Quid novi?

Eleonora Fonseca Pimentel


Eleonora Fonseca PimentelQuelli che seguono sono i cinque sonetti di Eleonora Fonseca Pimentel, giustiziata nel 1799 per aver partecipato alla rivoluzione napoletana antiborbonica, composti in occasione della morte del suo unico figlio. All'epoca la Pimentel era membro dell' Accademia dell' Arcadia ed era conosciuta con il nome arcadico di Altidora Esperetusa. Era usanza, in tale accademia, che un nuovo membro dovesse scegliere un nome arcadico (abbastanza strampalato), rispondente a precisi criteri, con il quale veniva individuato nelle varie raccolte di componimenti poetici (l' Accademia ne pubblicò ben 14, nel corso del XVIII Secolo). IFiglio, tu regni in Cielo, io qui men restoMiseria, afflitta, e di te orba e priva;Ma se tu regni, il mio gioire è questo,Tua vita è spenta e la mia speme è viva.Anzi la Fede e cresce e si ravviva,E per essa al dolor la gioia innesto:Chè il viver fora al paragon molesto,E tutto ottien chi al tuo morir arriva,E parte di tua gloria in me discende,Chè l’esser madre di uno spirito elettoL’alma devota in caritate accende.Ma il laccio di natura in terra é stretto.Ah, se per morire ancora in Ciel si stende,Prega tu pace all’affannato petto! IIFiglio, mio caro figlio, ahi! l’ora é questaCh’io soleva amorosa a te girarmi,E dolcemente tu solei mirarmiA me chinando la vezzosa testa.Del tuo ristoro indi ansiosa e prestaI’ti cibava; e tu parevi alzarmiLa tenerella mano, e i primi darmiPegni d’amor: memoria al cor funesta.Or chi lo stame della dolce vitaTroncò, mio caro figlio, e la mia pace,Il mio ben, la mia gioia ha in te fornita?Oh di medica mano arte fallace!Tu fosti mal accorta in dargli aita,Di uccider più, che di sanar, capace. IIISola fra miei pensier sovente i’ seggio,E gli occhi gravi a lagrimar m’inchino,Quand’ecco, in mezzo al pianto, a me vicinoImprovviso apparir il figlio i’ veggio.Egli scherza, io lo guato, e in lui vagheggioGli usati vezzi e ‘i volto alabastrino;Ma come certa son del suo destino,Non credo agli occhi, e palpito, ed ondeggio.Ed or la mano stendo, or la ritiro,E accendersi e tremar mi sento il pettoFinché il sangue agitato al cor rifugge.La dolce visione allor sen fugge;E senza ch’abbia dell’error diletto,La mia perdita vera ognor sospiro. IVO splenda il sol, o tuffi il carro adorno,Ovunque gli occhi di fissar procuro,Sempre presente al mio pensier figuroDella morte del figlio il crudo giorno.Le meste faci scintillargli intornoDell’ombre io veggio in fra l’orrore oscuro,E agonizzar spirante il raffiguroSe, dove luce, a rimirar ritorno.E se, cercando al mio dolor conforto,Talor m’involo alla spietata soglia,Dubbio e spavento, empi compagni, io porto.E allor che fra le mura il piè riporto,Parmi che in tetra faccia ognun m’accoglia,E gridi: - ahi te infelice, il figlio è morto! VLe meste rime del Cantor toscanoLessi sovente e piansi al suo dolore,Compassionando lui che per amoreLaura piangeva e la piangeva in vano.Poichè con cruda inesorabil manoMorte del figlio mio troncato ha l’ore,Sfogo in versi pur io l’afflitto core,E il duol raddoppio per sè stesso insano.Or chi più giusto oggetto a’ pianti suoiEbbe, e in affanno più crudel si dolse?Anime di pietà, ditelo voi.D’accesa mente acerbo frutto ei colse,Io di dover, che più sacro è fra noi:Ei perchè volle, io perchè il Ciel lo volse.  Sonetti di Altidora Esperetusa in morte del suo unico figlio, di E. De Fonseca Pimentel,  Napoli 1799