I rinomati esponenti delle libertà moderate sono richiamati ad immediata adunanza. Tutti in fila, a capo chino e coi volti terrei entrano nel bunker presidenziale, quello che serve a rifugiarsi in caso di attacco bolscevico. V’è anche un’astronave a forma di vulva pronta ad ogni evenienza, per partire in direzione Plutone. Regna un gran silenzio nella sala della guerra. Un centinaio di esseri ripugnanti, che la metà sarebbe bastata a Lombroso per dimostrare la sua teoria. In quei volti grinzosi ed orrendi si legge tutto: violenza, intransigenza, fascismo, corruzione, profonda demenza di fondo, impotenza del potente e sconfitta. Tutti lì, che riflettono sui motivi della grande sberla elettorale. Un manrovescio terrificante. Tranvata tra capo e collo. Una sconfitta mai vista, resa più colossale dalla debacle del sultano nei punti strategici del suo regno assolutista: Milano, dove l’impero di sterco nacque, Napoli, nevralgico centro delle più ignominiose propagande di regime, e la Sardegna, residenza estiva ove il Messia riposa le marce carni nei mesi assolati. Scene di giubilo nelle piazze come nemmeno dopo la vittoria del Mundial ’82, canti ed inni di liberazione partigiana.Dentro il bunker l’aria è pesantissima. E tutti guardano con sospetto Ferrara. I grandi capi della informazione di governo s’interrogano con facce livide di rabbia. Vespa manda in onda uno speciale sulla dieta macrobiotica. Fede dedica tutto il tg al gravissimo problema del germe assassino che si insinua nei cetrioli. Minzolini invece sfida tutti, con un servizio di sopraffina analisi politica: “La vittoria di Silvio. Quello italiano è l’unico governo che ha tenuto benissimo alla prova elettorale, malgrado la crisi. Vogliamo parlare della Grecia? Eh?”. Giuliano Ferrara ha l’espressione critica. L’ideologo del buongoverno auspica un cambiamento di rotta. “Il mio amico Berlusconi deve tornare a fare il Berlusconi!” dichiara con l’aria del grande intellettuale. Tornare a vendere fumo per la gente e non pensare solo a se stesso, insomma. Feltri annuisce, prova a chiamare il capo supremo al telefono. Quello si nega, è impegnato in Romania per un incontro bilaterale. Sta in camera con due zingarelle diciottenni e non vuole essere disturbato durante le superiori attività diplomatiche. Il direttore sbotta: “Ma lo vedete che questo qui ha ormai il cervello in pappa? Il viagra glielo ha reso un brodino! C’è un tempo per la figa ed uno per la bocciofila, porca puttana!”. Poi ritorna serioso, con l’aria dell’editorialista equanime, “la gente s’è stancata dei suoi problemi personali, Silvio deve tornare a fare la politica”. Quindi, sempre più imparziale, comunica alla redazione il titolo del suo giornale: “Ed ora tenetevi i comunisti di merda”. Arriva trafelata la Saltamiquì. E’ scossa. Porta una mascherina anti-germe-comunista. “Non potete capire che succede fuori! – squilla, stridula e tutta tremante – comunisti ovunque, bandiere rosse, magistrati criminali, interisti, islamici, maomettani pedofili, negri, ladri d’auto, culattoni malati di frociaggine, zingari! Cos’è diventata la nostra Milano da bere. Ne sono uscita viva per miracolo!”. "A me volevano sparare! Mi vogliono sparare ogni giorno!", s'accoda Belpietro. La Russa, in divisa di stato maggiore, li tranquillizza. “Qui siamo al sicuro, sapeste cos’hanno fatto a me! Volevano uccidermi, i criminali estremisti!”. Poi esce dalla tasca delle pillole. Sembrano cianuro. Gasparri, il pusillanime colonnello, inizia a tremolare come una foglia e si nasconde dietro una pianta di cactus. “Non voglio morire io, voglio vivere!”. La Russa sorride, suadente e serafico. Di una bellezza stordente. “Ma che vai a penZare tonDolone che non Zei alDro! Sono pastiglie alla clorofilla! Giammai ci arrenderemo allo invasore. Contro queste zecche dobbiamo far valere la nostra moderazione!”. E sguaina il manganello. Entrano pure Cicchitto e Verdini. Quest’ultimo accompagnato da due galoppini che sorreggono l’abnorme testone. Provano a prendere in mano la situazione, interrogano i vertici della setta degli incappucciati su come fare a riportare lo status quo in un paese ormai invaso da perigliosi venti di democrazia. Dell’Utri suona uno scacciapensieri siculo. La Bernini rammenda un calzino del Sire e compone mentalmente il nuovo inno a Silvio. La vaiassa Mussolini tenta di stemperare gli animi facendo la mossa.In un cantuccio ci sono anche i candidati sindaci trombati. Discutono tra di loro, sommessamente. Cettolaqualunque–Lettieru è sconsolato, non si capacita nel suo incerto idioma tipico del semianalfabeta. “Io ce lo avevo diciuto in tutti i modi che non doveva venissere a Napule, dovevi da vedere che figuraccia che songo fatto, che figuraccia! E meno male che era la nostra manifestazione! Tutti a fischiare e lui sul palco che cantava e voleva leggere i dieci comandamenti come alle scuole alimentari! Che vergogna che ho provato! Mi ha faciuto perdere dieci punti percentuale!”. Mestizia Moratti annuisce. “E a me? Ha voluto che ballassi come una concorrente di Velone…per non dire delle trovata sui giudici-br e il ladro d’auto! Non avevo speranze!”. Insomma, qualcuno si rende conto di come il Re-Mida che trasformava tutto in oro è divenuto Re-Merda. Tutto ciò che tocca diviene sterco.Discutono animatamente, le varie anime dei servi della gleba che ormai mettono in dubbio la guida spirituale e cercano di trafugare quel che rimane dell’argenteria. Colombe-schiavi, servi-falchi, cornacchie-ancelle. S’azzuffano cercando un perché. Qualcuno azzarda un confronto. Dopo diciassette anni avverte la democratica esigenza di un congresso, come un partito normale. Quello strano strumento che per anni è stato deriso, forti dell’unica luce e voce in capitolo: il messia supremo che tutto decide e tutto fa. Il partito dell’idolatria sovrannaturale venata di misticismo verso un despota carismatico come un santone indù, prova a mutare. Qualcuno azzarda addirittura la parola “primarie”, che tante grasse risate aveva provocato quando le introdussero quei confusionari della sinistra senza un leader onnipotente ed invincibile, come il loro. Un brusio d’incredulità avvolge il bunker. Sandro Bondi cerca di placaregli animi. “Lui non ha colpe, non ha colpe! Prendetevela con me, uccidete me vi prego, non fategli niente.”. Larmante e affranto, si dimette dal ruolo di coordinatore. E se ne va in un angolo a scrivere un delicato sonetto sull’amor struggente: “A Silvio, tu che mi scuotetti lo animo, come lo vento sibilante scompiglia la mia fluente chioma”. E piange in silenzio.Il maggiordomo Emilio Fede prova a mettere ordine. “Calma, state calmi! Non è successo niente! Non fatevi trovare così quando giungerà Lui tra di noi. Non provate a fare questi discorsi in sua presenza, siete forse diventati comunisti black-block, pure voi? E soprattutto non rivelategli i dati elettorali. Lui ha vinto, è chiaro? Dite altro, deve distendersi…chessò, parlate di figa. A proposito quanti chili gliene avete portata oggi?”. I morigerati ciellini baluardi della famiglia contro la frociaggine imperante, balzano in piedi. Il barbetta Formigoni in tenuta hawaiana ed il chierichetto Lupi paonazzo di vergogna, scartano quattro bagasce sorridenti, “Spero vadano bene!” dicono all’unisono. Emilio le scruta bene, poi incarica la Minetti e Lele Mora di portarle nella sala dell’eleganza. “La sala dell’eleganza?”, fa quello tutto unto e molliccio come una medusa obesa. “Sì, insomma, conducetele allo scopatoio! –tuona il maggiordomo– che facciano la prova del priapo!”.Improvvisamente, ecco giungere il messia a bordo di un risciò spinto da un Bonaiuti al limite dell’infarto al miocardio. Saluta i servi con austero cenno della mano. Un silenzio imbarazzato. Poi un temerario Capezzone prende in mano la situazione: “Evviva Silvio! Un’altra vittoria trionfale!”. Un brusio compassionevole. “Viva il Milan campine dell’ItaGlia!”, strilla un povero cristo senza denti.Il sultano serra la mascella. Li guarda uno ad uno. “Lazzaroni, intetti e viscidi servi infedeli, so tutto. In Romania c’è addirittura la televisione. Hanno detto che abbia…cioè, avete perso! Che vergogna! Per colpa della vostra crapuloneria sto diventando uno zimbello! Io, che perdo…a Milano!”. Capezzone non si contiene. “Maestà, mi permetta l’insolenza, questa non-chiara-vittoria è stata pompata dalle indecenti tv della opposizione…”.Il premier è nero. Talmente infastidito che gli partono sei punti dal rattoppato volto in cacciù. Si rasserena solo vedendo le quattro bagasce in topless. Torna il sorriso. “Bene, prenotate loro un chirurgo che ci hanno poche tette. E pure le labbra da bocchino voglio, mi raccomando! Che così naturali e povere di spirito non le posso guardare, mi sembrano come quelle comuniste che vogliono un lavoro!”.Più conciliante, si siede sul trono d’oro zecchino ed ascolta le varie proposte per uscire dalla crisi (delle urne). Lo statista illuminato ha però ben chiare le cause della disfatta. “Innanzi tutto abbia…avete sbagliato la scelta dei candidati. Ma vedeteli, sono deboli, brutti, emaciati, impresentabili…come si poteva vincere con quelli? Anche il Milan ha perso per colpa di Leonardo!”. Cetto e Mestizia iniziano a singhiozzare in silenzio, con gran dignità. La Russa chiede al gran capo numi sulla Lega, teme la cospirazione poiché gli esponenti del carroccio sono i grandi assenti del consesso. “State sereni, la lega non tradirà. Non può. Me la sono comperata innanzi a ventisei notai, dando loro in cambio l’Italia.”. Poi, da vero capo, analizza gli altri motivi della debacle con un vaneggiamento senza fine: “La informazione faziosa! Annozero! Abbia…avete perso per colpa di Annozero, è evidente. Ma rimedieremo in parlamento per fargli chiudere la bocca a quelli lì. E poi…ci ho contro tutte le tv! Tutti contro di me!". Minzolini diventa color grigio-verde. “Maestà non so più cosa fare, potrei dichiarare in diretta il mio amore omosessuale per lei!”. Vespa è un poco spazientito. “Santità, lei dica ed io faccio…ma di più non saprei come. Se vuole mando una fiction sui magistrati eversivi e comunisti che fanno saltare in aria gli eroi della mafia col tritolo”. Emilio Fede s’infervora: “Presidente eccelso, una sola parola ed io mi faccio saltare in aria in diretta, per lei.Solo per lei…”."Bravi miei servi, bravi, così vi voglio. Ma occorre anche un cambiamento di strategia. Dobbiamo fare un rimpasto di governo. Voglio Maristelle Polanco ministra dello interno, Barbara Guerra agli esteri, Ruby all’economia, Massimo Boldi alla cultura, Gigi D’alessio al welfare ed il Gabibbo alle telecomunicazioni. Ma soprattutto, miei schiavi fedeli, abbisogniamo di un deciso cambiamento di rotta. La gente non crede più alla vostra propaganda. Dobbiamo rassicurare la suburra votante come i bei tempi. Promettere, promettere, promettere…sto pensando alla proposta illuminante, quella di garantire la vita eterna agli elettori della Pdl e la moltiplicazione dei danari che pioveranno dal cielo. Saranno tutti ricchi, ricchissimi ed immortali. Dobbiamo immettere nuovi danari nella economia!".Un avventuriero, prima di essere calato nella vasca dei piranhas, azzarda: “Nostra luce divina, mi consenta, ma così rischiamo il collasso. La catastrofe finale. Il paese morirà.”. Ello fa la faccia pensosa, cogitante: “E cosa vuole che sia. L’alternativa è perdere il potere, farsi processare". Quindi, come sul palco di Napoli intento a leggere i comandamenti delle libertà mascherati da domande retoriche al pubblico, mette la mano all'orecchio per udire la risposta: "Volete voi forse che processino il vostro Capo?”.“Noooo…”, rispondono allo unisono, prima d’intonare l’inno a Silvio.
COME TOPI NELLA STIVA
I rinomati esponenti delle libertà moderate sono richiamati ad immediata adunanza. Tutti in fila, a capo chino e coi volti terrei entrano nel bunker presidenziale, quello che serve a rifugiarsi in caso di attacco bolscevico. V’è anche un’astronave a forma di vulva pronta ad ogni evenienza, per partire in direzione Plutone. Regna un gran silenzio nella sala della guerra. Un centinaio di esseri ripugnanti, che la metà sarebbe bastata a Lombroso per dimostrare la sua teoria. In quei volti grinzosi ed orrendi si legge tutto: violenza, intransigenza, fascismo, corruzione, profonda demenza di fondo, impotenza del potente e sconfitta. Tutti lì, che riflettono sui motivi della grande sberla elettorale. Un manrovescio terrificante. Tranvata tra capo e collo. Una sconfitta mai vista, resa più colossale dalla debacle del sultano nei punti strategici del suo regno assolutista: Milano, dove l’impero di sterco nacque, Napoli, nevralgico centro delle più ignominiose propagande di regime, e la Sardegna, residenza estiva ove il Messia riposa le marce carni nei mesi assolati. Scene di giubilo nelle piazze come nemmeno dopo la vittoria del Mundial ’82, canti ed inni di liberazione partigiana.Dentro il bunker l’aria è pesantissima. E tutti guardano con sospetto Ferrara. I grandi capi della informazione di governo s’interrogano con facce livide di rabbia. Vespa manda in onda uno speciale sulla dieta macrobiotica. Fede dedica tutto il tg al gravissimo problema del germe assassino che si insinua nei cetrioli. Minzolini invece sfida tutti, con un servizio di sopraffina analisi politica: “La vittoria di Silvio. Quello italiano è l’unico governo che ha tenuto benissimo alla prova elettorale, malgrado la crisi. Vogliamo parlare della Grecia? Eh?”. Giuliano Ferrara ha l’espressione critica. L’ideologo del buongoverno auspica un cambiamento di rotta. “Il mio amico Berlusconi deve tornare a fare il Berlusconi!” dichiara con l’aria del grande intellettuale. Tornare a vendere fumo per la gente e non pensare solo a se stesso, insomma. Feltri annuisce, prova a chiamare il capo supremo al telefono. Quello si nega, è impegnato in Romania per un incontro bilaterale. Sta in camera con due zingarelle diciottenni e non vuole essere disturbato durante le superiori attività diplomatiche. Il direttore sbotta: “Ma lo vedete che questo qui ha ormai il cervello in pappa? Il viagra glielo ha reso un brodino! C’è un tempo per la figa ed uno per la bocciofila, porca puttana!”. Poi ritorna serioso, con l’aria dell’editorialista equanime, “la gente s’è stancata dei suoi problemi personali, Silvio deve tornare a fare la politica”. Quindi, sempre più imparziale, comunica alla redazione il titolo del suo giornale: “Ed ora tenetevi i comunisti di merda”. Arriva trafelata la Saltamiquì. E’ scossa. Porta una mascherina anti-germe-comunista. “Non potete capire che succede fuori! – squilla, stridula e tutta tremante – comunisti ovunque, bandiere rosse, magistrati criminali, interisti, islamici, maomettani pedofili, negri, ladri d’auto, culattoni malati di frociaggine, zingari! Cos’è diventata la nostra Milano da bere. Ne sono uscita viva per miracolo!”. "A me volevano sparare! Mi vogliono sparare ogni giorno!", s'accoda Belpietro. La Russa, in divisa di stato maggiore, li tranquillizza. “Qui siamo al sicuro, sapeste cos’hanno fatto a me! Volevano uccidermi, i criminali estremisti!”. Poi esce dalla tasca delle pillole. Sembrano cianuro. Gasparri, il pusillanime colonnello, inizia a tremolare come una foglia e si nasconde dietro una pianta di cactus. “Non voglio morire io, voglio vivere!”. La Russa sorride, suadente e serafico. Di una bellezza stordente. “Ma che vai a penZare tonDolone che non Zei alDro! Sono pastiglie alla clorofilla! Giammai ci arrenderemo allo invasore. Contro queste zecche dobbiamo far valere la nostra moderazione!”. E sguaina il manganello. Entrano pure Cicchitto e Verdini. Quest’ultimo accompagnato da due galoppini che sorreggono l’abnorme testone. Provano a prendere in mano la situazione, interrogano i vertici della setta degli incappucciati su come fare a riportare lo status quo in un paese ormai invaso da perigliosi venti di democrazia. Dell’Utri suona uno scacciapensieri siculo. La Bernini rammenda un calzino del Sire e compone mentalmente il nuovo inno a Silvio. La vaiassa Mussolini tenta di stemperare gli animi facendo la mossa.In un cantuccio ci sono anche i candidati sindaci trombati. Discutono tra di loro, sommessamente. Cettolaqualunque–Lettieru è sconsolato, non si capacita nel suo incerto idioma tipico del semianalfabeta. “Io ce lo avevo diciuto in tutti i modi che non doveva venissere a Napule, dovevi da vedere che figuraccia che songo fatto, che figuraccia! E meno male che era la nostra manifestazione! Tutti a fischiare e lui sul palco che cantava e voleva leggere i dieci comandamenti come alle scuole alimentari! Che vergogna che ho provato! Mi ha faciuto perdere dieci punti percentuale!”. Mestizia Moratti annuisce. “E a me? Ha voluto che ballassi come una concorrente di Velone…per non dire delle trovata sui giudici-br e il ladro d’auto! Non avevo speranze!”. Insomma, qualcuno si rende conto di come il Re-Mida che trasformava tutto in oro è divenuto Re-Merda. Tutto ciò che tocca diviene sterco.Discutono animatamente, le varie anime dei servi della gleba che ormai mettono in dubbio la guida spirituale e cercano di trafugare quel che rimane dell’argenteria. Colombe-schiavi, servi-falchi, cornacchie-ancelle. S’azzuffano cercando un perché. Qualcuno azzarda un confronto. Dopo diciassette anni avverte la democratica esigenza di un congresso, come un partito normale. Quello strano strumento che per anni è stato deriso, forti dell’unica luce e voce in capitolo: il messia supremo che tutto decide e tutto fa. Il partito dell’idolatria sovrannaturale venata di misticismo verso un despota carismatico come un santone indù, prova a mutare. Qualcuno azzarda addirittura la parola “primarie”, che tante grasse risate aveva provocato quando le introdussero quei confusionari della sinistra senza un leader onnipotente ed invincibile, come il loro. Un brusio d’incredulità avvolge il bunker. Sandro Bondi cerca di placaregli animi. “Lui non ha colpe, non ha colpe! Prendetevela con me, uccidete me vi prego, non fategli niente.”. Larmante e affranto, si dimette dal ruolo di coordinatore. E se ne va in un angolo a scrivere un delicato sonetto sull’amor struggente: “A Silvio, tu che mi scuotetti lo animo, come lo vento sibilante scompiglia la mia fluente chioma”. E piange in silenzio.Il maggiordomo Emilio Fede prova a mettere ordine. “Calma, state calmi! Non è successo niente! Non fatevi trovare così quando giungerà Lui tra di noi. Non provate a fare questi discorsi in sua presenza, siete forse diventati comunisti black-block, pure voi? E soprattutto non rivelategli i dati elettorali. Lui ha vinto, è chiaro? Dite altro, deve distendersi…chessò, parlate di figa. A proposito quanti chili gliene avete portata oggi?”. I morigerati ciellini baluardi della famiglia contro la frociaggine imperante, balzano in piedi. Il barbetta Formigoni in tenuta hawaiana ed il chierichetto Lupi paonazzo di vergogna, scartano quattro bagasce sorridenti, “Spero vadano bene!” dicono all’unisono. Emilio le scruta bene, poi incarica la Minetti e Lele Mora di portarle nella sala dell’eleganza. “La sala dell’eleganza?”, fa quello tutto unto e molliccio come una medusa obesa. “Sì, insomma, conducetele allo scopatoio! –tuona il maggiordomo– che facciano la prova del priapo!”.Improvvisamente, ecco giungere il messia a bordo di un risciò spinto da un Bonaiuti al limite dell’infarto al miocardio. Saluta i servi con austero cenno della mano. Un silenzio imbarazzato. Poi un temerario Capezzone prende in mano la situazione: “Evviva Silvio! Un’altra vittoria trionfale!”. Un brusio compassionevole. “Viva il Milan campine dell’ItaGlia!”, strilla un povero cristo senza denti.Il sultano serra la mascella. Li guarda uno ad uno. “Lazzaroni, intetti e viscidi servi infedeli, so tutto. In Romania c’è addirittura la televisione. Hanno detto che abbia…cioè, avete perso! Che vergogna! Per colpa della vostra crapuloneria sto diventando uno zimbello! Io, che perdo…a Milano!”. Capezzone non si contiene. “Maestà, mi permetta l’insolenza, questa non-chiara-vittoria è stata pompata dalle indecenti tv della opposizione…”.Il premier è nero. Talmente infastidito che gli partono sei punti dal rattoppato volto in cacciù. Si rasserena solo vedendo le quattro bagasce in topless. Torna il sorriso. “Bene, prenotate loro un chirurgo che ci hanno poche tette. E pure le labbra da bocchino voglio, mi raccomando! Che così naturali e povere di spirito non le posso guardare, mi sembrano come quelle comuniste che vogliono un lavoro!”.Più conciliante, si siede sul trono d’oro zecchino ed ascolta le varie proposte per uscire dalla crisi (delle urne). Lo statista illuminato ha però ben chiare le cause della disfatta. “Innanzi tutto abbia…avete sbagliato la scelta dei candidati. Ma vedeteli, sono deboli, brutti, emaciati, impresentabili…come si poteva vincere con quelli? Anche il Milan ha perso per colpa di Leonardo!”. Cetto e Mestizia iniziano a singhiozzare in silenzio, con gran dignità. La Russa chiede al gran capo numi sulla Lega, teme la cospirazione poiché gli esponenti del carroccio sono i grandi assenti del consesso. “State sereni, la lega non tradirà. Non può. Me la sono comperata innanzi a ventisei notai, dando loro in cambio l’Italia.”. Poi, da vero capo, analizza gli altri motivi della debacle con un vaneggiamento senza fine: “La informazione faziosa! Annozero! Abbia…avete perso per colpa di Annozero, è evidente. Ma rimedieremo in parlamento per fargli chiudere la bocca a quelli lì. E poi…ci ho contro tutte le tv! Tutti contro di me!". Minzolini diventa color grigio-verde. “Maestà non so più cosa fare, potrei dichiarare in diretta il mio amore omosessuale per lei!”. Vespa è un poco spazientito. “Santità, lei dica ed io faccio…ma di più non saprei come. Se vuole mando una fiction sui magistrati eversivi e comunisti che fanno saltare in aria gli eroi della mafia col tritolo”. Emilio Fede s’infervora: “Presidente eccelso, una sola parola ed io mi faccio saltare in aria in diretta, per lei.Solo per lei…”."Bravi miei servi, bravi, così vi voglio. Ma occorre anche un cambiamento di strategia. Dobbiamo fare un rimpasto di governo. Voglio Maristelle Polanco ministra dello interno, Barbara Guerra agli esteri, Ruby all’economia, Massimo Boldi alla cultura, Gigi D’alessio al welfare ed il Gabibbo alle telecomunicazioni. Ma soprattutto, miei schiavi fedeli, abbisogniamo di un deciso cambiamento di rotta. La gente non crede più alla vostra propaganda. Dobbiamo rassicurare la suburra votante come i bei tempi. Promettere, promettere, promettere…sto pensando alla proposta illuminante, quella di garantire la vita eterna agli elettori della Pdl e la moltiplicazione dei danari che pioveranno dal cielo. Saranno tutti ricchi, ricchissimi ed immortali. Dobbiamo immettere nuovi danari nella economia!".Un avventuriero, prima di essere calato nella vasca dei piranhas, azzarda: “Nostra luce divina, mi consenta, ma così rischiamo il collasso. La catastrofe finale. Il paese morirà.”. Ello fa la faccia pensosa, cogitante: “E cosa vuole che sia. L’alternativa è perdere il potere, farsi processare". Quindi, come sul palco di Napoli intento a leggere i comandamenti delle libertà mascherati da domande retoriche al pubblico, mette la mano all'orecchio per udire la risposta: "Volete voi forse che processino il vostro Capo?”.“Noooo…”, rispondono allo unisono, prima d’intonare l’inno a Silvio.