Quid novi?

Il Dittamondo (1-04)


Il Dittamondodi Fazio degli UbertiLIBRO PRIMOCAPITOLO IVSí come presso fui a quella strega, vidi la faccia sua livida e smorta qual preso pare, a cui le man si lega. Vecchia mostrava e ’n su le gambe storta; arricciava la carne e ciascun pelo, 5 come porco per tema talor porta. Tutta tremava e ne le labbra un gelo mostrava tal, che non copriva i denti ed era scapigliata e senza velo. Gli occhi smarriti e in qua e lá moventi 10 avea la trista e cosí sbalordita borbottando parlò: "Perché consenti, perché consenti a perder la tua vita? Certo tu ne morrai, se non t’avvedi di lassar questa impresa tanto ardita". 15 "Non per morir, ma per campar mi diedi a seguir tanto ardire e da piú senni confortato ne son, che tu non credi. Ben so ch’al mondo per tal patto venni ch’io dovessi morire e bene istimo che contro ciò tutti i pensieri son menni. E so ancora ch’io non sarò il primo né ’l deretan, che dee far questa via, ché tutti ne convien tornare al limo. E bestial cosa sarebbe e follia 25 di temer quel, che non si può fuggire": questa cotal fu la risposta mia. "Bene t’ho inteso; ma tu non de’ ire ispermentando sí la tua ventura in istrani paesi, per morire". 30 "Oh, rispuos’io, giá non è piú dura di fuor la morte, che ’n casa si senta". Ed ella: "Tu non avrai sepultura". "Questo che fa? Ché ’l corpo non tormenta né truova cosa che li faccia guerra, 35 poi che la luce sua del tutto è spenta. E se non fia coperto da la terra, il cielo il coprirá, né con piú degno coperchio nessun corpo mai si serra. Non fu trovato di tombe lo ’ngegno 40 a ciò che i morti n’avesson dolcezza, ma per li vivi, ch’è d’onore un segno". Dissemi ancor: "Tu morrai in giovinezza". Per ch’io rispuosi: "Questo fia men doglia che l’aspettar di languire in vecchiezza; 45 ch’allor fa buon morir, quando s’ha voglia di vivere e quel viver tegno reo dove l’uom senso a senso si dispoglia. Di ciò s’avvide il forte Maccabeo, di ciò s’avvide il Greco ardito, il Magno, 50 e ’l buon Troian, che tanto d’arme feo. 10 Il ben morire è nel mondo un guadagno e ’l viver male è peggio che la morte: faccia uom che de’ e non si dia piú lagno". E quella a me: "E tu puoi, per tal sorte, 55 cadere in povertá, infermo e frale, e non sará chi t’aiuti e conforte". "Di questo, rispuos’io, poco mi cale; ché de le due converrá esser l’una: o il mal vincerá me o io il male. 60 La povertá e i ben de la fortuna per tutto truovo e veggio l’un dí grande tal, che poi l’altro con fame digiuna. Giá fu chi visse di frondi e di ghiande; nostra natura, quando si contenta, 65 poco cura di veste o di vivande. Piú son le cose onde l’uomo spaventa, che poi non fanno mal, che quelle assai che con danno e percosse si tormenta". Ed ella a me: "Or pensa, se tu vai 70 in luogo strano, acerbo e sconosciuto, e non sappi la lingua, che farai?" "Le mani e i piè natura per aiuto m’ha dato, dissi, e l’argomento tutto, per ch’io sarò piú lá, che qui, un muto". 75 Ed ella: "Or vuoi un buon consiglio asciutto? Pensa di viver qui e stare in pace e di quel c’hai prender diletto e frutto". "Lo tuo parlar, rispuosi, non mi piace, però ch’egli è consiglio da cattivo, 80 che mangia e bee e ’n su la piuma giace: ché l’uom non de’ pur dire i’ pappo e vivo come nel prato fan le pecorelle, ma cercar farsi, dopo morte, divo. Omai va via, ché de le tue novelle 85 ammaestrato fui e poi m’annoia c’hai le fazion che non somiglian belle". 11Per ch’ella si partí dolente e croia e io rimasi qual riman colui, che fa tra sé di sua vittoria gioia. 90 E poi che sviluppato da lei fui lettor, e vidi me disciolto e libro, presi il cammin tanto dubbioso altrui, quanto udirai dal terzo al sesto libro.