gemini

Attaccato al muro insieme all'ombra XLI


Feci appena in tempo a vederlo prendere la strada della toilette cheIo ero già sulla ben nota e riconoscibile via per l'obitorio. La testami girava forsennatamente e le gambe mi reggevano a malapena, masapevo di dovere resistere per mio padre, per mia madre, per Danilo.Attraversai corridoi asettici e ogni tanto incontravo qualche coppia, opiù persone che si sorreggevano stravolte dal dolore. Avevo pianto durante quella terribile cavalcata insieme alla pena? Non lo ricordavopiù. Adesso mi sembrava di avere del marmo al posto delle guance dove ogni tanto si posava l'umida carezza di una lacrima. Ma nulla di diverso. Era come se il lutto continuo mi avesse cristallizzato escolpito con cura, mi muovevo simile a un automa; ero cosciente che ci sarebbero voluti anni per metabolizzare quello che stavo sperimentando in pochi minuti. Il cammino era lungo e mi permetteva di sentire con chiarezza la congerie di pensieri che si agitava nel cervello, sbattendo contro le pareti craniche. Non v'era un nesso,un filo logico: ogni tanto canticchiavo tra me e me e subito un pensieromolesto si insinuava con visioni di ferrovie, di uomini e donne in un letto, di bambini che giocavano nei prati. Solo dopo un quarto d'ora miaccorsi di avere sbagliato direzione e di essere finito nel reparto di cardiologia. Un'addetta mi accompagnò dolcemente sulla giusta stradae tornai a procedere con i ricordi e i pensieri che non la smettevanodi straziarmi e di confondermi. Fu quando le mie gambe stavano rifiutando di reggermi oltre che giunsi davanti alla morgue. Mi sorpresedi trovare una famiglia intera ad attendere il proprio turno, e la cosami indispose. La morte non metteva la freccia e non aveva diritto di precedenza. Mi avrebbero sentito allo sportello reclami! Vi sono attimiin cui non si può abbandonarsi come sempre alla burocrazia ospedaliera,oppure era una cosa normalissima ed ero solo Io a stare sclerando?Pensai a Danilo, che forse in quel momento stava seguendo le mie tracce verso l'estremo saluto a nostro padre. Provai un senso di vertigine e mi sedetti su un pancaccio. La famiglia di fronte a me restava in piedi e non smetteva di singhiozzare. Pensai a chi avessero perduto: un figlio? Una nonna? Il mondo fuori dagli altissimi finestroni sembrava sbarrato e nulla trapelava delle piccole,allegre gioie, delle partite a pallone, dei videogiochi elettronici, dellescopate, dell'alacre lavoro dei dipendenti di tutte le ditte del mondo.Sentivo montarmi la rabbia a rimpiazzare la confusione mentalequando la famigliola venne invitata a entrare. Se tardavo ancora un poco pensai che avrei avuto accesso con Danilo. Non doveva essere molto lontano, a meno che non si stesse perdendo fra oncologia e neuropsichiatria infantile. Accavallai le gambe e mi lisciai la riga dei pantaloni per non assopirmi. L'unica cosa che mi risultava perfettamente chiara era che fossi completamente solo in un mondo dove non esisteva il minimo rumore e le pareti eranoaffrescate di bianco e di sbavature di azzurro. Suggerivano il cielo?Forse questo era l'intento ma Io allungavo il collo verso i corridoinell'attesa della venuta del mio fratellastro.(Continua)