Quid novi?

Il Dittamondo (1-23)


Il Dittamondodi Fazio degli UbertiLIBRO PRIMOCAPITOLO XXIIITal era giá in Africa Cartagine, che, per tema ciascun de la sua scopa, seguiva e onorava la sua imagine. E io di qua, ne le parti d’Europa, mi vedea tanto grande e tanto cara, 5 qual donna a cui ogn’altra poi s’indopa. Or come sai che le piú volte è gara dove poder con gran poder confina, mosse guerra fra noi aspra e amara: ch’ella volea dominar la marina, 10 guardar Cicilia, Corsica e Sardigna e ogni piaggia che m’era vicina. Per ch’io pensai: se costei s’alligna sí presso a me, il suo poder fia tale, che poco pregiar posso ulivi o vigna. 15 Onde, per non voler vergogna e male, e sí per acquistar onore e pregio, la briga impresi, che fu sí mortale. Appio Claudio di gran valore fregio: tal me ’l trovai contro Annibale il vecchio 20 e contro a Iero, che m’avea in dispregio. Ma poco apresso fe’ grande apparecchio questo Annibal e venne a le mie prode col ferro in man, col fuoco e col capecchio. Cornelio Asina uccise con sue frode; e, benché ’l soprannome non sia vago, non vo’, però, che ’l tegni di men lode. Oh quanto, rimembrando, ancor m’appago come con buon volere e gran fatica Duilio il sperse per lo marin lago! 30 E quanto cara m’è, bench’io nol dica, de la sua sposa Iulia la risposta, che fe’ vèr lui, tanto onesta e pudica! E quanto ancor mi piace e mi s’accosta Lucio Scipio, quand’io penso ch’Annone 35 uccise e cacciò i suoi di costa in costa! Da gente serva e vil, senza ragione una giura fu fatta per rubarmi; ma cadde il danno su le lor persone. Da notar degno Calpurnio qui parmi, 40 ch’accorto fu in subito consilio, franco, sicuro e valoroso in armi. In questo tempo feci il gran navilio: Regulo e Manlio funno gli ammiragli fra gli altri eletti nel mio gran Concilio. 45 Non dirò tutto, perché men t’abbagli il mio parlar; ma d’Amilcar costoro preson vittoria, dopo piú travagli. Con molti presi e con ricco tesoro Manlio a me tornò e Regul poi 50 in Africa co’ suoi fece dimoro. Costui fu tal, che certo al dí d’ancoi il par non troveresti per virtute: dico nel mondo, non che qui fra noi. Sessanta e tre cittá con piú tenute 55 prese ed uccise il gran serpente e rio, del qual poi vidi il cuoio pien di ferute. Qui pensa se fu degno che morio di crudel morte; e ciò sostener volse per mantener sua fé e l’onor mio. Per la vendetta, il mio senato sciolse Emilio e Fulvio, che la fecion tale, ch’Africa poi piú tempo se ne dolse. Allegri e carchi, senza niun male reddiano a me, allor che le bianche onde 65 ruppe ’l navilio con vento mortale. Or qui ben puoi veder che non risponde ognor la fine come va il principio, come ogni albor non frutta che fa fronde. Sempronio ancora e Servilio Cipio 70 tornavan di Cicilia ricchi e carchi, quando a Eolo spiacque ciò concipio. Per questi dubitosi marin varchi, ordinai io al piú per mar tenere sessanta legni, a guardar le mie marchi. 75 Ma quella lupa, che non puote avere tanto, che giá mai sazi l’appetito, l’ordine ruppe a seguir tal volere. E perché forse ancor non hai udito del vecchio Annibal quello che ne avenne, 80 sappi ch’el fu da' suoi morto e tradito. E Asdrubal tanto male si contenne contro a Metello Lucio, che, del campo fuggendo, ancor da’ suoi morir convenne. Ne la Spagna Amilcar l’ultimo inciampo 85 de la vita sostenne e sí sconfitta fu sua gente, che poca ne fe’ scampo. Ahi, lassa!, come io fui allor trafitta ch’Atilio e Manlio rivolson la poppa contro a’ nemici, u’ la proda era ritta! 90 E lassa!, ché sí il cuore ancor mi scoppa, quando ricordo il gran distruggimento di Claudio, che al dir la lingua aggroppa. Cosí allora allegrezza e tormento cambiavan me, come fa gente in mare, 95 che ride e piange secondo c’ha il vento: ché, quando piú fioria per sormontare, di subito giungea nova tempesta, che ’l passo a dietro mi facea tornare. Ma tanta grazia al mio Lutazio presta 100 il cielo allor, che ristorò le perde sopra Cartagine e con lieta festa la pace fe’, che poco stette verde.