Quid novi?

Francesco Maria Molza (3)


[11 Di Francesco Maria Molza]Non pur degl'occhi solamente è questoProprio valor, o delle chiome terseChe amor scherzando dolcemente inonda;Ma il vezzoso parlar, che ogni cor mestoRallegrar puote, e spesso gir disperseAngoscia e noi face, ove più abondaDi ria fortuna inimicabil ondaA chi v'ascolta, le voglie empie e felleDisperde sì che vince ogni destinoE sa di gir al ciel tutto il camino.Tale il motore eterno de le stelleFra le cose più bellePensòvi prima il mondo fece a noiPer far voi bella a suo diletto poi.Ma l'andar, ch'ogni grave aspro martôroConsolar suole, ogni mio senso involaSì dolcemente ch'a morir mi mena,E quanto dal parlar lieto e ristoroDi vita che può bene una parolaDi voi ritormi d'ogni grave penaTutte si perde, e non vi trov'appenaChe fatto dubio al debole intellettoQual più di vostra man debbia aver grato,O il viver, o il morir che li sia dato;Perché del sacro e glorïoso aspettoSempre nuovo dilettoMi vien, né da la vita ho alcun gioireCh'un altro non ne provi nel morire.Così pietade il cor, fausto mio sole,V'allumi in modo che s'adorni sempreA non soffrir ch'a sì leggiadra sorteLa mia ferma speranza, come suole,Fede non tenga, e sì il mio duol contempreVostra vertude con l'usate scorte,Che senza tema di futura morteOgni loco rimembri il vostro nome,E meco il porti con sì largo voloChe questo ne ragioni e l'altro polo,E gli occhi vaghi, e l'anelate chiome,Dolci del mio cor some,Pindo celebri insieme et HeliconeTal ch'ogni lingua vi conosca e sone.Sopra il monte Tarpeo, canzon, n'andraiLà dove come al lor segno ne vannoPer aver vita tutti i pensier miei.Ivi inchinando chi adorar tu dei,Obliar ti fia lieve ogni altro affanno.Dille che del mio dannoMi pasco, e che più bella nella menteLa porto assai che nel mio dir non sente.[12 Di Francesco Maria Molza]Madrigali del MolzaS'io parlo, io dico il vero,Che se non fusse la mia donna eletta,Non avrìa il mondo in sé cosa perfetta.Chi potrìa mai disïare il disìo,O sperar la speranza,Privo d'oggetto tal ch'ogni altro avanza?Pensi ognun di costei come facc'io,E volga gli occhi ne' begli occhi suoi,E mi risponda poi.Dirà che quanto penso,E quanto veggio con giudizio in terra,È vedere e pensare un bene immenso,E più che amore spessoNe parla con sé stesso,E dice: o Amor, tu sarai quel che seiSin che se' in grazia a lei.[13 Di Francesco Maria Molza]Veramente, madonna, in me l'ardoreTanto non è quanto bellezza in voi,Ch'uom viver non potrebbe in tanta dogliaBene quant'in amor esser mi voglia;Né perché tutti e soiPungenti strali in me spendesse AmorePotriami accrescer punto di martìre,Ché gionto son a quel ch'uom può soffrire.[14 Di Francesco Maria Molza]Madonna, s'io credessi ch'a pietadeVi movesse il mio grave, aspro martìrePoco mi curerei poi di morire;Ma per vedere il vostro divo aspetto,Pieno di crudeltade,E voto di pietade,Credo che sol bramati che mia vitaNon finisca e manchi; ché 'l dilettoChe del mio mal pigliateÈ vostra volontate:Morto ch'io fusse, non serìa finita,Che brama' sol veder trista mia vita.Dunque lasciate ormai l'acerba voglia,Ch'ogni tormento e dogliaChe per voi porto mi diletta e piace.[15 Di Francesco Maria Molza]Guardate, amanti, io mi rivolgo a vui,Perché so ben ch'altruiIntender già non può che stato è il mio.E giudicate poi che piango a torto,Amo quanto si può, né per confortoDe li amorosi affanni altro desìoChe veder gli occhi de la diva mia;Et ella acciò ch'io siaFra gli infelici amanti il più infelice,Quest'amor mi disdice,E sol tanto mi mostra del bel visoCh'io veda che 'l mio mal la move a riso.Tratte da: Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918)