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L'AMMAZZASENTENZE

Post n°215 pubblicato il 12 Marzo 2012 da chinasky2006
 

Foto di chinasky2006


Nella magnifica villa di famiglia Dell'Utri, che volge il suo austero e sobrio sguardo al lago di Como, si tiene un sontuoso buffet tra amici di vecchia data. Occasione dell'allegro convivio, la sentenza della Cassazione che ha recentemente dichiarato da rifare il processo all'anfitrione, già condannato per "concorso esterno in associazione mafiosa". Tutto da rifare, come negli indimenticabili anni del giudice Carnevale. L'ammazzasentenze. Quello che cassava tutto, perché la Cassazione cos'altro deve fare? Cassare. Vecchi mafiosi, terroristi, criminali della Magliana, delinquenti conclamati e condannati fino a quell'ultimo grado di giudizio a sei/sette ergastoli per strage mafiosa ed atti di cannibalismo, vedevano aprirsi le porte per la libertà. Ora, con il caso Dell'Utri non si è a quei livelli, ma poco ci manca. Un vizio di forma che porterà a nuovo processo. Pare, ma è solo un'indiscrezione, che l'imputato si sia firmato "Don Marcellone", rendendo nullo il procedimento.
In villa l'atmosfera è di composto giubilo e sobria commozione. Giungono alla spicciolata gli invitati, in una villa blindata e controllata da guardie armate di lupara, per preservare una certa intimità. Una passerella incessante: rinomati politici, piduisti con la gotta, vecchie baldracche in pensione, mafiosi storici, corleonesi della prima ora, rappresentanti delle mafie cinesi e russe, cannibali, superstiti delle bestie di Satana, killer di Capaci, picciotti amici d'infanzia, depravati ittici, cocainomani, papponi, esattori del pizzo, narcotrafficanti. Per una sera, anche chi ha donato alla causa i suoi sporchi servigi, deve partecipare alla festa. Non sarà un'assoluzione e nemmeno una prescrizione ma è pur sempre uno "scancellamento", come ci tiene a precisare nella sua pagina twitter un sempre intelligentissimo, bellissimo, sveglio e moderato Gasparri, novello vincitore del premio "trota" 2012. "A VIGLIACCONI ce volevate prova', ma v'ha detto male!" specifica il suo illuminato concetto, l'indecente sgorbio. 
Gli invitati entrano, pronunciano la parola d'ordine ("libertà"), si genuflettono sbattendo ferocemente le rotule e baciano l'anello del potentissimo Don Marcellone. Da Fidel Confalonieri al papale Gianni Letta, fino ad Emilio Fede stretto tra due diciottenni aspiranti meteorine moldave. All'interno della villa seicentesca gli astanti si dedicano ad un frugale buffet a base di "pisci spada", frutti di mare, ostriche e sciampagna costosissimo, accompagnati dalle delicate e struggenti note di "Ridi Pagliaccio". Sbocconcellano compostamente e ciarlano con la moderazione che si confà ai saggi. Dissertano di arte, cultura, musica sinfonica. Vittorio Sgarbi, istrionico e geniale come non mai, diviene protagonista della serata mettendosi al centro della sala, come i barzellettieri professionali. Inveisce contro i giudici assassini ed invoca il garantismo di classe come principio indispensabile: "Capre! Capre! Dovrete morire dopo aver patito inenarrabili dolori fisici, maledetti sifiltici invidiosi. Brutti ed invidiosi. E capre!". Poi assurge al capezzolo di Vittoriona Risi, procace ed elegante pornostar sua accompagnatrice. E due infermieri se lo portano via a braccia. Ma v'è unanime approvazione tra i rappresentati le più alte forme d'intellighentia di destra e gli innumerevoli artisti della libertà: Da Belpietro a Sechi, per passare a Bondi, quindi Platinette accompagnata dal fido Giovanardi. Per chiudere con la solita Iva Zanicchi invitata perché Toto Cotugno era indisposto ed Apicella costipato dopo l'esperienza dell'isola. 
Don Marcello è commosso quando scorge anche l'invitato d'onore: Silvio, il messia. D'un tratto s'interrompe il rumore di manducanti mandibole, ritmatamente a tempo con i locali scacciapensieri siculi. Sua santità eccelsa atterra col suo jet personale, accompagnato da dodici guardie svizzere e trentadue escort diciottenni. Non poteva mancare il suo omaggio al fedele all'amico d'infanzia. Quel tipetto scapigliato con cui nei ruggenti anni sessanta, tra crociere e barzellette, progettava e fantasticava su come mettere sotto scacco l'Italia con mafiose gassazioni di stato, sempre pulite-pulite. Silvio è incontenibile: "Tutto è bene quel che finisce bene, amici cari delle libertà! Auspicavamo una sacrosanta prescrizione, ma è già qualcosa che quella indegna sentenza sia cassata per sempre! Ora un nuovo processo, ma lo mandiamo a prescriversi in men che non si dica. Chiameremo a testimoniare seimilaeduecento mafiosi. Metà latitanti e metà ormai salme da riesumare. Ed arriviamo a matematica prescrizione. Esultiamo, e brindiamo alla libertà!". Applausi irrefrenabili, brindisi e cori da stadio: dai classicheggianti "Sil-vio! Sil-vio!" a "Li-ber-ta! Li-ber-tà!", fino a qualche spontaneo "Ma-fia! Ma-fia!" prontamente interrotto, affinché i faziosi non abbiano a pensar male. Rinvigorito con sangue di lattante unicorno albino, l'ex sultano riprende il comizio improvvisato. "Diciannove anni di calunnie vergognose! Un accanimento senza eguali ha colpito l'amico Marcello ed il sottoscritto. Hanno provato ad abbattere coloro che fondarono il nostro partito di libertà! Pensate amici...volevano farlo passare per mafioso...un uomo così buono, colto e saggio. Ma lo sanno quale cultura possiede? E vogliono metterlo sullo stesso piano di un mafioso ignorante che non ha nemmeno la licenza elementare!". Il divo di Arcore fa fatica a conchiudere il discorso, interrotto dalle belluine urla d'incitamento. 
Il corleonese martire della patria, a riprova delle parole del suo fraterno amico, invita tutti nell'imponente "sala della cultura". Quadri d'epoca che ello illustra con perizia: "Vedete questo quadro qui? Eh? Sapete quanto m'è costato? E la cornice d'oro massello? Ah già, sbadato...ci sta ancora il prezzo sopra...". Nella sala troneggia un busto aureo del Duce, salutato con fervida commozione dagli invitati. L'anfitrione mostra dunque gli indimenticabili ed autenticissimi diari di Mussolini. Vera chicca del colto uomo di lettere, da vero archeologo del sapere. Quindi illustra un simbolico affresco dell'eroe Mangano, ultramafioso e trentennale stalliere di Arcore, raffigurato nell'atto di schiacciare la testa a Falcone e Borsellino. Ed è qui che il momento si fa alto. Applauso scrosciante e lagrime che grondano dal viso del potentissimo senatore, che non si tiene: "Quest'uomo coraggioso e senza macchia è un eroe della patria. Pensate che, malgrado vergognose pressioni, egli tacque. Non fece nomi, non si pentì. Uomo d'onore d'altri tempi, mica un infame figgh 'e buttana!". Il messia è colpito da quelle parole, e promette che appena tornato al potere, tra le altre cose, provvederà ad intitolare una sala di Palazzo Chigi alla memoria del fido stalliere. "Eh sì, caro Marcello. Sempre più rari sono gli uomini in possesso di tali valori cristallini...ma ora basta parlare di brutture...pensiamo al bene. E che ancora c'è qualche giudice equo!"
Il neo cassato annuisce: "Tiene ragione santità...come diceva l'amico zu Totò, ogni cosa s'aggiusta. Pure le sentenze s'aggiustano...". E via ad un brioso rutilar di valzer viennesi, prima che la gaiezza empisse i loro animi superiori intenti a rimirare un maestoso spettacolo pirotecnico. Tra fuochi d'artificio e colpi di lupara che risuonano nell'aere.

 

 
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