Quid novi?

Il Dittamondo (1-18)


Il Dittamondodi Fazio degli UbertiLIBRO PRIMOCAPITOLO XVIIIBen hai udito brevemente i casi: come donzella fui e venni sposa e come poi vedova rimasi. Tal era io allor, quale una rosa ch’apre le foglie e si fa d’ora in ora a gli occhi altrui piú bella e piú formosa. Numa Pompilio di me s’innamora, lo qual del mio piacer tanto fu degno, quanto alcun altro ch’io sapessi allora. Venti e venti anni e due tenne il mio regno con tanta pace, che, quando vi penso, ancor per maraviglia me ne segno. A far nobili templi puose il senso, a ciò che quivi fosson venerati tutti i suoi dei con mirra e con incenso. Magico fu e ne li scongiurati dimon credette, sí che dopo morte nel suo avello i libri fun trovati. Giustizia tenne viva, ferma e forte; piú leggi fece e presene d’altrui, le quali onorâr lui e la mia corte. Pomponio fu il padre di costui: dico Sabino e di Tazio parente, dal quale offesa e poi servita fui. Questo mio sposo fu tanto intendente, che per trovar Pitagora si diede, lo qual solo a natura puose mente. Ad Acronia passò, la qual si crede ch’Ercules fosse cagion del suo sito e per Ovidio ancor se ne fa fede. Visse signore il tempo c’hai udito; morio di morbo e in Gianiculo monte fu con gran pianto apresso soppellito. Chiusa nel manto e ’l vel sopra la fronte, nascosa Egeria a la selva sen gio, 35 dove Diana la converse in fonte: e ben che questa trasformasse in rio, assai mi parve minor maraviglia che quando Ersilia suso al ciel salio. Asciutti gli occhi tristi, e le mie ciglia 40 nel pianto doloroso, Tullio Ostilio vago di me per sua donna mi piglia. E se con pace m’accrebbe Pompilio, costui con guerra; e dritto assai gli avenne, sí destro il vidi e di fermo consilio. 45 Tanto fu fiero e aspro in arme, che nne piansono i Fidenati alcuna volta, che contro a lui aperte avean le penne. La guerra incominciò acerba e folta contro gli Albani e Mezio lor signore 50 per poca cosa, dico, e non per molta. Qui fu l’aspra battaglia e ’l gran dolore da tre a tre e Tito Orazio solo allora mi tornò l’anima al core. Chi ti potrebbe dire il pianto e ’l duolo 55 del vecchio padre, che, dopo i tre morti, vide a morte dannar l’altro figliuolo? Ben den, come qui Tullio, essere accorti i gran signor: cioè che la pietade talor chiuda a giustizia le sue porti. 60 Costui vid’io di tanta nobiltade, che primo usò corona e real vesta ch’altro Latino e simil dignitade. Costui in sul Po, dove ancor par la testa, fe’ la cittá d’Ostilia bella e cara: 65 la fama il grida e ’l nome il manifesta. Con gli occhi tristi e con la bocca amara cacciò i Sabini al malizioso bosco, i quali contro a lui preso avean gara. E tanto fu mortale ancora il tosco 70 lo quale ai Veienzii fe’ sentire, che ’l color ne cambiâr di vivo in fosco. L’abitar suo, com’hai potuto udire, in Velia fu e lá di ricche mura fe’ un palazzo, ch’assai n’avrei a dire. 75 Molto ebbe, in fin che visse, di me cura e, non meno che ’l mio secondo sposo, accrebbe con beltá la mia cintura. Di Mezio re ancor prendo riposo che squartar fe’ e disfar la sua schiatta, 80 perché di lui tradir era stato oso. L’anima al fin del corpo li fu tratta, dove star si credea più sicuro, da folgor, che per l’aire si baratta. E se qui il tempo a punto ben misuro, 85 due anni e trenta avea dal dí ch’io ’l tolsi a quel che venne sí turbido e scuro. Certamente di lui tanto mi dolsi quanto donna de’ far di buon marito; e non sola io vestire a ner mi volsi, 90ma 'l popol mio, sí ne 'i vidi smarrito.