Quid novi?

I peccati mortali


Sopra li sette peccati mortalidi Fazio degli UbertiIXSuperbiaIo so’ la mala pianta di Superba,Che generò di ciascun vizio il seme;E quel cotal non ama Dio nè temeChe si nutrica di questa mia erba.Io son mal grata arrogante ed acerba,Per cui il mondo tutto piange e geme;Io so’ nelle gran cose e nell’estremeColei che compagnìa rompe e disnerba.Io so’ un monte tra ’l cielo e la terra,Che chiudo gli occhi vostri a quella luceChe sol della giustizia in voi conduce.Col sommo bene sempre vivo in guerra:Ver è che, quando regno in maggior pompe,Giù mi trabocca e tutta mi dirompe.Note mie:I versi 7-8, nella versione Allacci, recitano:Io nelle gran cose so ell’extremeColei che rompe compagnìa e disnerba.XAvariziaIo so’ la magra lupa d’Avarizia;Di cui mai l’appetito non è sazio,Ma quanto più di vita ho lungo spazioPiù moltiplica in me questa tristizia.Io vivo con sospetto e con malizia,Nè lemosina fo, nè Dio ringrazio.Deh odi s’io mi vendo e s’io mi strazio,Che moro di fame e dell’oro ho dovizia.Non ho parenti, nè cerco memoria,Nè credo sia diletto nè più vivereChe l’imborsar fare ragione o scrivere.L’inferno è monumento di mia storia;E questo è quello bene in cui m’annidolo:Il fiorin pregio, e Dio tengo per idolo.XIInvidiaEd io Invidia, quando alcuno guardoChe si rallegri, vengo umbrosa e trista;Nei membri nel parlare e nella vistaDiscuopro il fuoco d’entro ove io ardo.Da fratello a fratel non ho riguardo:Ognun sa ben quel che per me s’acquista;Morir fe Cristo e cercare il salmistaDinanzi da Saùl co’ lo mio dardo.Io consumo lo core dov’io albergo:Io posso dir dh’io sia discordia e morteDi città di reami e d’ogni corte.Ai colpi miei ,non può durare sbergo,Per ciò ch’a tradimento gli disserro:lo dico colla lingua e non col ferro.XIILussuriaIo so’ la scelerata di LussuriaChe legge nè ragion mai non considero,Ma tutto quel ch’io voglio e ch’io desideroGiusto mi pare, e qui non guardo ingiuria.Io sono un fuoco acceso pien di furia,Che i Greci e gli Troian già mai me videro.L’anima perdo, ed corpo m’assidero;E vivo con malizia e con ingiuria.E come ch’io dimostre nel principioUn dolce ed un contento desiderio,Pur la mia fine è danno e vituperio.Del porco nel costume participio;E quanto è da lodar l’uomo e la femina,Che fugge l’esca che per me si semina!XIIIGolaIo so’ la Gola che consumo tuttoQuanto per me e per altrui guadagno,E in ogni altro bisogno mi sparagnoPer satisfare a questo vizio brutta.Lassa mi trovo e col palato asciutto,Con tutto che lo dì e la notte ’l bagna;Del corpo sono ’l vecchio e nuovo lagno,E del ciel perdo l’angelico frutto.Trova chi colga ’ben di ramo in ramo,Ch’al mondo fui principio d’ogni maleNel pomo che gustò Eva ed Adamo.La fine mia ’pei mio soverchio è tale,Che guasto gli occhi e partitica vegnoE casco in povertà senza ritegno.XIVIraIra son io sana ragiona e regola,Subita, furibonda, con discordia;Pace nè amore con misericordiaTrovar non può chi con meco s’impegola.Tutta mi struggo e rodo come pegola;Minaccie e grida sempre con discordiaDov’io albergo; non trova concordiaFigliol con padre quando sono in fregola.Tosto com’ foco ogn’or più sento accendereEntro all’animo mïo, ciò lo torbida,Dove non pote mai il ver comprendere.Paura nè lusinghe me rimorbida;Dispregio Dio, fè, battesmo e cresima;Uccido altrui e quando me medesima.XVAccidiaEd io Accidia so’, tanto da nullaChe gramo fo di chïunque m’adocchia;E per tristezza abbascio le ginocchia,E ’l mento su per esse si trastulla.Io so’ cotal qual m’era nella culla;Non ho più piedi nè mani nè occhia;Gracido e muso come la ranocchia,Discinta e scalza, ed ho la carne brulla.A me non vale esempio di formica;Deh odi s’io son pigra, che gustandoE il mover della bocca m’è fatica!In somma, quando vengo ben pensando,Dico fra’ miei pensier tristi ed infermi:- Io venni al mondo sol per darme a’ vermi. -Tratti da: "Poeti antichi: raccolti da codici mss. della Biblioteca Vaticana, e Barberini",Leone Allacci, Per Sebastiano d'Alecci, 1661 - 527 pagine.Il testo riveduto è anche in Biblioteca Italiana di Giuseppe Bonghi