Quid novi?

Il Dittamondo (1-15)


Il Dittamondodi Fazio degli UbertiLIBRO PRIMOCAPITOLO XVLa Delfica Sibilla a Delfos nacque, la qual, piú tempo innanzi al mal di Troia profetizzando, il suo dolor non tacque; e vide ancor come la nostra gioia, dico Cristo, venir qua giú dovea 5 a soffrir morte, per trarne di noia. Fu la Cumana, che condusse Enea per lo ’nferno, a veder di ramo in ramo quel frutto che di lui seguir dovea. Persica l’altra, e io cosí la chiamo, 10 nomare udio e ragionar di lei che non men vide che quella di Priamo. Nel tempo di Silvio Carpento costei, re degli Albani, ch’io contai di sopra, alluminò di sé Persi e Caldei. 15 Seguita or la quinta ch’io ti scopra: questa, nel tempo che Numa Pompilio regnava, dimostrò la sua bell’opra. Tanto visse, se è nel ver Virgilio, che morí Numa e tenne la corona, 20 come udirai piú innanzi, Tullio Ostilio. Questa, ch’io dico, nacque in Babilona: Eritrea si nomò e lá fiorio, come per chiara fama si ragiona. La sesta Samia nominare udio, 25 over Beneventana, e questa assai profetizzando disse l’esser mio. Ne gli anni suoi, apresso mi trovai Tullio Ostilio, il quale visse meco sí ben, per suo valor, ch’assai l’amai. 30 Ancor nel tempo, ch’a mente ti reco, de la Cimera i piú parlare udia, ché la grazia del cielo era giá seco. Cacciati i re de la mia signoria, sentia de l’Amaltea ragionare 35 e ricordare alcuna profezia. La Pontica sopra il Pontico mare apparve al tempo ch’Alessandro visse e questa udio tra’ miei molto lodare. Ma quella che piú altamente scrisse 40 la Tiburtina fu, ch’a Ottaviano chiaro di Cristo la venuta disse. Quei versi che ne fe’ qui non ti spiano; la Chiesa i canta al tempo de l’Avvento: se veder li vorrai, tu gli hai tra mano. 45 Or vo’ tornare al mio proponimento e seguir oltra la mia lunga tema, dove lasciai di Silvio Carpento. Dico che, poi che ’l mondo di lui scema, Tiberio, il suo figliuolo, il regno guida 50 sí ben, ch’alcun per forza non istrema. E, secondo ch’ancor la fama grida, Albula, che allor perdé il suo nome, di costui fu sepultura e micida. Otto anni tenne d’Alba il dolce pome; 55 poi, dopo lui, Silvio Agrippa regna, che ben prender lo seppe per le chiome. Al tempo suo la chiara luce e degna d’Omero risprendea poetando, secondo che Ieronimo disegna. 60 Venti e venti anni potean esser, quando questo signor, del quale ti ragiono, morte li tolse d’Alba ogni comando. Or, volendo seguir, sí come io sono venuta in fin a qui, l’un dopo l’altro, 65 Aremol dopo di costui ti pono. Fiero fu in arme, ardito e molto scaltro, crudele e vago d’occupar l’altrui e ’l suo non dare, se potea far altro. Io ero ancor donzella, quando fui 70 subitamente assalita e rubata con tutta la sua forza da costui. Ma tanto ti vo’ dire, e tu ci guata: ch’ogni crudele, ogni superbo aspetta, dato il denar, ricever la derrata. 75 Costui, che ’n questi vizi si diletta, nel suo palagio fu con sua famiglia fulminato dal ciel d’una saetta. Ma ciò che val? ché asempro non si piglia da tai giudicii e la piú parte ancoi 80 un Capaneo o un Neron somiglia. Venti e nove anni visse costui, poi ch’ebbe la signoria al suo dimino: cosí si scrive e dicesi fra noi. Apresso lui Silvio Aventino 85 lo regno prese e qui misura e peso prima fu dato a ciaschedun Latino. Ben fu per lui il paese difeso; sette e trent’anni visse in sua possanza; d’Aremol nacque, ch’io nomai testeso. 90 La sepultura sua tanto li avanza, perché diè ’l nome a un de’ miei bei monti, che in perpetuo fia la nominanza. Apri gli orecchi e tienli attenti e pronti a quel ch’or dico, sí che se giá mai 95 ne parli con altrui, che ’l ver ne conti. Un fratello ebbe questo re, assai cortese e prode: Iulio Probo dico, avol di Iulio Proculo, ch’io amai. Di qui deriva poi quel nome antico 100 de’ Iulii, che nel mio grembo tenni, ai quali vidi il ciel giá molto oblicoe talor dritto come stral che ’mpenni.