Quid novi?

Il Dittamondo (1-17)


Il Dittamondodi Fazio degli Uberti LIBRO PRIMOCAPITOLO XVII Da Dio dico che vien ciascuna grazia,allor ch'io penso nel principio miocome fu poco e poi quanto si spazia.Questo mio bene e questo mio disio fu ne la vita sua sí fatto e tale, 5 che ciascun mio l’avea per un iddio. Per povertá ch’avesse o alcun male, com’i’ t’ho detto, essendo pastore, non perdé mai l’animo reale; ma del poco ch’avea facea onore 10 a’ suoi compagni ed era tanto giusto, che lo tenean come lor signore. Bel fu del volto, di membra e del busto, forte, leggero e di grande intelletto e temperato molto nel suo gusto. 15 E poi che di me amar prese diletto, caldo né freddo né pioggia d’autunno il tenne un dí a far mio pro nel letto. Per gran disdegno, le Sabine funno per lui rapite d’una e d’altra terra, 20 a la gran festa fatta di Nettunno. Per questo, se la mente mia non erra, tanto dolor ne gli offesi s’impetra, che qui mi cominciâr la prima guerra. Il mio signor, che ’n ciò mai non s’arretra, 25 Macrone uccise e la sua spoglia offerse a Iuppiter, che nominò Feretra; e le cittá, ch’eran tanto diverse e di me schife, a la mia signoria, per sua vertú, sottomise e converse. 30 Per doni e per promesse fu Tarpia condotta a me tradir; ma, ne la fine, il danno fu pur suo, s’ella fu ria. Vidi col pianto le donne Sabine de’ padri e de’ mariti far la pace 35 e i due farsi uno ne le mie confine. Ingrato è ben colui, a cui l’uom face onore e pro, e pien di gran superba, se il beneficio ignora e s’ello il tace. Dico ch’io era tra questa gente acerba, 40 quando m’apparve questo signor degno, qual è l’agnel senza pastore a l'erba. E cosí ’l ciel, ch’era gravido e pregno per farmi donna a governare il tutto, costui elesse a cominciare il regno. 45 Pensa s’i’ era allor di poco frutto: ché, per necessitá, fe’ nel mio sito la casa di rifugio e di ridutto. Morto costui, cosí come hai udito di sopra dirmi, de la morte ascosa 50 diverse opinion ne fu sentito. Ma quello, in che la gente piú riposa, Proculus fu, il qual parlò da poi, al qual dien fede piú ch’ad altra cosa. “E’ m’ha detto, diss’el, ch’i’ dica a voi 55 che, senza fallo, il mondo sarebbe di Roma tutto e acquistato per noi. E poi che ragionato cosí m’ebbe, sopragiunse: - Dirai ch’egli usin l’armi contro a le quali niun valer potrebbe -. 60 Dal ciel discese per annunciarmi ciò ch’io v’ho detto; e poi al cielo ancora che ritornasse in fra le stelle parmi”. Per questo, in pace il popol mio dimora, che contro ai senatori era sdegnato: 65 e nominato fu Quirino allora. Perché tu veggi ben ciascun mio stato, notar ti vo’ dal principio del mondo quel tempo ch’era in fine a qui passato. E ciò da me non dico, ma secondo 70 Orosio, che gli ha partiti e distinti e compreso n’ha il vero in fin al fondo. Lustri ottocen settanta sei e vinti eran passati e cotanto piue quanto tu sai che d’un fa quattro quinti; 75 ed eranne da ottanta otto e due da l’arsion di Troia in fino a me, se quarant’otto mesi vi pon sue. E questo primo mio marito e re da due e mezzo visse meco e stette 80 (or pensa quanto bene in poco fe’) e forse ancora un mezzo men di sette, dal giorno che di Fausto Laurenza li fe’ sentire il mel de le sue tette, in sino al fine che l’alta Potenza, 85 com’hai udito, lo trasse suso al cielo, i’ dico a la sua quinta intelligenza, lá dove il padre con benigno zelo racchiuse lui ne le sue ardite braccia e ricoperse col suo caldo velo, 90 sí che poi non sentio freddo né ghiaccia.