QuartaParete

I DRAMMI 'DI SPIRITO' DI SVET


Un teatro onesto, la piecé di Tolstoj, nell’edizione completata e corretta da Macrì/SciaccalugaSvet – La Luce splende nelle tenebreDi Lev TolstojVersione Italiana Danilo MacrìRegia Marco SciaccalugaScena Jean-Marc StehléCostumi Catherine RankiMusica Andrea NicoliniLuci Sandro Sussi Durata: 3hTARGET - Spettatore livello EXPERT dai 25 anni in su- Interessante
DRAMA – E’ la vicenda di un uomo che fa i conti con il suo presente da ricco proprietario terriero nella Russia di fine 800 e del suo grottesco tentativo di sfuggirgli, in virtù di una ‘cristianità’ evangelica che lui esalta, contrariando i princìpi fondanti della Chiesa. “La vita è soltanto una, o la usiamo come i Santi o come coloro che la sprecano.” La sua provocazione genera scontro familiare e sociale, intaccando l’anima di alcuni frequentatori abituali del suo salotto, preti compresi. Nicolaj è un redento, un ‘toccato dalla fede’, un uomo che ha vissuto all’oscuro e che finalmente vede la luce. Discute, celebra e reinterpreta Sacre Scritture, luoghi e personaggi; vuole pianificare una sua povertà e lavare così la sua coscienza restituendo il ‘mal tolto’. Un lavoro sull’ideologia e i suoi sensi e controsensi, che pone volutamente, o storicamente (essendo ispirata alla crisi personale di Lev Tolstoj), il concetto di Cristianesimo e quello di Chiesa ad antipodi concettuali. “Un uomo non può essere considerato un uomo se si mette a calpestare un altro uomo”. I suoi buoni propositi, osteggiati saldamente dall’intera famiglia, moglie in primis, restano però incompiuti innescando il tragico epilogo della vicenda. Boris, promesso sposo della figlia di Nicolaj, rifiuta l’obbligo dell’arma in nome di quel ‘Cristo’ tanto ascoltato e viene rinchiuso in manicomio; così, la madre di Boris, caduta in disgrazia (umana ed economica) per la perdita dell’unico figlio, con un colpo di pistola al cuore, pone fine ai ‘drammi di spirito’ di Nicolaj.SET – Sul palcoscenico, quella ‘luce che splende tra le tenebre’, si compone, in maniera figurata, attraverso una scenografia firmata Jean-Marc Stehlè; una radura grigia fatta di alberi rinsecchiti (un’amato-odiato bosco) che sono ‘casa’ per Nikolaj e famiglia. E’ la terra, la sua terra, quella che egli stesso, adesso, vuole e ‘deve’ ridare ai legittimi proprietari, “Quelli che la terra la lavorano”. La luce irrompe da sinistra come un’alba perenne e divina ed illumina la radura e il cammino di ‘carità’ di Nikolaj che nel frenetico tentativo di spogliarsi dei suoi averi attraversa, osservando, povertà umane e materiali. “Ecco su cosa costruiamo la nostra felicità, morte e sofferenza altrui”. ACT -  Vittorio Franceschi è un Nikolaj profondo, voluto e riuscito compromesso tra ragionata follia e inoperosa umanità. La mancanza di carattere (irreligiosa) si acutizza alla presenza dei drammi che egli stesso crea nella vita degli altri e da cui ne’ esce con un semplicistico “Se il Signore vuole così!”. ‘Antagonista’ è l’ottima Orietta Notari nei panni della moglie Mar’ja, in grado di mantenere in equilibrio l’intero sistema, imponendo la famiglia come unica e vera priorità in virtù della quale rinunciare anche all’amore del (e per il) marito. Senso più che Cristiano. Pregevole il lavoro di Pier Luigi Pasino che interpreta il Boris ‘cristianamente corrotto’ e di Fiammetta Bellone nel ruolo di sua madre.MOOD – La cornice è sostanziosa; i drammi si completano in tappeti sonori e voci/rumori fuori campo, che allungano lo spettro d’azione oltre la quarta parete: la platea diventa bosco e le quinte solo provvisorio limite spaziale, quasi cornice, appunto di una fotografia d’epoca (l’istante di un tutto). Dialoghi serrati e brusche inaspettate ironie rendono il testo più agevole, rese possibili dalle buone capacità del cast di 15 attori diretti da Marco Sciaccaluga. L’adattamento è coerente, specie nel finale, che rimasto incompiuto, è stato ricostruito da Danilo Macrì su appunti dello stesso Tolstoj. La messinscena stilisticamente moderna affronta con pathos d’altri tempi, conflitti, paure e tensioni di oggi, dove lotte tra classi, violenze/incoerenze religiose e tensioni familiari sono il tessuto cognitivo del costante sopravvivere.In scena fino al 2 MARZO 2008Al Piccolo Teatro di MilanoUna produzione Teatro Stabile di Genova