Quid novi?

Il Dittamondo (1-01)


Il Dittamondodi Fazio degli UbertiLIBRO PRIMOCAPITOLO INon per trattar gli affanni, ch’io soffersi nel mio lungo cammin, né le paure, di rima in rima tesso questi versi; ma per voler contar le cose oscure ch’io vidi e ch’io udio, che son sí nove, 5 ch’a crederle parranno forti e dure. E se non che di ciò son vere prove per piú e piú autori, i quai serano per li miei versi nominati altrove, non presterei a la penna la mano, 10 per notar ciò ch’io vidi, per temenza che poi da altrui non fosse casso e vano. Ma la lor chiara e vera esperienza m’assecura nel dir, come persone degne di fede a ogni gran sentenza. 15 Di nostra etá giá sentia la stagione che a l’anno si pon, poi che ’l sol passa in fronte a Virgo e che lascia il Leone, quando m’accorsi ch’ogni vita è cassa salvo che quella che contempla in Dio 20 o ch’alcun pregio dopo morte lassa. E questo fu onde accese il disio di volermi affannare in alcun bene, che fosse frutto dopo il tempo mio. Poi, pensando nel qual, fermai la spene 25 d’andar cercando e di voler vedere lo mondo tutto e la gente ch’el tene, e di volere udire e di sapere il dove e ’l come e chi funno coloro, che per virtú cercâr di piú valere. 30 E imaginato il mio grave lavoro,drizzai i pie’ come avea il pensiero e cercai del cammin senza dimoro. Io era dentro ancor dal mal sentiero per lo qual disviato era ito adesso con gli occhi chiusi e l’animo leggiero, onde al partir sí mi pungeano spesso gli antichi pruni, che come uomo stanco m’assettai tra piú fior, che m’eran presso. Bassava il sol, che s’accendea nel fianco 40 del Montone, onde io, per piú riposo, tutto mi stesi sopra il lato manco. Poscia m’addormentai cosí pensoso ed apparvonmi cose, nel dormire, per che a la mia impresa fui piú oso: 45 ché una donna vedea vèr me venire con l’ali aperte, sí degna ed onesta, che per asempro a pena il saprei dire. Bianca, qual neve pare, avea la vesta e vidi scritto, in forma aperta e piana, 50 sopra una coronetta, ch’avea in testa: "Io son Virtú, per che la gente umana vince ogni altro animale; i’ son quel lume, ch’onora il corpo e che l’anima sana". Molte donne, aleggiando in varie piume, 55 si vedean tranquillar ne’ suoi splendori, come pesce, di state, in chiaro fiume. E giunta sopra me tra que’ bei fiori, parea dir: "Non giacer, tosto sta suso e ’l tempo, c’hai perduto, si ristori. 60 Non pur istare in questo bosco chiuso; non pur cercar di su la mala spina coglier la rosa, sí come se’ uso. Pensa che qual piú lá, qui, pellegrina, che poi ch’è giunto a l’ultimo di suo, 65 il tutto li par men d’una mattina. E farme, sete e sonno al corpo tuo soffrir convien, se onore e pro disii, e seguir me, che qui teco m’induo. E guarda ben che piú non ti disvii; 70 pensa sí come i compagni d’Ulisse fun con Circes, onde a pena i partii. E pensa ancor come perduto visse con la sua Cleopatra oltra a due anni colui, a cui il Roman prima ‘voi’ disse. 75 Onor s’acquista per soffrire affanni, pur che l’affanno sia in cosa degna; in darsi a l’ozio è vergogna con danni. Ancora fa che sempre ti sovvegna aver di sofferenza buone spalle, 80 sí come Iob e Iacobo c’insegna. Per che, se vuoi veder di valle in valle il mondo tutto, senza lei non puoi cercar del mille il ventesimo calle. Qui non spiar, per tema, i fati tuoi, 85 se non come Catone in Libia volse chieder responso, pregato da’ suoi. Tutti non son Papiro". Indi si tolse e spirò nel mio petto e non si mosse; onde ’l mio sonno a punto si disciolse, 90 come per sua vertú nel cor percosse.