RISVEGLIO INTERIORE

Il fiore e il frutto dell'Essere


Quando cominciamo risvegliarci vediamo dentro di noi qualcosa che si apre come un fiore. Notiamo che qualcosa sta spostando la nostra immagine di come siano le cose. Scopriamo che non siamo più così inclinati a sapere sempre chi siamo. E’ l’esperienza che sembra importare di più, l’essere, che troviamo di valore. Sembra che mentre lasciamo cadere il voler possedere l’esperienza e la lasciamo svilupparsi, il fiore si apre sempre di più, il cuore si apre sempre di più.E, in qualche modo, sentiamo che ogni cosa andrà bene, che le cose funzioneranno proprio come dovrebbero. Qualche volta è doloroso, qualche volta estatico, ma sempre, in qualche modo, perfetto. Mentre penetriamo sempre più profondamente diventa evidente che è la chiarezza trasparente del vedere che nutre il nostro aprirsi, mentre poco importano gli oggetti che osserviamo. Prima di tutto non riusciamo a immaginare come abbiamo potuto non vedere la perfezione o come potremmo mai più perderla. Come potremmo mai essere ancora ciechi al modo semplice, naturale, perfetto, in cui sono le cose? L’esperienza è semplicemente esperienza. E se guardando in quel fiore vediamo un momento di avidità o di egoismo o di paura, lo vediamo nel contesto di quella perfezione, dentro quella chiarezza, e non è che un altro petalo di quel fiore. Vediamo che è tutto naturale. Il nostro egoismo non ci fa sentire separati. Vediamo come siamo naturalmente egoisti; senza alcuna condanna: lo vediamo così come è. Perfetto. Nessun bisogno di separarci a causa sua. Pieni di auto-perdono, pieni di abbandono, pieni di comprensione. E’ lì, ma non è noi. Non è che un’altra cosa che si manifesta. In noi c’è spazio per ogni cosa. Così alla fine stiamo diventando chi abbiamo sempre desiderato essere, liberi da tante immagini protettive e dai bisogni che in passato ci hanno causato tanto disagio. Ma vediamo che anche questo “me meraviglioso” deve essere lasciato andare. L’essere che siamo diventati è ancora separato, anche se più sano. C’è ancora un sottile “qualcuno” che fa esperienza di tutto e che vuole continuare ad aprirsi. C’è qualcuno che ancora non si è del tutto fuso, non è ancora scomparso; ancora qualcuno che sta cercando la perfezione delle cose. E’ allora che realizziamo che il fiore deve morire perché possa nascere il frutto. Riconosciamo che il fiore esiste solo a un livello più sottile della mente e che anche quella perfezione è un concetto di come le cose devono essere e che può diventare una sottile separazione che permette a “qualcuno” di osservare la perfezione. Ci rendiamo conto che dobbiamo lasciare andare il fiore così che possa cadere e fare spazio al frutto. Non c’è nessuna descrizione possibile del frutto, non importa quanto ci sforziamo di descriverlo stiamo ancora descrivendo il fiore. Il frutto non esiste nella mente, nel linguaggio, la mente dà forma al fiore, ma l’attaccarsi alla forma e alla mente deve essere abbandonato per poter rivelare il frutto, perché il nostro volto originario possa manifestarsi. Questo frutto, pienamente maturo in esseri come Cristo o Budda non ha semi, nulla da essere rinato, nessun desiderio di creare karma, nessuna sete di soddisfazione. Questo frutto non perisce ma rimane come un’offerta a tutti quelli che verranno.da 'A Gradual Awakening' di Stephen Levine