Quid novi?

Il Dittamondo (1-06)


Il Dittamondodi Fazio degli UbertiLIBRO PRIMOCAPITOLO VI"Compreso ho ben, figliuol, sí come tue se’ ito seguitando l’appetito, portando come bestia il capo in giue, e che novellamente se’ partito del bosco tenebroso e tratto a luce, come nuovo uccellin del nido uscito. Onde, pensando che in te si riduce disio creato da quella vertute che l’uom per dritta via guida e conduce, aprir ti vo’ de le cose vedute per me e per molti altri, che saranno in parte lume de la tua salute. Ché a l’uom val poco penter dopo il danno; e pregiato è il nocchier, che ’n suo’ peleggi conosce i tempi e sa fuggir l’affanno. E però quel ch’io dico nota e leggi, a ciò che sappi sí guidar lo remo, che la tua barca non rompa né scheggi. Partito è il ciel, ch’è tondo e senza scemo, in trecento sessanta gradi a punto e tondo è il centro suo, dove noi semo. E ciascun grado occupa e tien congiunto miglia cinquanta sei sopra la terra, con due terzi che d’uno ancor v’è giunto. Or se questa ragion, ch’io fo, non erra, veder ben puoi che ’n tutto gira e piglia, col mar che ’l veste e che d’intorno il serra, venti milia con quattrocento miglia: del quale il mezzo è manifesto a noi, e ’l dove e ’l come l’uom ci s’infamiglia. L’altra metá, che ci è di sotto, poi, nota non è, né qual v’abita gente; ma pure il ciel vi gira i raggi soi. E cosí dal levante a l’occidente diece milia dugento dir si puote di miglia: e ciò per lungo si consente. Poi, per traverso, perché il sol percuote in una parte piú e in altra meno, secondo che i cavai guidan le ruote, tanto gli è stretto a l’abitato il freno, che cinque milia cento miglia fassi; il piú bel tien settentrione in seno. Onde, se ben figuri e ’l ver compassi, tu truovi lungo e stretto l’abitato, ritratto quasi, qual mandorla fassi. 45 E truovil piú giacere in su l’un lato, il qual secondo il ciel si può dir dritto, che n’è piú ricco e meglio storiato. Or fu partito il tutto, ch’io t’ho ditto, dai tre primi figliuoi ch’ebbe Noè, 50 come per molti puoi trovare scritto. E questo fu quando Dio volse che fosse ’l diluvio, per strugger coloro che non aveano in Lui né amor né fè. Sem ebbe nome il primo e ’l suo dimoro 55 in Asia fu e quella parte tenne ch’è grande per le due e ricca d’oro. Cam, il secondo, in Africa venne e s’ebbe terra men che gli altri due: a ricche pietre e buon terren s’avenne. 60 Iafet, il terzo, in Europa fue, la qual per gran valor d’uomini è degna e degne e care fun l’opere sue. Similemente ancora si disegna lo mondo tutto e parte in cinque zona: 65 le tre perdute e ne le due si regna. Per l’acceso calor, che il sol vi sprona, arde e combure sí quella di mezzo, ch’abitar suso non vi può persona. Le due da lato stan tra ’l sole e ’l rezzo. 70 abitabili sono e temperate; l’altre, mortal dal ghiaccio e dal caprezzo. Or, quando vai, è buono che a ciò guate: perché v’è parte che ’l sole è sí poco, ch’un’ora dura a l’entrar de la state; 75 e un’altra, come dico, che par foco: e cosí troverai pien di paura la terra e il mare, d’uno in altro loco. Poi si convien guardare e poner cura in qual tempo è men reo l’andar per mare, 80 perché i venti vi son senza misura. La nave il buon nocchier de’ ispiare, la usanza de’ paesi e quella vita, che si convien tener secondo l’a’re. E ben che l’arte mia sia mal sentita 85 per poco studio, in ogni tuo viaggio cerca prender buon punto a la partita: ché quelle cose, che non fanno oltraggio e che posson giovare, da usar sono, come l’altre fuggir, che fan dannaggio, 90 sempre sperando in Quel ch’è sommo bono, perché da Lui, come luce dal sole, discende in noi ciascuna grazia e dono. La voglia stringi e lascia dir chi vole, se tu giungi a la stretta di Sibilia: 95 ché qual giú passa spesso se ne dole. Anche il Faro da Calavra in Cicilia guarda come traversi, e come raspi dove annegan le Sirte ogni ratilia. Rado per l’India a le porte de’ Caspi 100 o per l’Etiopia e tra gli Schiavi vi passa l’uom, che tristo non v’innaspi". Piú e piú luoghi alpestri, oscuri e cavi, poi mi mostrò, formando col suo sesto, ch’al mondo son pericolosi e gravi. 105 Cosí quel padre e lume d’Almagesto "Tutto t’ho detto, mi disse, secondo la mia promessa e che tu m’hai richiesto". E io rispuosi: "E de’ cieli e del mondo m’avete sí contento il gran disio, 110 ch’i’ veggio chiaro u’ m’era piú profondo". "Omai, diss’ello, qui ti lascio, addio".