Quid novi?

Il Dittamondo (1-20)


Il Dittamondodi Fazio degli UbertiLIBRO PRIMOCAPITOLO XXPianto quasi non è senza singhiozzo, né quello che non rompa la parola: e ciò mi scusi, quando parlo mozzo, però che la mia doglia non è sola; anzi, parlando teco sí s’addoppia, 5 ch’a lo sfogar s’annoda ne la gola. Sei mariti ebbi e si puon dir tre coppia sí di valor che, quando il penso, parmi gran maraviglia che ’l cuor non mi scoppia. Servio Tullio fu il sesto, del qual farmi 10 conviene ora menzion, cui vidi ognora di gran consiglio e proveduto in armi. Tanto li piacqui e tanto me onora ne la sua vita, che, quando vi penso, come tu vedi, ne lagrimo ancora. 15 Costui fu ’l primo che volse che il censo si dovesse pagar nel regno mio, ché ancor di ciò non era alcun compenso. Costui, sí come gli altri miei, fiorio dentro e di fuor sí ben la mia cintura, 20 che lodar poi piú tempo ne l’udio. Dove ora addito e tu, figliuol, pon cura: signoria, dico, non fu mai né fia senza colpo di morte o gran paura. Ahi, lassa me!, ch’ancor par che mi sia 25 un ghiado fitto per mezzo del core, pensando qual fu la disgrazia mia. Dico che, standomi io col mio signore, tradito e morto fu. E da cui? Sola-mente da quelli in cui avea l’amore. 30 L’un fu la dispietata sua figliola ch’un’altra Silla si potrebbe dire, dietro da cui ancor lo smerlo vola; l’altro, il marito; e cosí puoi udire che, per esser signori del mio in tutto, 35 costui, ch’era lor padre, fen morire. D’amaro seme nasce amaro frutto e cosí di mal far si vede ancora ch’a la fine ne segue pianto e lutto: ché ’l ciel per certo pognam che talora 40 s’indugi, al parer nostro; giá pertanto a far del mal vendetta non dimora. Venti e venti anni e piú due cotanto meco era stato, allora che ’l Superbo Tarquin condusse il mio diletto in pianto. 45 Cosí mi prese a ’nganno questo acerbo, lo qual piú crudo a dí a dí mi fue, che tu non m’udrai dire a verbo a verbo. A far prigion fur l’inventive sue, a trovar nuove morti e fier tormenti, 50 perché la gente spaurisse piue. A forza e con sagaci tradimenti Sesto, il figliuolo, giacque con Lucrezia, gentil di sangue e ricca di parenti. Questa, per tôrre via ciascuna spezia 55 di scusa a l’altre, a sé la morte diede, che fu cagion da poi di molte screzia. Sopra ’l sangue innocente giurâr fede Spurio, Publio, Collatino e Bruto di consumar Tarquino e le sue rede. 60 E questa è la cagion che ricevuto non fu, tornando d’Ardea, a star meco e che ’l nome reale fu abbattuto. In guerra funno i miei gran tempo seco: lungo sarebbe a dir che di ciò nacque, per ch'io abbreviando il vo qui teco. Ma ’l vero è questo: che tanto mi spiacque, che, per forza ch’avesse di Toscana, giá mai da poi nel mio letto non giacque. Cosí crudele e di natura strana 70 costui trovai, quanto in tutti i suoi mali colui mi fu che parturio la rana. Dei miei sposi hai bene udito quali e quanti funno; or segue ch’io ti dica di quei figliuol, che piú m’apriron l’ali. 75 Ma, per alleviarti la fatica, se ’l volessi saper, dirò pria come era, nel tempo ch’io ti conto, antica. Dal dí, che preso avea il mio bel nome, in fin a quello ch’io fuggio costui, 80 al qual, come udito hai, negai ’l mio pome, quaranta quattro e dugento anni fui con questi miei mariti; e sappi ch’io poco era nominata ancor d’altrui. Vero è che, sopra ogni altro gran disio, 85 era di fare sí, per mia vertute, che ’l mondo fosse tutto al voler mio. Per acquistar tanto degna salute, molto di sangue sparsi in su la terra per battaglie, che fun vinte e perdute, 90 come tu dèi saper che va di guerra.