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QUATTRO FASCISTONI E UN FUNERALE

Post n°249 pubblicato il 06 Novembre 2012 da chinasky2006
 




Foto di chinasky2006 su Libero.it



E’ sera. Preparo la frugale cena dell’orfano dei “ristoranti sempre pieni”. Sgargarozzando una birretta vedo il cine-notiziario, con cupidigia. Uh-uh. Roba forte. Da sboccare di colpo la sbobba, prima ancora che raggiunga l’esofago. Notizia interessante. Kitch-horror-trash. Un violento thriller di quelli che definire noir, sarebbe riduttivo. Di un nero fuliggine. Nero fascio, ecco.
Al funerale di Pino Rauti c’era la crème di quello che è il fascismo più “puro” in Italia. Un happening balilla per dare l’ultimo saluto al padre fondatore di Ordine Nuovo e più volte tirato dentro in storie di servizi segreti, massonerie e grandi misteri irrisolti dell’Italia recente. Sfilano amici della gioviale infanzia manganellante, politici e cittadini. Da Er Pecora al nostalgico militante.
Mancano i costumi di scena, le camicie, i fez di quel drappello di giullari vestiti a maschera riunitisi a Predappio sulla tomba del duce. Poco male. Ogni nazione ha i suoi nostalgici svitati. Negli Usa ogni tanto si radunano buontemponi dall’occhio ceruleo che ripropongono teorie naziste. Materia per manicomi con sbarre rinforzate. Avviene anche in Italia. Il folklore da frenocomio bisogna darlo per scontato. Nostalgia canaglia per un passato ed un’ideologia col carico di doppia colpa: aver fallito miseramente ed esser stata dichiarata anche criminale. 
Fan poco testo quelli. Alle esequie del maestro indiscusso della destra italiana pura (senza mica le pagliaccesche contaminazioni del guitto di Arcore, dei Fini ripuliti o farseschi colonnelli che han finto di diventare democratici), c’erano proprio tutti. Neri, cupi, col petto in fuori. Nostalgici e fieri, ma asciuttati del ridicolo effetto carnascialesco di Predappio. Si sprecano saluti romani al loro padre politico e inni al “Camerata Pino”. Sono lì, copertina di un trattato di fisiognomica. Qualcosa che senza volersi addentrare in discorsi folli nella loro essenza politica, balza all’occhio.
Osservo rapito e vinto dall’orrore. E penso che tutta questa campagna di terrore per Grillo forse non ha senso. Anzi, al politico genovese che draga a nuoto lo stretto di Messina manco fosse il figlioccio putativo del precursore Giancarlo Cito, si deve riconoscere un merito: Aver incanalato il vento di protesta, che altrimenti avrebbe virato su questi squadristi agghiaccianti, come avvenuto in Grecia. Perché, lo sappiamo, non è che il popolo italiano non abbia memoria. Ha proprio l’Alzheimer. Avrebbero dato fiducia anche a neofascisti ammiratori della Costituzione antifascista.
Entrano in chiesa. E nessuno sa che il meglio del loro peggio deve ancora svelarsi al mondo. Il prete celebra l’omelia funebre. I camerati crudi e puri avvistano da lontano l’ignobile traditore, Fini. Vile disertore. Colui che sedotto dal serpente Berlusconi tradì il verbo, limonò e copulò con il potere (tranne poi scoprirsi sdegnato dal prono coito). Fini il nemico giurato della coerenza fascista che non voleva essere sdoganata, ma che un poco gli piaceva. Solo la punta, come le viziose. Non si capisce perché invece i colonnelli del Pdl sfuggano alla furia di quest’anelito di purezza. Qualcuno vorrebbe arrivare al Presidente della Camera per cantargliene quattro. I più nostalgici anche menar qualche maschia manganellata nelle gengive, trattenuta a lungo. Una sonora lezione che gli faccia comprendere il verbo antico. Quello di cui anch’ello s’era nutrito in giovinezza (giovinezza). Gaglioffo e subdolo, il fascio che vendette le loro maschie idee, ripudiò il capoccione splendente e possente come i raggi del sole. Un gotto di olio di ricino per quell’oncia di finto libertarismo. Una poltrona barattata con l’amato manganello. Non più la negra camicia, ma il negro al voto. Delittuoso l’abbraccio alla faccetta nera una volta colonizzata in patria, ed ora spedita al seggio italico. Fino a lassiste concessioni ai diritti civili di frocerie, oppositori, invertitismi fisici, politici e quant’altro. Inaccettabili derive civili invece di recinti e purghe sananti.
Fini ha osato ieri, quasi come sberleffo per la loro mentalità, presentarsi in una chiesa. Ad omaggiare il nemico di vent'anni fa. In linea con una certa qual pìetas, battaglie politiche a parte. Terreno neutro, la chiesa. Un funerale, figurarsi. Luogo che olezza d’incenso, e dove vige religioso silenzio e nemmeno i criminali possono essere toccati. Regole buone per tutti, ma non per il ferito animo balilla, nero come la pece nera. Eccola allora la reazione belluina: grida, urla, insulti, sputi, rutti, peti e livori d’ogni sorta e violenza fisica evitata d’un soffio. Coerenti, a loro modo. La vendetta camerata all’interno di quello che pure dicono di rispettare come edificio del loro culto. E’ un trionfo di facce, sguardi ed odi tristemente antichi. Devono addirittura intervenire il prete e la figlia dello scomparso, per invitarli al silenzio e ad una decenza umana.
Guardo le immagini e mi chiedo cosa avrebbe pensato lo scomparso. Provato vergognato. O sarebbe stato fiero, per un atteggiamento che rispecchia i suoi insegnamenti. O magari forse entrambe le cose, che intimamente s’equivalgono.



 
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