Quid novi?

Francesco Maria Molza


Capitolo I[1 Di Francesco Maria Molza]Del MolzaSe ben non scopro in viso di dolermiE mia vita tranquilla appar di fore,Ahi! simulata gioia in gran dolore,Non son io roso da secreti vermi?I miei desir più che mai saldi e fermiPorto nascosi, e sì gli stringo al coreChe potenza crudel, né volger d'oreDa voi non mai potran sciolto vedermi.Simil son io a un bel sepulcro ornato,Che per vaghezza assai diletto prende,Poi dentro serba paventosa morte.Spirto gentil, il mio noioso statoNon iudicate, che mal si comprendeAl canto, al riso, al volto l'altrui sorte.[2 Di Francesco Maria Molza]Sonetto del MolzaRott'è l'antico nodo e 'l foco spentoPer cui già 'l cor sì caldamente m'arse,Si ch'omai ben è tempo da ritrarseDal longo strazio e dal crudel tormento.Potete omai mostrar le chiome al vento,Or in gemme raccolte, ed ora sparse,Può ben l'altero cor pietoso farseCh'io son di non più amar lieto e contento.E ripigliar potete i vaghi panni,L'oro, le perle e con accesi sguardi,Con atti e con parole alzarmi al cielo;Ma ch'io ritorni agli amorosi affanniNon fia giammai; ché n'accorgèmo tardiIo di vostra pietà, voi del mio gelo.[3 Di Francesco Maria Molza]Fuggitevi da me, pensier noiosi,Ché basta ben s'un tempo tanto havetiImperio nel mio cor, e stati setiCagion de' brevi miei dolci riposi.E fate luogo omai che si riposiDov'eravate in me pensier più lieti,Tal che mai sempre in l'avenir si vietiA voi di star in me troppo nascosi.Ch'io spero restaurar tutti i miei danniCol nuovo giogo che m'ha posto al colloAmor, che a suoi soggetti mai non manca.Et dalli in preda i miei futuri anniCon leal servitù, sanza dar crollo,Anzi più sempre colla voglia franca.[4 Di Francesco Maria Molza]Canzone del MolzaAlma città, che già tenesti a frenoE le terre vicine e le lontanePer tutto ove 'l mar cinge e scalda il sole,Or fatta ancella sei di gente straneCh'ingombran di vil seme il tuo bel seno,Facendo spuria così nobil prole.Amor mi sprona a dir di te paroleCon la pietà, che fuor mi bagna il petto,Veggendo nude le tue membra e sparte.Benché l'ardir e la memoria e l'arteSento mancarmi a sì alto soggetto.Ma se nell'intellettoTi rendo in parte le memorie antiche,Assai care saran le mie fatiche.Quanto altrui rimembrar noioso siaNelle miserie sue del tempo lietoNiun lo sa più di te, se guardi il vero.Ritorna alquanto con la mente adietro,Mirando la tua immensa monarchia,E la terra tremar sotto 'l tuo imperoE l'armi tue e 'l tuo bel nome alteroFar tributari a te populi esterni.E i trionfi, l'imagini e i grandi archi,E d'oro, e gemme, e spoglie i tempï carchi,E tanti figli tuoi di gloria eterni,Tanti spirti superniCh'or d'oro terso, ora d'un verde lauroT'ornàro il fronte altero e 'l bel crin d'auro.Nel tuo bel grembo e ne' publici luochiTra quella gente sol di gloria amica,Che si vedeva in quella adorna etade,Roma già tu 'l sa' ben, senza ch'i 'l dica,D'alte jacture, sacrifici e giochiAcquistate col senno e con le spade,E 'l Campidoglio e le sacrate stradeDa carri trionfali esser calcate,Carchi di ricche prede e regi vintiE di trofei pomposi intorno cinti:E l'unïon di quelle alme beate,Sol di virtude ornate,E 'l tuo senato, a tal grado condutto,Che dava leggi a l'universo tutto.Or ti veggio, e mi duol, patria dolente,E di populi tanti e tanti regniA te fatti sugetti al tutto priva,E quel valor, quel peregrini ingegniSon persi, e ciascun'anima eccellente,Per cui sempre sarai nel mondo viva;Bontà, religion, concordia e fedeFuggir da te, quasi da proprio albergo.Dico, poi ch'al ben far volgesti il tergo,Roma (misera te!) che fusti erede,Com'oggi ancor si vede,Di tutti quei peccati accolti insiemeChe commetter si pon tra l'uman seme.Onde rimasa sei povera e ignuda,Pallida in viso, e con fatica i panniCoprir ti pon le parti vergognose.Guardati attorno, e vedrai già tant'anniCh'albergo fatta sei di gente cruda,Nel cui voler giammai non te ripose,E sotto 'l manto tuo starse nascoseAvarizia, superbia, ambizïone,Lussuria, gola e l'altre brutte arpie,E da mille fangose e torte vieOgni barbara, inculta nazïoneAdosso man ti poneProfanando le membra delicateA tutto 'l mondo in reverentia state.E pur, s'alcuno spirito gentileAmico di virtù teco si trova,Che la tua sciolta vita ti dispiaccia,A l'invecchiato mal poco ti giova,Misera, e tu medesma il tieni a vile,Ché dal vero cammin volt'hai la faccia:Anzi convien che 'l buon siegua la tracciaDegli empi figli tuoi, pien di furore,Dati al comune incendio, alla ruinaDel proprio sangue tuo, patria meschina;Che già solean con tanto alto valoreMorir sol per onoreE delle piaghe e del lor petto esangue,Spargean fuori non men gloria che sangue.Adonque al gran bisogno alza la testa,Se del tuo vero onor punto ti cale,Ché 'l tempo ancor sarà, purché tu vogli,Non aspettar che 'l mal tuo sia mortale,Ch'io veggio tua ruina manifesta,Se di tante discordie non ti sciogliE gli animi diversi indi raccogli,Unitamente, e al sacro concistoroTi volgi a quei nel cui voler è datoDar nuovo sposo al tuo tempio sacrato.E non sol per tua pace priega loro;Ma ancor per suo ristoro.Che questa eletïon sia in virtuteDel santo spirto e de la sua salute.Canzon mia, non escir de' sette colli,Ove 'l Tebro più superbo al mar descende,E dalla molta gente che vedrai;Alli maggiori umilmente diraiCh'ormai voglian da sé l'odio disciorre,E gli animi disporreTalmente che per essi a questi giorniRoma ne' primi onori lieta (i)torni.[5 Di Francesco Maria Molza]Occhi beati, e tu del ciel discesa,Alma felice, cui sì chiaramenteL'alto valor de la pudica mentePer entro quelli al mondo si palesa.Se il mio desir mi sprona a bella impresa,Gli è per vostra mercé che sì presenteIl raggio mi mostrate almo e lucenteDe la virtù, ond'è mia voglia accesa.I' fora sanza voi qual sanza rivoUn secco prato, o sanza spiga un'erbaCui poi negasse la sua luce il sole.Né sol io col splendor vostro m'avvivo;Ma il ghiaccio ancor ne la stagion acerbaPotrebbe innanzi a voi produr vïole.Tratte da: Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918)