Quid novi?

Il Dittamondo (1-05)


Il Dittamondodi Fazio degli UbertiLIBRO PRIMO CAPITOLO VCome il nocchier, ch’è stato in gran tempesta, che, se vede da lunge piaggia o porto, affretta i remi e fa letizia e festa, cosí, avendo di lontano scorto uno in cui io sperava alcun consiglio, 5 accrebbi i passi con lieto conforto. Appena era ito un terzo di miglio, che li fui presso e vidil tanto degno, ch’io lo ’nchinai, con la man sopra il ciglio. Poco del corpo, lettor, tel disegno; 10 bianco era e biondo e la sua faccia onesta, con piccioletta bocca e d’alto ingegno. Qual vuol Mercurio, tal parea la vesta un libro avea ne la sinistra mano e, ne la dritta, tenea una sesta. 15 E giunto a me costui, piú che umano rispuose al cenno e disse: "In cui ti fidi, che vai sí sol per luogo tanto strano? Senno non fai, se non hai chi ti guidi: però che tanto è diverso il cammino, 20 che piú a pena alcun giá mai ne vidi". "Per cercar mi son mosso pellegrino del mondo quel che ne concede il sole e piú, se ’l poter fosse al mio dimino; ma qual non puote in tutto ciò che vole, 25 far li convien secondo che ha la possa": cotal risposta fen le mie parole. E sopragiunsi poi: "Questa mia mossa non crediate sí lieve, ché per fermo, udendo il ver, non vi parrá sí grossa: 30 ché per fuggir la morte, ov’era infermo, l’ardire impresi, che follia tenete, e per consiglio l’ebbi d’altrui sermo". "Io non avea d’udirti sí gran sete, quando qui ti scontrai, qual mi sento ora 35 che m’hai preso il pensier con altra rete: e però non t’incresca dirmi ancora piú chiaramente, a ciò che me’ comprenda, dove tu vai e un poco dimora. E se tu stai, non creder che si spenda 40 indarno il tempo: forse è tua ventura d’avermi qui trovato e ch’io t’intenda: ch’io so del mondo il modo e la misura io so de’ cieli; io so sotto qual clima andar si può e dove è gran paura". 45 "O caro padre, il tempo non si stima, diss’io, per me, com’è vostra credenza, e quanto piace a voi fia la mia rima". Allor li feci in tutto conoscenza del lungo tempo mio senza fren corso 50 e senza lume e senza provedenza e come, me veggendo tanto scorso, vergogna e ira punse lo ’ntelletto e fui del fallo mio gramo e rimorso; e che, per ristorar tanto difetto 55 e non morir nel mondo come belva, presi ’l cammin cotal, qual io v’ho detto; poi come dentro da la trista selva una donna gentil m’era apparita e destò il cuore, il quale ancor s’inselva. 60 Tutta li dissi a punto la mia vita; ond’ello a me: "Figliuol, questa tua impresa assai mi par da essere gradita. Ma guarda che tu sie di tanta spesa fornito, quanto a tal cammin bisogna, sí che ’l troppo voler non torni offesa: ché spesso avièn ch’ uom riceve rampogna di folle impresa, onde sarebbe meglio lasciarla star, che portarne vergogna". E io a lui: "Pur mo a ciò mi sveglio, 70 come v’ho detto, e figuro nel core la pecchia per asempro e per ispeglio, che va cogliendo d’uno in altro fiore la dolce manna per luoghi diversi, di che poi vive e onde acquista onore. 75 Cosí pens’io per piú paesi spersi raunare con pena e con fatica quel mel, ch’a me sia dolce e ai miei versi". "Quando ne l’uomo un buon voler s’abbica e mancagli il poder, rispuose adesso, 80 atar si dee come la cosa amica. E però a la impresa, in che se’ messo, giovar ti voglio d’alcuna moneta, sí che t’aiuti a’ tempi per te stesso. D’alpi, di mari e di fiumi s’inreta 85 la terra, per che l’uomo alcuna volta ci è preso, come vermo che s’inseta. Onde, se non t’annoia, ora m’ascolta, sí che, se truovi manco ad alcun passo, veggi da te perché la via t’è tolta". 90 Per ch’io, come a lui piacque, fermai il passo.