Quid novi?

Il Dittamondo (1-21)


Il Dittamondodi Fazio degli UbertiLIBRO PRIMOCAPITOLO XXIApresso queste cose, ch’io t’ho detto, li miei figliuol due consoli ordinaro e fra tutti fu Bruto il primo eletto; poi, l’altro, Collatino, a cui amaro lo soprannome suo li costò tanto, che lasciò me e fece altro riparo. A questo Bruto mio dar posso vanto che mi guidò sí bene in pace e ’n guerra, che degno fu d’avere il primo manto. E se l’opinione mia non erra, di me prese speranza in fin d’allora che innanzi a Apollo giú basciò la terra. Del suo valore è da parlare ancora, pensando a la giustizia de’ suoi figli e come, al fine, sé e me onora. E se di lui mai con altri pispigli, dir puoi ch’un anno il piansi a gran dolore, vestita a brun con tutti i miei famigli. Un poco apresso ordinai dittatore: Largio fu il primo e sí fatta bailia a chi l’avea si potea dir signore. Similemente a Spurio diedi in pria, perché era franco e giusto e con misura, ch’ammaestrasse la milizia mia. Non c’è chi ponga a Publicola cura, ch’avendo speso il mio per lungo spazio, non si trovò da far la sepultura. Per quel che fece sopra il ponte Orazio, onorai la sua imagine da poi e donai terra, onde assai ne fu sazio. Il magnanimo Muzio saper puoi ch’al fuoco fe’ de la man sacrifizio, onde ’l suo campo il testimonia ancoi. E per l’onor che rendeo al mio ospizio la vergine Cloelia, in via sacra merito n’ebbe d’alcun benefizio. Per Coriolan venia dolente e macra, quando Vetura li rivolse il tergo, con preghi raffrenando la voglia acra. Piú difesono allora il mio albergo le femine vestite dentro a’ panni, che gli uomini armati ne lo usbergo. O cari Fabii miei, con quanti affanni sofferiste il martir, ch’io piango spesso pensando al valor vostro e a’ miei danni! Quasi nel tempo ch’io ti conto adesso, ai miei bisogni apparve Cincinnato, dal qual mi vidi amar quanto se stesso. Qui passo a dirti come fu trovato al campo suo e come si divise 50 da’ buoi, dal pungiglione e da l’arato. Tal fu Virginio, che la figlia uccise, per che l’onor de’ Diece venne meno e Appio scelerato non ne rise. Ma perché piú e piú discordie feno 55 i grandi con la plebe, nel mio dire intendo a ciò tenere stretto il freno. Con grande onore a me vidi reddire Aulo Cornelio, da poi ch’egli ebbe morto Tolonio e i suoi fatti fuggire. 60 E tanto senza pioggia allora crebbe il lago d’Alba sopra ogni cammino, ch’a vederlo ora un miracol parrebbe. Per questo mandai io ad Apollino, dubitando che annunzio non fosse 65 pericoloso ad alcun mio destino. Un poco apresso, Brenno mi percosse lá sopra d’Allia e tal fu la vittoria, che mi spolpò la carne in fino a l’osse. Camillo è degno qui d’alta memoria, 70 perch’allor mi soccorse e saper dèi che fu il secondo Romul che mi storia. Ahi quanto, lassa!, pianser gli occhi miei per la pietá dei buon, che sui gran seggi fun morti, quasi in abito di dei! 75 E perché chiaro di Camillo veggi il magnanimo core e i grandi acquisti, voglio che in Livio e in Valerio leggi. Or se per Bruto gli occhi miei fun visti pianger quando morio, pensar ben puoi 80 che non men per costui lagrimâr tristi. La terra aperse non molto da poi, ne la qual Marco Curzio entrò armato per suo valor, per campar me e i suoi. Per quel che con la lancia fe’ Torquato, 85 Valerio con la spada e col suo corbo, fu a ciascuno il soprannome dato. O Melio ardito e pro, come fosti orbo nel gran volere, allor che dittatore Tito fu fatto per tuo tristo morbo! 90 E Manlio fu sí forte e d’alto core, che comandò che il figliuol fosse morto, perché ’l disubbidio con farsi onore. E Decio, in arme e in consiglio accorto, del bue dorato e de le due corone 95 trionfai giá con allegro conforto. Costui fu tal, ch’avendo in visione veduto la sua morte, per mio scampo s’offerse a lei come fedel campione. Cosí ’l figliuol tra’ nemici in sul campo 100 chiamò li dii d’inferno e morir volse, sí come il padre. Or pensa s’io avampo e se, quando morîr, di lor mi dolse.