Quid novi?

A Piero Manelli


XXXVIII.A Piero ManelliPoi che mi dié natura a voi simileforma e materia, o fosse il gran Fattore,non pensate ch'ancor disìo d'onoremi desse, e bei pensier, Manel gentile?Dunque credete me cotanto vile,ch'io non osi mostrar, cantando, fore,quel che dentro n'ancide altero ardore,se bene a voi non ho pari lo stile?Non lo crediate, no, Piero, ch'anch'iofatico ognor per appressarmi al cielo,e lasciar del mio nome in terra fama.Non contenda rea sorte il bel desìo, che pria che l'alma dal corporeo velo si scioglia, sazierò forse mia brama. XXXIX.Allo stessoAmore un tempo in così lento focoarse mia vita, e sì colmo di dogliastruggeasi 'l cor, che quale altro si vogliamartir, fora ver lei dolcezza e gioco.Poscia sdegno e pietate a poco a pocospenser la fiamma, ond'io più ch'altra soglialibera da sì lunga e fera voglia,giva lieta cantando in ciascun loco.Ma 'l ciel né sazio ancor (lassa) né stancode' danni miei, perché sempre sospiri,mi riconduce a la mia antica sorte;e con sì acuto spron mi punge il fianco,ch'io temo sotto i primi empii martiricader, e per men mal bramar la morte. XL.Allo stessoQual vaga Filomela, che fuggitaè da l'odiata gabbia, e in superbavista sen va tra gli arboscelli e l'erba,tornata in libertate e in lieta vita;er'io da gli amorosi lacci uscita,schernendo ogni martìre e pena acerbade l'incredibil duol, ch'in sé riserbaqual ha per troppo amar l'alma smarrita.Ben avev'io ritolte (ahi stella fera!)dal tempio di Ciprigna le mie spoglie,e di lor pregio me n'andava altera;quand'a me Amor: le tue ritrose voglie,muterò, disse; e femmi prigionieradi tua virtù, per rinovar mie doglie. XLI.Allo stessoFelice speme, ch'a tant'alta impresaergi la mente mia, che ad or ad oradietro al santo pensier che la innamora,sen vola al Ciel per contemplare intesa.De bei disir in gentil foco accesa,miro ivi lui, ch'ogni bell'alma onora,e quel ch'è dentro, e quanto appar di fora,versa in me gioia senz'alcuna offesa.Dolce, che mi feristi, aurato strale,dolce, ch'inacerbir mai non potrannoquante amarezze dar puote aspra sorte;pro mi sia grande ogni più grave danno,che del mio ardir per aver merto ugualepiù degno guiderdon non è che morte.XLII.Allo stessoS'io 'l feci unqua che mai non giunga a rival'interno duol, che 'l cuor lasso sostiene;s'io 'l feci, che perduta ogni mia spenein guerra eterna de vostr'occhi viva;s'io 'l feci, ch'ogni dì resti più privade la grazia, onde nasce ogni mio bene;s'io 'l feci, che di tante e cotai pene,non m'apporti alcun mai tranquilla oliva;s'io 'l feci, ch'in voi manchi ogni pietade,e cresca doglia in me, pianto e martìredistruggendomi pur come far soglio;ma s'io no 'l feci, il duro vostro orgoglioin amor si converta: e lunga etadesia dolce il frutto del mio bel disire. XLIII.Allo stessoSe ben pietosa madre unico figlioperde talora, e nuovo, alto dolorele preme il tristo e suspiroso core,spera conforto almen, spera consiglio.Se scaltro capitano in gran periglio,mostrando alteramente il suo valore,resta vinto e prigion, spera uscir fuorequando che sia con baldanzoso ciglio.S'in tempestoso mar giunto si duolespaventato nocchier già presso a morteha speme ancor di rivedersi in porto.Ma io, s'avvien che perda il mio bel sole,o per mia colpa, o per malvagia sorte,non spero aver, né voglio, alcun conforto. XLIV.Allo stessoSe forse per pietà del mio languireal suon del tristo pianto in questo locoten vieni a me, che tutta fiamma e focoardomi, e struggo colma di disire,vago augellino, e meco il mio martìrech'in pena volge ogni passato gioco,piangi cantando in suon dolente e roco,veggendomi del duol quasi perire;pregoti per l'ardor che sì m'addoglia,ne voli in quella amena e cruda valleov'è chi sol può darmi e morte e vita;e cantando gli di' che cangi voglia,volgendo a Roma 'l viso, e a lei le spalle,se vuol l'alma trovar col corpo unita. XLV.Allo stessoOv'è (misera me) quell'aureo crinedi cui fe' rete per pigliarmi Amoreov'è (lassa) il bel viso, onde l'ardorenasce, che mena la mia vita al fine?Ove son quelle luci alte e divinein cui dolce si vive e insieme more?ov'è la bianca man, che lo mio corestringendo punse con acute spine?Ove suonan l'angeliche parole,ch'in un momento mi dan morte e vita?u' i cari sguardi, u' le maniere belle?Ove luce ora il vivo almo mio sole,con cui dolce destin mi venne in sortequanto mai piovve da benigne stelle?Tullia d'Aragona