura promesso una fortuna: 500.000 rupie. Da queste parti è il prezzo di una bella casa di almeno tre stanze, con tutti i comfort. Non capisco questo accanimento. Io, Asia, sono innocente. Comincio a chiedermi se, più che una tara o un difetto, in Pakistan essere cristiani non sia diventato semplicemente un crimine.
Il mio unico desiderio, in questa minuscola cella senza finestre, è quello di far sentire la mia voce e la mia rabbia. Voglio che il mondo intero sappia che sto per essere impiccata per aver aiutato il prossimo.

Sono colpevole di avere manifestato solidarietà. Il mio torto? Solo quello di avere bevuto dell’acqua proveniente da un pozzo di alcune donne musulmane usando il «loro» bicchiere, quando c’erano 40 gradi al sole.
Io, Asia Bibi, sono condannata a morte perché avevo sete. Sono in carcere perché ho usato lo stesso bicchiere di quelle donne musulmane. Perché io, una cristiana, cioè una che quelle sciocche compagne di lavoro ritengono impura, ho offerto dell’acqua a un’altra donna. Voglio che la mia povera voce, che da questa lurida prigione denuncia tanta ingiustizia e tanta barbarie, trovi ascolto. Desidero che tutti coloro che mi vogliono vedere morta sappiano che ho lavorato per anni presso una coppia di ricchi funzionari musulmani. Voglio dire a chi mi condanna che per i membri di quella famiglia, che sono dei buoni musulmani, il fatto che a preparare i loro pasti e a lavare le loro stoviglie fosse una cristiana non era un problema. Ho passato da loro 6 anni della mia vita, ed è per me una seconda famiglia, che mi ama come una figlia!



Sono arrabbiata con questa legge sulla blasfemia, responsabile della morte di tanti ahmadi, cristiani, musulmani e persino indù.
Da troppo tempo questa legge getta in prigione degli innocenti, come me.
Perché i politici lo permettono? Solo il governatore del Punjab, Salman Taseer, e il ministro cristiano per le Minoranze, Shahbaz Bhatti, hanno avuto il coraggio di sostenermi pubblicamente e di opporsi a questa legge antiquata. Una legge che è in sé una bestemmia, visto che semina oppressione e morte in nome di Dio. Per avere denunciato tanta ingiustizia questi due uomini coraggiosi sono stati assassinati in mezzo alla strada. Uno era musulmano, l’altro cristiano. Tutti e due sapevano che stavano rischiando la vita, perché i fanatici religiosi avevano minacciato di ucciderli. Malgrado ciò, questi uomini pieni di virtù e di umanità non hanno rinunciato a battersi per la libertà religiosa, affinché in terra islamica cristiani, musulmani e indù possano vivere in pace, mano nella mano. Un musulmano e un cristiano che versano il loro sangue per la stessa causa: forse in questo c’è un messaggio di speranza.
Supplico la Vergine Maria di aiutarmi a sopportare un altro minuto senza i miei figli, che si chiedono perché la loro mamma sia improvvisamente sparita di casa. Dio mi dà ogni giorno la forza di sopportare questa orribile ingiustizia. Ma per quanto ancora?

Copyright © Oh! Éditions, 2011. All rights reserved © 2011 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano
Asia Bibi
 
 
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QUALCHE RIFLESSIONE SUL GAY PRIDE DI ROMA

Post n°196 pubblicato il 13 Giugno 2011 da diefrogdie
 

QUALCHE RIFLESSIONE SUL GAY PRIDE DI ROMA

E’ andata come si sapeva, tutti sicuramente abbiamo visto le immagini. Alla fine, per quanto lo spettacolo offerto sia stato becero e di cattivo gusto, possiamo dire che non siamo stati sorpresi: i gay pride sono sempre stati così.

Quello che invece ha sorpreso e sconcertato è lo spettacolo offerto dagli amministratori locali, in particolar modo il sindaco di Roma Gianni Alemanno e il presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, molto più preoccupati di cavalcare il politicamente corretto che non esercitare la responsabilità che viene dal loro ruolo.
Se si voleva dare dimostrazione di una “Roma città accogliente”, che sembrava nei giorni scorsi l’unica preoccupazione di Alemanno, bastava semplicemente autorizzare la manifestazione, dare la possibilità al movimento gay – come a qualsiasi altro – di esprimere la propria posizione e anche la propria protesta mettendo a disposizione la piazza più adeguata. E’ diverso invece dare il patrocinio a una manifestazione, che va ben oltre l’accettare che un gruppo manifesti liberamente il proprio pensiero: è dargli un sostegno morale e, a volte, anche economico.

A parte ogni valutazione nel merito delle rivendicazione del movimento - e della lobby - omosessuale, ciò che lascia sconcertati è l’assoluta noncuranza con cui si sono accolte le manifestazioni più becere e disgustose, come se fossero assolutamente normali.

Cioè, mi spiego meglio: una volta ottenuta l’autorizzazione a manifestare, all’interno della manifestazione stessa è sospesa ogni legge dello Stato? Oppure ci sono anche delle regole per poter manifestare, dei limiti di pubblica decenza da dover osservare, come è anche per tutti i normali cittadini?

Non è un problema di omosessuali: avrei trovato ugualmente disgustoso se al Family Day, tanto per fare un esempio, coppie giovani e meno giovani avessero voluto mostrare il loro orgoglio etero facendo vedere pubblicamente come si fa ad avere figli. E avrei trovato parimenti sconcertante l’atteggiamento delle autorità se avessero consentito tutto ciò.

Non è neanche un problema moralistico: è semplicemente una questione di rispetto per gli altri, rispetto di regole condivise che la comunità si è data perché tutti si possano esprimere senza prevaricare l’altro.

Purtroppo sembra che le regole e le leggi che valgono per i comuni cittadini, non valgano più per gli attivisti gay, alla faccia della loro presunta discriminazione.

I discriminati siamo noi, costretti a subire l’arroganza e la violenza di immagini ed espressioni che ci sono imposte e contro le quali siamo impossibilitati a dire alcunché, pena la denuncia di omofobia.

Peraltro anche le proteste o la legittima disapprovazione di persone e religioni dovrebbe stare entro i limiti del rispetto.

Quello che si è visto sabato sera a Roma contro il Papa e la Chiesa va ben oltre quei limiti, e non è accettabile.

In gioco non c’è il diritto dei gay a dire pubblicamente quello in cui credono, ma il diritto di tutti a essere rispettati nella propria dignità.

 
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INDIGNATI STRABICI

Post n°195 pubblicato il 07 Giugno 2011 da diefrogdie
 

INDIGNATI STRABICI

Una notizia è apparsa sul web di recente. Notizia assolutamente ignorata dall'informazione politicamente corretta, attentissima invece a piangere lacrime di coccodrillo sui migranti partiti dalla Libia, sul Gay Pride e sui maomettani che non riescono atrovare spazi adeguati per pregare, ecc. ecc.

La notizia è che è stata attaccata una Chiesa a Milano.

L'antefatto è che nei locali adiacenti a quella Chiesa, da qualche anno, si riuniscono mensilmente uomini e donne che provano qualche disturbo relativamente all’identità sessuale, prevalentemente omosessuali, e che desiderano essere aiutati da un punto di vista spirituale, culturale ed esistenziale, se possibile a superare una condizione indesiderata.

Questo è il punto e il motivo per cui 20 giovani, domenica scorsa, sono scesi da tre macchine, sono entrati in chiesa durante la celebrazione, hanno cominciato a urlare slogan contro la Chiesa e i sacerdoti, poi sono rimasti sul sagrato alcuni minuti innalzando uno striscione offensivo contro uno dei sacerdoti della parrocchia. 

 


Io mi chiedo: in nome di quale principio tanti nel mondo cattolico invocano il proliferare delle moschee? In nome della libertà religiosa. Giusto.
In nome di quale principio gli stessi non muovono un dito dopo la vergognosa irruzione di un manipolo di squadristi rossi in una chiesa di Milano? Non si sa.

Non c’è nessuna differenza tra il pretendere che i fedeli di religione islamica abbiano a disposizione un luogo in cui pregare e pretendere che i fedeli di religione cattolica abbiano un luogo in cui pregare in santa pace, senza che la celebrazione del sacrificio eucaristico – culmine della fede cristiana – venga brutalmente interrotta.

Cosa avremmo letto su certa stampa se un gruppo di facinorosi, anziché irrompere in una chiesa accusando il parroco di fare il suo mestiere - in questo caso seguire gli insegnamenti della Chiesa in materia di morale sessuale - avesse fatto irruzione in una moschea inveendo contro il mullah, poniamo per le sue prese di posizione contro i «crociati» e l’Occidente?
Apriti cielo! Avremmo dovuto sorbirci fiumi di parole sull’intolleranza, sulla pericolosità di certe frange integraliste, ecc.

Ma ad essere profanata è stata una Chiesa cattolica. 
Quindi va tutto bene. Anzi, se la sono cercata. Che è poi ciò che emerge dal modo con cui è stata data la notizia dai siti gay. Una malcelata soddisfazione. Anzi, quasi l’incoraggiamento ad andare avanti.
Una, cento, mille messe da interrompere. Complimenti

Non stupisce nemmeno l’assordante silenzio di quegli ambienti che si ergono a paladini, un giorno sì e l’altro pure, di rom, musulmani, gay, emarginati di ogni sorta, in nome del rispetto della dignità umana.

Questi cavalieri dell’indignazione ci devono spiegare perché invece i cristiani sono da considerare una specie subumana, che può subire ogni oltraggio nell’indifferenza generale. C’è chi comincia a ipotizzare che, se viene alimentato un clima di caccia alle streghe contro i cattolici (attenzione! i cattolici osservanti, quelli che seguono il Papa), allora si dovrebbe cominciare a pensare a una sorta di servizio d’ordine, di gruppi di difesa delle chiese, come in fondo avviene in tanti Paesi islamici. Siamo davvero a questo punto?
Spero di no. Non siamo tra coloro che vorrebbero «vederne di belle».
Ma un po’ più di solidarietà ai sacerdoti e ai parrocchiani della Chiesa profanata, quella sì che vorrei vederla.

da un articolo di Vincenzo Sansonetti - www.labussolaquotidiana.it

 
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ALTRE DUE CHIESE BRUCIATE IN EGITTO

Post n°194 pubblicato il 08 Maggio 2011 da diefrogdie
 

Mentre continuano (e continuiamo!) a bombardare Gheddafi, ALTRE DUE CHIESE SONO STATE BRUCIATE IN EGITTO DA FANATICI ISLAMISTI!

 

Il Cairo (AsiaNews) – Almeno 9 morti e 116 feriti è il bilancio di un violento assalto di un gruppo di musulmani contro i cristiani a Imbaba, nella periferia nord-est della capitale egiziana.
Secondo testimoni, circa 500 islamisti salafisti si sono radunati ieri sera davanti alla chiesa copta di san Mina esigendo la consegna di una donna che secondo loro si era convertita all’islam e che i cristiani tenevano prigioniera. Dopo aspre discussioni fra le guardie della chiesa e il gruppo, si è passato allo scontro con colpi di arma da fuoco, bottiglie incendiarie e pietre.
Una chiesa nelle vicinanze, quella della Vergine Maria è stata data alle fiamme. Un’altra chiesa, di Al Azra, ha subito danni per un incendio. L’esercito è giunto in massa e ha impiegato molto tempo per separare i due gruppi e riportare la calma.
Ali Gomaa, gran Mufti dell’Egitto, ha richiamato alla calma e ha chiesto a tutti gli egiziani di “stare vicini gli uni agli altri per prevenire scontri”. Egli ha pure chiesto al consiglio militare di bloccare tutti coloro che mettono a repentaglio la sicurezza dell’Egitto.
Scontri fra copti e musulmani sono piuttosto comuni nel Paese, alimentati da una situazione di emarginazione di cui soffrono i cristiani.
La caduta di Mubarak e l’impegno comune di cristiani e musulmani per una società più democratica, hanno fatto sperare in una riduzione delle tensioni interreligiose. Ma l’avvicinarsi delle elezioni in settembre e la potenza dei gruppi musulmani (i Fratelli Musulmani), fa temere una crescita delle violenze.
I gruppi salafiti – che seguono un’interpretazione radicale del Corano – non sono nuovi alle accuse contro i cristiani che terrebbero prigioniere donne convertite all’islam. Anche l’attentato alla chiesa di Alessandria d’Egitto lo scorso 1° gennaio era stato causato in apparenza dalle accuse al patriarca Shenouda III di tenere prigioniere due donne convertite all’islam.
 
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FOLLE E SCANDALOSA QUESTA GUERRA CONTRO LA LIBIA

Post n°193 pubblicato il 07 Maggio 2011 da diefrogdie
 


Folle e scandalosa questa guerra contro la Libia

Milano (AsiaNews) - Il silenzio della stampa e delle Tv italiane sulle denunzie e le proposte del vescovo di Tripoli, mons. Giovanni Martinelli, mi stupisce e scandalizza, perché sono stato in Libia nel 2007 e conosco Martinelli, nato in Libia da coloni italiani, vescovo da quarant’anni. Eppure lui parla e nessuno o pochissimi lo ascoltano.
Seguendo gli appelli del Papa per la pace in Libia (anche il giorno di Pasqua) da settimane e da mesi su AsiaNews e alla Radio Vaticana, il vescovo di Tripoli alza la voce e denunzia una guerra senza scopo che esaspera i conflitti, aumenta l’odio e la violenza, prepara un futuro certamente peggiore per tutti i libici.
Tre giorni fa ha dichiarato: “Aprire al dialogo con tutte le parti è la cosa migliore da fare. Le bombe della Nato non servono a nulla e occorre considerare tutte le parti in campo, non solo i ribelli” ed ha chiesto “di offrire l’ipotesi di un dialogo fra la parti e la fine delle ostilità”. Ancora ieri il vescovo ha proposto “la tregua di una settimana, per rispetto della vita umana, della famiglia e della Libia. È un atto di umanità e i libici sono sensibili a questi gesti, nonostante la rabbia provocata dalla guerra” 

[...] 

Insomma, nonostante gli appelli di Benedetto XVI e le angosciate parole del vescovo di Tripoli, quello che era un “intervento umanitario” per salvare i libici dalle violenze di Gheddafi è ormai diventato una guerra, nella quale l’Occidente si è schierato con la Cirenaica contro la Tripolitania. “Tutti parlano di aiutare i ribelli – afferma mons. Martinelli – i giornali scrivono sulla difficile situazione umanitaria nelle città della Cirenaica, che è drammatica, ma nessuno parla della popolazione di Tripoli, ugualmente stremata dalla guerra e dai bombardamenti Nato”.

La guerra in Libia diventa sempre più incomprensibile anche agli italiani e ai popoli occidentali, perché non tiene conto di tre fattori. Ecco in breve:

1) La Libia non è la Tunisia né l’Egitto, che hanno uno stato unitario e una robusta classe intellettuale e media. Si legga “Gheddafi” di Angelo Del Boca, studioso serio e profondo (Laterza 2011), per capire come la Libia non ha questa società moderna matura ed è divisa fin dal tempo dell’Impero ottomano in due regioni, la Tripolitania e la Cirenaica, e basata sulle tribù, sui clan familiari e le confraternite islamiche. Nella guerra civile libica, l’Occidente che si schiera apertamente con una delle due parti, invece di tentare di avviarle al dialogo e ad un governo condiviso, sta affondando il Paese in una interminabile sequela di guerriglie, vendette, terrorismi, lotte tribali. Chi vive sul posto come il vescovo Martinelli, profondamente innamorato del popolo libico, queste cose le conosce da una vita e quando parla andrebbe ascoltato. Per telefono dice: “Non se c’è qualche altro italiano che conosce la Libia ed è innamorato di tutto il popolo libico come me, eppure io parlo e nessuno mi ascolta”.

2) Gheddafi è un dittatore e questa parola dice tutto. Però nel mondo islamico credo che nessun altro come lui stava avviando il suo popolo al mondo moderno. Dagli anni novanta ad oggi ha usato le immense risorse del petrolio per fare scuole, ospedali, università, dispensari medici nei villaggi, strade lastricate anche nel deserto, case popolari a bassissimo prezzo per tutti; ha fatto molto per la liberazione delle donne, mandando le bambine a scuola e le ragazze all’università (all’inizio il mondo universitario non le voleva!), varando leggi favorevoli alla donna nel matrimonio, abolendo nei villaggi le alte mura che delimitavano il cortile in cui stavano le donne, ecc. Ha tirato su l’acqua da 800-1000 metri nel deserto, portandola in Tripolitania e in Cirenaica con due canali sotterranei (di 800-900 chilometri) in cilindri di cemento (alti più d’un uomo). Oggi in Libia c’è acqua corrente per tutti. Potrei continuare. Gheddafi è un dittatore e per reprimere la rivolta ha usato mezzi che usano in situazioni simili in Siria e in Yemen. Giusto fermarlo, ma presentarlo all’Occidente come un dittatore sanguinario paragonabile a Hitler e volerlo ad ogni costo eliminare, significa suscitare altro odio non contro un uomo, ma contro tutti coloro che sono dalla sua parte.

3) Gheddafi non ha dato la libertà politica e di stampa, è vero. Ma ha iniziato ad educare il popolo libico controllando le moschee, le scuole coraniche, gli imam e le istituzioni islamiche, che in molti altri Paesi islamici (ad esempio in Indonesia, visitata di recente) sfuggono totalmente al potere statale, diffondono l’ideologia anti-occidentale e venerano “i martiri dell’islam”, cioè i kamikaze terroristi che conosciamo. In Libia assolutamente non è così. A Tripoli c’è un comitato di saggi dell’islam che prepara l’istruzione religiosa del venerdì e la diffonde con molto anticipo in tutte le moschee della Libia. L’imam locale deve leggere quel testo. Se toglie o aggiunge qualcosa, a dirigere quella moschea viene nominato un altro.

Non solo. Nel 1986 Gheddafi ha scritto a Giovanni Paolo II chiedendo di mandargli suore infermiere per i suoi ospedali. Il Papa ne ha mandate un centinaio, anche italiane ma specialmente indiane e filippine. Oggi in Libia ci sono un’ottantina di suore e 10mila infermiere soprattutto filippine, oltre a molti medici cattolici stranieri. Il vescovo Martinelli mi diceva: “Queste donne cattoliche, competenti, gentili, che trattano gli ammalati in modo umano, stanno cambiando la mentalità del popolo riguardo al cristianesimo”. E questo me lo diceva in base a molti elogi sentiti da musulmani su come i cristiani formano le loro donne. La Libia finora era uno dei pochi Paesi islamici in cui i cristiani (ci sono anche migliaia di copti egiziani) sono quasi totalmente liberi, eccetto naturalmente di convertire i libici al cristianesimo.
A chi interessa questa guerra?

Piero Gheddo - www.asianews.it

N.B. Padre Piero Gheddo è forse il più autorevole missionario cattolico vivente.
Padre Gheddo è immune da qualsiasi sospetto di filoislamismo. Tanto meno di esser prono al regime di Gheddafi.

 
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GIOVANNI PAOLO II

Post n°192 pubblicato il 29 Aprile 2011 da diefrogdie
 

UN GRANDE UOMO

UN GRANDE PAPA

 
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BOMBE SI, IMMIGRATI NO!

Post n°191 pubblicato il 14 Aprile 2011 da diefrogdie
 

BOMBE SI, IMMIGRATI NO!

Non può non risaltare l’evidente sproporzione tra la massiccia invadenza delle istituzioni comunitarie in materie – come la famiglia e la vita, che peraltro sono di pertinenza esclusiva dei singoli stati - e la preoccupante e imbarazzante assenza in questioni politicamente decisive.

Da una parte troviamo una ossessiva pretesa di intervenire nelle legislazioni nazionali in fatto di aborto, unioni gay, e diritti umani vari; dall’altra un’incapacità di leggere gli avvenimenti epocali e di prospettare un indirizzo al di fuori degli angusti confini comunitari.

In queste ore e in questi giorni convulsi, quel club di ventisette nazioni che si proclama come "Unione Europea" ha offerto al mondo una delle peggiori immagini possibili: è stata respinta la proposta italiana di protezione temporanea per i profughi dai Paesi del Nord Africa, la benedetta e ormai famigerata "Direttiva 55" che prevede l’immediata concessione dello status di rifugiato per un periodo di tempo limitato «a tutte quelle persone che fuggono da Paesi in cui la loro vita sarebbe a repentaglio in caso di rientro».
Un ritratto quasi perfetto di quelle migliaia di migranti in fuga dalle coste del Nord Africa, ma al tempo stesso un identikit che non convince la commissaria per gli Affari Interni Cecilia Malmström e ancor meno gli Stati membri, che hanno sonoramente bocciato le richieste italiane, concedendo soltanto un’estensione dell’accordo italo-francese sul pattugliamento delle coste tunisine.

Sul drammatico problema dei profughi nordafricani, l’Europa non ha fatto altro che considerare questi poveri migranti come un vascello di appestati da tenere alla larga dalle mura fortificate del continente.
Quella stessa Europa che – pur nel guazzabuglio politico e diplomatico nel quale è usa navigare - ha impiegato molto meno tempo ad adottare l’opzione militare.

Come dire: bombe sì, profughi no.

Del resto una visione politica nasce da un patrimonio di valori ed esperienze figlio di una identità culturale ben definita.
E qui sta il nocciolo del problema europeo: una volta che si è rifiutato di guardare e prendere sul serio le proprie radici storiche e culturali, non c’è nulla su cui poggiare per guardare al futuro.

Resta soltanto la faticosa negoziazione giorno per giorno, problema per problema, con decisioni anche contraddittorie suggerite da interessi immediati e transitori e condizionate dall'arroganza e invadenza di burocrati e tecnocrati che da Bruxelles, in questo vuoto, pretendono di dettare i comportamenti quotidiani dei cittadini europei.

Una Unione Europea è necessaria e auspicabile. Ma questa Europa, è evidente, non ha futuro; c’è bisogno di ricominciare partendo proprio da quelle domande che si sono volute fin qui censurare: cos’è che ci fa Europa? Quali sono le radici della nostra civiltà e qual è la nostra vocazione?

L'Italia, invece di minacciare l'uscita dalla Ue, dovrebbe cominciare a porre con chiarezza queste domande.

 

 
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