Quid novi?

In morte della Contessa Lara


In morte della Contessa LaraLo pseudonimo romantico Contessa Lara, adottato dalla scrittrice Eva Cattermole Mancini, nascondeva una donna ”…il cui passato, se a quelli che la circondavano era noto, restava avvolto nel mistero, stimolatore di fantasie e desideri vaghi, per coloro che, lontani, la conoscevano soltanto a traverso i versi spesso ispirati… ad un sincero momento ,lirico, a traverso le novelle, gli articoli, le rassegne di mode e di libri, a traverso tutti quegli scritti di varietà che le davano la fama, e spesse volte la toglievano dalla fame. ….” (Achille Macchia, La ”Conessa Lara”, in: “Novelle”, Napoli, 1914, p.9), e pareva scelto a bella posta per suscitare interesse di curiosità attorno ad una delle figure femminili indiscutibilmente dal temperamento “ …più poetico ed amoroso, lirico ed umano…” della seconda metà dell’800. Le svariate avventure amorose della Contessa Lara, il suo vagabondaggio sentimentale - che essa stessa commenta in alcuni scritti -, non fanno che acuire la curiosità intorno a questo personaggio romantico che, infine, le sarà fatale. Eternamente innamorata e insoddisfatta dell’amore, morirà infatti il 30 novembre 1896, uccisa da tre revolverate dal pittore Pierantoni, suo ultimo amante.Il sito DigitaMi riporta il testo di cui sopra quale nota bibliografica. Mi sembra interessante il seguente articolo di Matilde Serao, riportato in tale volumetto.Dal " Mattino " di Napoli Io non ho mai potuto incontrare la contessa Lara senza provare meraviglia e pietà. Meraviglia: giacché vedendo il suo volto e le sue vesti, udendo la sua voce e le sue parole, comprendendo quel che pensava e quel che sentiva, la fantastica, poetica e anche vituperevole leggenda tessuta intorno a lei, impallidiva, svaniva. La sua beltà fulgida, irresistibile: la sua bizzaria di creatura complicata e misteriosa: la sua eleganza singolare: la sua completa mancanza di cuore: il suo disprezzo di ogni virtù e di ogni pudore: ecco quello che era, la leggenda della contessa Lara, di questa povera infelice che è stata assassinata, ieri l' altro! Ebbene, già dieci anni sono la sua fragile beltà di bionda era sfiorita, consunta: i suoi occhi erano stanchi e deboli: i suoi capelli erano arruffati, un po' incolti: e, quel che é più, ella non aveva l' aria di preoccuparsi di questa decadenza. Vestiva alla meglio, nascondendo il suo viso sotto fitte velette nascondendo la sua persona sotto un gran mantello, non seguendo le mode di cui parlava spesso e bene, non trovando mai una occasione di fare una grande toilette, non adornandosi mai dei pochi gioielli che possedeva: infine, mancando del tutto di quella infernale civetteria e di quella squisita eleganza cui i suoi cronisti la ingiuriavano e la corteggiavano. Questo essere accusato di avere in se un' anima complessa, nascondente Dio sa quali profondi abissi di perfidia, viveva senza odio e senza fiele, incapace di dir male di una donna o di un collega di lavoro, incapace d'invidiare, incapace di riportare una calunnia o un pettegolezzo: e così, senza nessuna posa semplicemente, fin troppo semplicemente, fino a far dubitare che ella fosse un ingegno acuto e un'anima vibrante! Questa poetessa accusata dei più strani gusti, andava da se, borghesemente a comperare la cicoria per rendere il suo caffè meno eccìtante e meno costoso: quando alla sera, la sua serva se ne andava, spesso ella si metteva uno scialletto sulla testa e andava a comperar un francobollo di un soldo dal tabaccaio della cantonata: ella andava in omnibus, o a piedi: ella scriveva su carta comune, senza motto, senza suggello curioso, senza ceralacca a colori estetici: ella faceva delle economie: ella aveva persino, questa poetessa folle, un curatore delle poche migliaia di lire che possedeva, Narciso Pelosini, un avvocato, un deputato, che è morto anche lui! Questa sirena ammaliatrice che, non aveva più, a trentacinqueanni, nè bellezza nè eleganza, questa donna dallo pseudonimo romantico che accomodava da sè i suoi vecchi corsages aggiungendovi un fiocco di nastro o un merletto, questa crudele che amava tanto i bimbi, i fiori, gli animali, questa perversa che, quasi, neppure davanti alla morte voleva denunciare il suo assassino, era una creatura di fatica, un essere che passava ore e ore, a scrivere, senza stancarsi, senza troppo pretendere, non seccando nè i direttori di giornali, nè i lettori, lavorando quando gli altri si divertivano, e sciupando i suoi poveri occhi malati sulla carta, correndo da una redazione di giornale alla posta, vegliando tardi, mangiando in una trattoria o sovra un angolo di tavola. Ella produceva della prosa senza fine, e dei versi talvolta. Bei versi, limpidi, e schietti, senza gelida preziosità, senza pretensioni psicologiche, ma che dicevano sempre qualche cosa di tenue e di appassionato: prosa gentile, un po' scialba, un po' prolissa, ma sempre piacevole alla lettura. ..... Ahimè, ella non è stata vecchia! Il brivido tenue di sgomento che ella c' ispirava, corrispondeva all'oscuro sua fato, a questo colpo di rivoltella, un sol colpo, che così sicuramente l'ha presa, a questo assassinio commesso non per amore, non per gelosia, ma per laida vendetta d'interesse deluso: era il presentimento di una punizione tremenda che scendeva su lei, che era stata una donna, una signora, una scrittrice di gran talento, una poetessa, e che era destinata a perire come una delle ultime perdute, che uccide un amante ignoto! Ognuno di noi, vedendola, l'ultima volta, ha avuto il sentore mistico di una catastrofe qualunque che la travolgesse: ed è stata travolta: e la pietà, di adesso, anche è vana, poichè era detto che nessun uomo e nessuna cosa potessero mai giovare, beneficare, confortare la infelice! MATILDE SERAO.