Quid novi?

La Bella Mano (011-015)


La Bella Mano di Giusto de' ContiXINella stagion che rimbellisce l'annoFuggendo, s'esser può, chi mi tien vivo,Et quella man, di cui sì caldo scrivo,Et gli atti, che da dir tanto mi danno,Amore, armato con suo novo inganno,Mi si fe incontra appresso un fresco rivo;Et lusingando, così fugitivoMi tenne, et mi ridusse al primo affanno.Io dicea meco: Or chi ti riconduce?Ma questo non mi valse alla difesa,Tanto ebber forza in me parole et cenni.La debil vista, dall'obietto offesa,Lo sforzo non sostenne d'una luce,Quand'io mi volsi indietro dond'io venni.XIISpento ha degli occhi bei l'altero lumeLa debile mia vista, sì ch'io vivoOmai cieco nel mondo, et son già privoDel senso, che mi spinse al mal costume.Ma lasso, perché il duol più mi consume,Tra il nubiloso ciglio e il guardo schivo,Talor si muove un raggio fugitivo,Che in parte par le mie tenebre allume.Del cui splendor riprendo nova luce,Tal che dubbioso scorgo la mia morte,Dove allor corro, perché ancor divampi:Et veggio ben che la mia dura sorteSì vacillando là mi riconduce,Perché m'abbagli et non veggia ov'io scampi.XIIILuce dal ciel novellamente scesaPer far con tua presenza sacra et puraPiù degna in noi Natura,Et aggrandire il basso stato umano,Apena che la lingua s'assicuraA dir del ben, donde ho la mente accesaPensando alla mia impresaDignissima di stile alto et sovrano:Ma prego Amor, ch'ogni mia sorte ha in manoChe l' opra virtuosa franchi et spire,Facendo alle mie stanche rime scorta;Et scusi il troppo ardireDel gran piacer, che a scriver mi conforta.Poi che compiutamente ogni bellezaPer vera elezione Amore et DioPoser nel volto, ch'ioCome idolo scolpito in terra adoro,E il mio sperar che fu di tanta alteza,Che già con tal vaghezaMi mosse a contemplar l'alto lavoro;Non so se per riposo o per ristoroDi mie fortune et dei passati affanni,Ciò provedesse il mio Signor fallace,Per darmi al fin degli anniAlcun breve conforto o qualche pace.Se il piacer amoroso ond'io m'accendo,Mentre che in te son tutto attento e fisoPer iscolpire il visoChe fa alla nostra età cotanto onore,Non mi tenesse allor da me divisoFinché la forma tua vera comprendoEt gli secreti intendo,L'anime spente accenderei d'amore,Ma se lo innamorato acceso coreLa gran dolceza in voce poi sciogliesse,Come confusa in lui l'ascondo et celo,Io temo non (ne) avesse,Di sì supreme laudi invidia il Cielo.Quel vago riso et l'atto signorile,L'angeliche maniere elette et care,E il bel dolce parlare,Che per virtù materna in te succede,L'aspetto che nel mondo non ha pareSon le faville e il bel laccio gentile,Che in angoscioso stile,Mia vita ardendo strugge, et la mia fedeMisero me, serà sempre mercedeNimica pur così di leggiadria,Come bellezza di pietà rubella?Che in costei non fia,Triomfarà sopr'ogni donna bella.Chi poria mai la dote et la virtute,Et l'alte tue eccellenze al mondo soleCon mortali paroleCantare apieno, come io dentro 'l sento?Quale intelletto è, che tanto alto vole,Che spieghi cose mai più non vedute;Ove son stanche et muteEt penne et rime, et ciascun nostro accento?L'andar celeste, e il divin portamentoChe fan del Paradiso prova in terra,Qual lingua o quale stile è che el descriva?Che, se 'l parer non erraTua forma è umana, ma l'esentia è diva.Hor va Canzon leggiadraDavanti a quella oriental FeniceChe fa di sé la nostra età felice,Cotanta gratia da' begli occhi piove:Et narra, se fra noi valor fu mai,Che in lei non si ritroveRaccolto tutto et più compiuto assai.XIVO sasso aventuroso, o sacro locoDonde si move onestamente et posaTalor la donna mia sola e pensosa,Col mio Signore, a cui vittoria invoco.Quinci arder vidi quel soave Foco,Che fa la vita mia tanto angosciosa:Quivi sedeva altera e disdegnosaColei, che del mio mal cura sì poco.Però devoto a voi convien ch'io torne,Cercando co 'l disio ciascuna parteQualor la dolce vista al cor mi riede,Per ritrovar delle faville, sparteDa quelle luci sopra l'altre adorne,O l'orme impresse dall'onesto piede.XVQuando dal nostro polo sparir soleIl chiaro giorno, et sopra gli altri luce,Allor che il carro d'oro al mar conduce,Apollo che di Dafne ancor si dole;Il cor d'ardenti rai d'un vivo SoleChi può m'ingombra, et di sì nova luce,Che a l'orizonte mio sempre riluceSole, che m'arde omai come Amor vole.Et veggio sempre di mia morte colmeDue stelle, ove il bel guardo costei gira,Per tempo sfavillar, sì come al tardo:Ma lasso pur talor di Febo duolme,Et di qualunque per amor sospira,Ma più di me, che più d'altrui sempr'ardo.(continua)