RISVEGLIO INTERIORE

UNA VOLTA LA CHIAMAVO LIBERTA'


Una volta chiamavo la schiavitù libertà, soltanto perchè non ero capace di immaginare oltre i limiti delle pareti del recinto nel quale mi ero confinato. L'arbitrio libero che tanto proclamavo è stato un mito che è esistito in me fino a quando mi sono raccontato, fino a quando sono stato convinto di ciò: io sono questo corpo-mente. L'identità con la carne, con l'emozioni, con i pensieri e sentimenti, pur se rosei e celesti, mi dava un senso vertiginoso che appariva scelta, mentre in realtà ero relegato, vagante e sordo, in una prigione dalle sbarre invisibili e inafferrabili. Quando questo credermi persona cadde, il senso dell'interdipendenza con il Tutto divenne sempre più smagliante, evidente oltre ogni titubanza. Stupore e meraviglia mi avevano invaso, e avevano dissolto l'immagine di me. Non esisteva più la libertà dell'io, ma esisteva ora solo la libertà dall'io. Ora sapevo che la liberazione dal presunto libero agire, da me creduto suprema e umana legge, era invece il tabù più difficile da smontare che ci fosse. Un tabù che ci accompagna da sempre. Allora non sapevo che a colui che è immerso sognante in questo potente credo non piaceva vedersi morire sull'altare alchemico della mistica rinascita. Questa effimera entità non voleva e non poteva lasciare il posto, sorridendo, al soffio pulsante del Sè infinito. Adesso invece so che non ho confini, ma li creo creo consapevolmente per danzare con il mistero della Vita.