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« Tomaso Castellani 2Vita Nova 25-30 »

Canzoniere inedito 7

XXXI.

Le lunghe angoscie e li sospiri tanti,
Che sì m'hanno da ogni nova fatto diverso,
Tengonmi a quel fin misero converso.
Che tutti aspetta gl'infelici amanti.

E mi vi affretto, che in amari pianti
Pel mio duro pensiero io vivo immerso:
E m'avveggo già ben che l'universo
A me vien manco, e si dilegua avanti.

Dunque sia tosto quello estremo giorno
D'una si amara e sconsolata vita
Ch'io voli sciolto al mio principio attorno.

Venga lo istante della mia partita,
Però che in questo spiacevol soggiorno-
Cosa non è che più siami gradita.

XXXII.

Dopo un dì breve, anzi uno istante, in cui
Nulla dir ti potei di quel ch'io provo
Con mio troppo stupor, donna, mi trovo
Che il sol tramonta, e me ne lagno a lui.

E dal tuo fianco, ove sì lieto fui.
Poco indi appresso con dolor mi movo,
Parendomi li raggi del dì novo
Esser da me rimoti un anno o dui.

Grazie a Morfeo pem: parte dell'ore
M'empie benigno senza mio pensiero
E parte a te mi riconduce in sogno.

Il qual, fingendo immagine del vero.
Quello mi mostra a cui vegliando agogno.
D'esserti accanto a ragionar d'Amore.

XXXIII.

Colui che dopo il ciel, la terra e il mare
Ed ogn'altra men degna creatura,
A sua perfetta immagine e figura
L'uomo, e la donna a lui, volle creare:

Lor diede un'alma che tenesse care
Le sacrosante leggi di natura
Di cui primo bisogno e prima cura
Fece che fosse e tuttor sia lo amare.

Per questo il cuore che lor pose in seno
Causa è del moto, il moto è della vita
Principio, e questa di ciascuno affetto.

Ma come da voler non è impedita
La causa mai, così non mai lo effetto
Ricever può sin ch'ella duri un freno.

XXXIV.

Dopo un dì lungo, anzi un lungo anno, ch'io
Qui diviso da te non avea pace,
Più non essendo d'indugiar capace,
Mi mossi al ritrovarti, idolo mio.

Ma, a mezzo il calle, impetuoso e rio
Mi si parò davanti un oan mordace,
Negandomi il passar donde fugace
L'anima mia da me si dipartio.

Del tracio cantor tanto si dice,
Cui spinse Amore al varco acheronteo
In cerca della sua bella Euridice.

Nè quiv'io, che in te sol vivo e mi beo,
Già m'arrestai, ma vinsi, e fui felice
Porse non men dell'amoroso Orfeo.

XXXV.

0 tu, cui d'ogni qualità più cara
Vive ogni donna di quaggiù soggetta
Deh per qual mezzo puoi temer di gara
Che poi ti mandi dal mio cuor negletta?

In te meglio confida, e accorta impara
Ch'ella è per creder mio troppo imperfetta
Qual più da lingua de' tuoi pregi ignara
Sia valorosa ed ammirabil detta.

Io guardo il Mondo, e volgo gli occhi in giro;
Ma sempre che a veder fermo le ciglia,
Te fra le cose ed i miei sguardi miro.

Però l'anima mia si riconsiglia
Di amare inflno all'ultimo sospiro
Te sua donna allegrezza e maraviglia.

Giuseppe Gioachino Belli
Da "Il Canzoniere inedito di G. G. Belli", Estratto dal fascicolo di gennaio 1916 della Rivista d'Italia - Roma Piazza Cavour, Roma - Tipografia dell' Unione Editrice, via Federico Cesi 45
In "La Età dell' Oro", Roma dalla Tipografia Salviucci, 1851

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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