gemini

Attaccato al muro insieme all'ombra XLII


Ma nessuno si affacciava dal fondo della sala e il rumore dei passiera solo quello degli addetti. Qualcosa mi faceva agitare dentro edalla fissa passività ero trascorso ai più cupi pensieri, non restavolì seduto simile ad un automa ma diventavo preda di un'irrequietezzaferoce chi mi portò ben presto ad alzarmi e a passeggiare nervosoper il vasto locale. Ad un tratto udì un lievissimo cigolio nella porta e la famigliola uscì fuori con il suo miserevole carico di ricordi e di dolore. Era il mio turno. Ma la porta si richiuse. Tic burocratici, pensai,e tornai a solcare il pavimento seguendo una linea invisibile. "Maperché non arriva?" Riflettei "Ci vuole così tanto per andare al cesso?Si sarà perso in qualche meandro oscuro? Avrà avuto una crisi di rigetto e ora sto vomitando nei bagni?" Tutto era possibile ma nulla era facile. Quello che sentivo a livello epidermico era il bisogno folledi quel disgraziato fratello, la sua presenza al mio fianco mentre andavamo insieme a riconoscere nostro padre. E invece non appariva.Guardavo demente le lancette dell'orologio che trascorrevano implacabili, e alla fine venne il momento che mi convocarononell'obitorio propriamente detto. Tremai lievemente e i piedi si incollarono al terreno per qualche istante, poi con uno sforzo supremomi misi in movimento ed entrai sbattendo vorticosamente le ciglia. Lì,in quel gelido ed enorme stanzone ritrovai mio padre e lo salutai con un bacio sulla fronte. Ero meravigliato di me stesso. Presi i suoi effetti, salutai cortesemente e mi ritirai. Ora cosa mi restava da fare?Ero stato tradito nel momento supremo dal mio fratellastro, nel qualeavevo riposto tante speranze, e ora ero davvero solo. Ma non poteva finire così! più trascorrevano i secondi più si accelerava la mia camminata verso i bagni dell'ospedale. Entrai ma non lo vidi in giro. Guardai sotto leporte girevoli e vidi gambe divaricate di uomini impegnati a pisciare.Solo sotto al cesso 14 vidi un fagotto con dei capelli riconoscibilissimi e un braccio teso verso l'uscita. Mi misi a urlare e diedi un calcio talmente forte da scheggiare il legno intorno alla serratura. Subito accorse una marea di persone e di infermieri, arrivò subito anche un energumeno con il necessario per scassinare la porta. Così fecero molto rapidamente e apparve il corpo di mio fratello disteso al suolocon ancora la siringa piantata nel braccio, e il cucchiaio annerito dento al lavandino. Capii che stavo per svenire ma qualcosa di piùforte mi fece restare saldo mentre venivano portati i primi soccorsi.Era una luce intensissima che rimbalzava dall'esterno sulle piastrellee mi diceva che il figliol prodigo era definitivamente tornato a casa.Lì in quel cesso di ospedale ebbi la visione che Danilo si sarebbesalvato anche a sé stesso e che saremmo tornati nel nostro nido.Mentre osservavo da vicino i primi soccorsi sentivo le parole di scandalo della gente, ma non mi toccavano. Ciò che contava era che nella feccia stava avvenendo un miracolo e che, mentre correvodietro alla barella verso la sala rianimazione, un sorriso di confortosi allargava da un orecchio all'altro. Invece della paura vivevo nel sollievo. Con uno scatto poderoso superai tutta la squadra di emergenza e sfiorai con le dita la mano bianconera di Danilo.Poi venni travolto e caddi al suolo. Quando mi riebbi stavo su una sedia a rotelle e i medici mi parlavano. Io avevo perso i sensi ma mio fratello ce l'avrebbe fatta. Così, mi dicevano battendomi sulle spalle: mio fratello l'avrebbe scampata. E Io con lui, pensai. Io con Lui.(Fine)