Quid novi?

Il Dittamondo (1-07)


Il Dittamondodi Fazio degli UbertiLIBRO PRIMOCAPITOLO VIIPoi ch’io mi vidi rimaso sí solo, presi a pensar, sopra i dubbiosi carmi, del gran cammin da l’uno a l’altro polo. E ricordando, non sapea che farmi, i molti rischi e la lunga via, 5 o de l’andare innanzi over di starmi, quando la donna, che mi destò pria nel tristo bosco, mi disse: "Che pensi? Fa quel che dèi e poi ciò che vuol sia. Sempre il cattivo da vili e milensi 10 pensieri è vinto e tal costui è detto quale una bestia ch’abbia cinque sensi". E cosí questa cacciò del mio petto ogni paura, come da Boezio Filosofia le triste e dal suo letto. 15 Ispento ogni pensier, che movea screzio e dubbio al mio andar, subito presi consiglio tal, del quale ancor mi prezio: dico, col core e con gli occhi sospesi chiamai, a giunte mani, in verso il cielo, 20 Colui, che mai non ebbe dí né mesi: "O sempre uno e tre, a cui non celo il gran bisogno e l’acceso disire, però che tutto il vedi senza velo, soccorri me, che solo non so ire". 25 Appena giá finito avea il prego, ch’io mi vidi uno dinanzi apparire. Qui con piú fretta i piedi a terra frego in verso lui e, poi che mi fu chiaro, con reverenza tutto a lui mi piego. 30 Con un vago latino, onesto e caro, "Dimmi chi se’, mi disse, e dove vai"; e gli occhi suoi un poco s’abbassaro. Come si tacque, cosí incominciai: "Io mi son un novellamente desto": 35 e ’l dove e ’l quando tutto li narrai. Apresso ancor li feci manifesto di quel romito, a cui la barba lista, ch’era a veder sí vecchio e tanto onesto; poi de la scapigliata magra e trista, 40 la qual, per dare storpio a la mia ’mpresa, m’era apparita con orribil vista; e sí com’io, dopo lunga contesa, l’avea cacciata e trovato colui, che del mondo gli dubbi mi palesa; 45 e che, poi che da lui partito fui, la ’mpresa mia si facea vile e scema e ’l conforto che presi e sí da cui. "Ciascun d’entrar ne le battaglie ha tema, se non è matto; ma quei è piú pregiato 50 che, poi che v’è, pur vede e che men trema. Ma non dubbiar, da poi che m’hai trovato, ch’io non ti guidi per tutto il cammino, pur che dal Sommo il tempo ti sia dato". Cosí mi disse. E io: "O pellegrino, 55 dimmi chi se’". Ed el rispuose adesso: "Anticamente m’è detto Solino". "Solin, diss’io, se’ tu quel propio desso, che divisi il principio, il fine, il mezzo del mondo, l’abitato e ciò ch’è in esso?" 60 "Colui son io". Onde allora un riprezzo tal mi prese, qual fa talora il verno a chi sta fermo e mal vestito al rezzo. Per maraviglia, al Padre sempiterno mi trassi e dissi: "Indarno onor procaccia 65 qual Te non prega e vuol per suo governo". Poscia rivolsi al mio Solin la faccia e dissi: "O caro, o buon soccorso mio, del tutto qui mi do ne le tue braccia". Senza piú dire, allora si partio e io apresso, sempre dando il loco, acceso caldamente d’un disio. Ond’ello accorto: "Per sfogare il foco, mi disse, fa che svampi fuor la fiamma, ché l’andar senza il dir farebbe poco". 75 Allor, come il figliolo a la sua mamma con reverenza parla, dissi: "O sole, in cui non manca di mia voglia dramma, quel che da te prima l’anima vole si è d’aver partito per rubrica 80 il mondo". Queste fun le mie parole. Ed ello a me: "Ne l’etá mia antica tutto il notai, ben ch’ora mal s’incappa l’uom per quei nomi a ’ntender quel ch’i’ dica. E però formerò teco una mappa 85 tal, che la ’ntenderanno non che tue, color ch’a pena sanno ancor dir pappa, a ciò ch’ andando insieme poi noi due, e trovandoci ai porti e a le rive, sappi quando saremo giú e sue. 90 E tu com’io tel conto tal lo scrive".