RISVEGLIO INTERIORE

APPROFONDIRE L'INDAGINE


Quando ci sentiamo assalire da una inquietudine, da un malessere, da una sofferenza, per prima cosa noi vogliamo eliminarla, dissiparla, cercando di modificare le cause esterne: ambiente, oggetti, persone, ecc. Davanti al fallimento di questo intervento, il quale non risolve mai la questione, noi dovremmo imparare a non agire più sulle circostanze che ci hanno fatto soffrire, ma ci dovremmo invece domandare: chi è colui che soffre? Io soffro. Dunque, chi sono io? Se il problema è veramente sentito, la domanda si carica di forza psichica e permette di approfondire l’indagine. L’essere umano è pieno di concetti su ciò che esso è. Associa il pronome “io” a molte qualificazioni, e questo “io” identificato nell’ organismo corpo-mente si prende per un’entità indipendente. Ciò lo rende legato, a vari livelli, dal morale all’intellettuale…al fisico. Questa, per me, è la causa prima delle sue difficoltà. Con un esame sempre più profondo, invece, si può constatare che le percezioni dipendono da chi le percepisce. Inoltre, si può scoprire che esse sono in continua trasformazione attraverso le età dell’esistenza: che va dall’ infanzia alla giovinezza, dalla maturità alla vecchiaia, e che colui che le osserva si trova al di fuori di esse. A quel punto si comprende che lo sconforto che ha fatto nascere la domanda “chi sono io?” dipende da un “io” abituato a porsi come attore, pensatore, colui che soffre. Volersi sbarazzare della sofferenza, del conflitto, o diminuirli, non cambia nulla, dato che quando ci si pone come un “io” volitivo è proprio questo che ci lega alla sofferenza. Questo “io” volitivo è sottomesso a tutte le fluttuazioni del condizionamento: paura, disagio, ecc., egli è un ego, una pseudo-entità. Quando questa situazione è vista per ciò che è, si elimina portando via con sé tutti i problemi. Perchè è stata percepita nel momento dell’atto da uno spettatore totalmente impersonale e disimpegnato; quando lo vediamo, questo io-testimone, non è più un concetto, ma un “io sono” vissuto. Tutto ciò che ha preceduto l’“io sono” è riassorbito in uno stato di lucidità silenziosa. Allora la sofferenza non è più vissuta come un carico personale, ma una testimonianza di una condizione. E non è la stessa cosa. La sofferenza c’è, ma senza un qualcuno che afferma “io soffro”. E lo sfondo nel quale dimora la Consapevolezza che noi siamo è serena presenza osservante. Ci accade di percepire nuvole di dolore scorrere animate nella nostra mente, mordere il nostro corpo, ma senza coinvolgere il Sé, ormai riconosciuta fonte inesauribile di pace e beatitudine, nostra intaccabile Essenza.