Quid novi?

A Benedetto Varchi (Sonetti)


XXVII.A Benedetto VarchiVarchi, da cui giammai non si scompagnail coro de le Muse, e ch'a l'affannocom'a la gioia, a l'util com'al danno,sempre avete virtù fida compagna;qual monte, o valle, o riviera, o campagna,non sarìa a voi più che dorato scanno:se come fumo innanzi a lei sen vannogli umani affetti, ond'altri più si lagna?O perché errar a me così non licecon voi pe' i boschi, com'ho 'l core acceso,de l'onorate vostre fide scorte?Ch'avendo ogni pensiero al cielo inteso,vivendo viverei vita felice,e morta sperarei vincer la morte.XXVIII.Allo stessoVarchi, il cui raro e immortal valore,ogni anima gentil subito invoglia,deh! perché non poss'io, com'ho la voglia,del vostro alto saver colmarmi il core?che con tal guida so ch'uscirei fore,de le man di fortuna, che mi spogliad'ogni usato conforto: e ogni mia dogliacangerei in dolce canto, e 'n miglior ore.Ahi! lassa, io veggio ben che la mia sortecontrasta a così onesto e bel desire,sol perché manch'io sotto l'aspre some.Ma s'a me pur così convien finire,la penna vostra almen, levi il mio nomefuor degli artigli d'importuna morte.XXIX.Allo stessoQuel che 'l mondo d'invidia empie e di duolo,quel che sol di virtute è ricco e adorno,quel che col suo splendor un lieto giornochiaro ne mostra a l'uno e all'altro polo:quel sete Varchi voi, quel voi che solo,fate col valor vostro oltraggio e scornoa i più lontan, non ch'al vicin d'intorno;ond'io v'ammiro, riverisco e colo.E di voi canterei mentre ch'io vivo,s'al gran soggetto il mio debile stile,giunger potesse di gran spazio almeno.O pur non fosse a voi noioso e schivoquesto mio dire, scemo e troppo umile;che per voi renderassi altero e pieno.XXX.Allo stessoSe 'l ciel sempre sereno e verdi i prati,sieno al bel gregge tuo, dolce pastorevero d'Arcadia e di Toscana onore,più chiaro fra i più chiari e più pregiati;se tanto in tuo favor girino i fati,che mai tor non ti possa il dato coreFilli, né tu a lei tuo santo amore,onde vi gridi ogni uom saggi e beati:dinne, caro Damon, s'alma sì vilee sì cruda esser può, ch'essendo amatarenda invece d'amor tormenti e morte.Ch'io temo (lassa) se 'l tuo dotto stilenon mi leva il dubbiar, d'esser pagatadi tal mercede, sì dura è mia sorte.XXXI.Allo stessoDopo importuna pioggias'allegrano i pastor, quando 'l serenociel si discopre lor di stelle pieno;e dopo 'l corso de l'instabil luna,ne l'apparir del sole,gioisce ogni animal che brama il giorno;e l'alto Dio lodar ben spesso suole,dopo l'aspra fortuna,spaventato nocchier al porto intorno;e 'l Varchi è al suo ritornoseren, sol, porto: e chi ha d'onor disìo,si rallegra, gioisce e loda Iddio.I primi 21 sonetti de "Le Rime di Tullia d'Aragona" sono reperibili sul blog Bibliofilo Arcano, in vari post sotto il tag Tullia d'Aragona. In questo blog sono stati pubblicati altri cinque suoi sonetti