Quid novi?

Il Dittamondo (1-19)


Il Dittamondodi Fazio degli UbertiLIBRO PRIMOCAPITOLO XIXVeder ben può qual nel mio dir si specchia che, quando piace al Ciel che alcun sormonti, ch’ogni argomento al salir li apparecchia; e, poi che vuol che giú trabocchi e smonti, li truova tanti ingegni da cadere, 5 che nulla par, ch’a ciò, difesa monti. Ne’ miei primi anni, come puoi vedere, multiplicava in me di giorno in giorno senno, valore, bellezza e podere ed e converso; ma qui lascio e torno 10 a la mia tema. Morto, com’hai udito, costui, piacque al consiglio mio d’intorno ch’i’ non dovessi star senza marito: e cosí Ancus Marzio mi trovaro, gentil di sangue, prudente e ardito. Quattro anni e trenta fe’ meco riparo e, poi ch’io ebbi il suo valor provato, di starmi seco molto mi fu caro. Sicuro e dolce tenne lo mio stato e fece un ponte far sopra il mio fiume 20 di pietra, tal ch’assai ne fu lodato. E se i tre primi preson per costume d’adornar me e la cintura mia, non men costui in questo vide lume. E stato per un tempo in signoria, 25 la cittá d’Ostia sopra la mia foce fabbricar fe’, che mur non avea pria. Molto era grande de’ Latin la voce e molto acerbi e duri i vicin loro, quando trovâr costui aspro e feroce. 30 I Nomentani, fieri piú che ’l toro, ch’erano per mio danno raunati, vincendo sperse via di foro in foro. Li boschi comandò esser guardati per lo navilio e ordinò che fosse 35 luoghi al mare per far del sal trovati. Al fin di morbo la morte il percosse; in Sacra via visse e ancor quivi lo vidi seppellire in carne e in osse. E poi che gli occhi miei de’ suoi fun privi, 40 Tarquino Lucio Prisco a sé mi prese, cosí com’Ancus volse e piacque ai vivi. Otto anni e trenta al mio onore intese e vo’ che sappi che, per adornarmi, assai vie piú ch’alcun de’ primi spese. 45 Ricchi difici e grandi fece farmi: per ch’io d’alcuno ragionar ti voglio, ch’a lui fe’ onore e a me anco, parmi. I’ dico che il mio nobil Campidoglio fabbricar fece, il qual per una testa 50 lo nome prese e segno fu d’orgoglio. Un altro ancor da sollazzi e da festa ne fece fare e questo fu sí vago, ch’alcun dicea: che maraviglia è questa! Ancor, per portar via il fango e ’l brago, 55 per le mie strade chiaviche fe’ fare, che molto a tutti i miei fu grande appago. Quel ch’or dirò è bello da notare: costui fu greco e la fortuna il porta con la sua donna meco ad abitare. 60 E come entrava dentro a la mia porta, l’aquila scese e trassegli il cappello, e con gli artigli su ne l’aire il porta. Poi si calò e ritornò ad ello e su la testa sí ben gliel rimise, 65 che ne fece ammirare e questo e quello. Di questo Tanaquil verso lui rise sí come quella che grande speranza nel bell’augurio, ch’ella vide, mise. Fiero fu in arme e pien di gran possanza 70 e vago d’allargar le mie confini, largo, intendente e di cortese usanza. Costui vittoria prese de’ Latini; costui a’ Toschi molte cittá tolse; costui fe’ pianger piú volte i Sabini. 75 Costui fu il primo che trionfo colse e che ’l numero del Senato accrebbe e ’n sul Tevere un ponte in archi volse. A costui tanto di Servio increbbe veggendolo in servaggio con la mamma, 80 che con molto piacer lo tenne e crebbe. Al qual, fanciul, fu vista una gran fiamma sopra la testa, essendo ne la cuna: arder parea e non l’offese dramma. Del bell’annuncio di buona fortuna 85 la madre sua prese tal conforto, quanto facesse mai di cosa alcuna. Ma, lassa!, questo mio marito morto fu nel palagio suo a tradimento, del qual gran doglia ne portai e porto 90ancora, quando di lui mi rammento.