Quid novi?

Terze Rime 3-4


Terze Rime di Veronica FrancoAbdelkader Salza, Bari, Laterza 1913IIIDella signora Veronica Franca[Lontana dall'amante, soffre e piange, e sospira Venezia. Dove appena sarà tornata, a lui che l'attende darà, in amorosa lotta, dolce ristoro delle noie passate.]Questa la tua fedel Franca ti scrive,dolce, gentil, suo valoroso amante;la qual, lunge da te, misera vive.Non così tosto, oimè, volsi le pianteda la donzella d'Adria, ove 'l mio coreabita, ch'io mutai voglia e sembiante:perduto de la vita ogni vigore,pallida e lagrimosa ne l'aspetto,mi fei grave soggiorno di dolore;e, di languir lo spirito costretto,de lo sparger gravosi afflitti lai,e del pianger sol trassi alto diletto.Oimè, ch'io 'l dico e 'l dirò sempre mai,che 'l viver senza voi m'è crudel morte,e i piaceri mi son tormenti e guai.Spesso, chiamando il caro nome forte,Eco, mossa a pietà del mio lamento,con voci tronche mi rispose e corte;talor fermossi a mezzo corso intentoil sole e 'l cielo, e s'è la terra ancorapiegata al mio sì flebile concento;da le loro spelunche uscite fuora,piansero fin le tigri del mio piantoe del martìr, che m'ancide e m'accora;e Progne e Filomena il tristo cantoaccompagnaron de le mie parole,facendomi tenor dì e notte intanto.Le fresche rose, i gigli e le violearse ha 'l vento de' caldi miei sospiri,e impallidir pietoso ho visto il sole;nel mover gli occhi in lagrimosi girifermársi i fiumi, e 'l mar depose l'ireper la dolce pietà de' miei martìri.Oh quante volte le mie pene direl'aura e le mobil foglie ad ascoltaresi fermár queste e lasciò quella d'ire!E finalmente non m'avien passareper luogo, ov'io non veggia apertamentedel mio duol fin le pietre lagrimare.Vivo, se si può dir che quel, ch'assenteda l'anima si trova, viver possa;vivo, ma in vita misera e dolente:e l'ora piango e 'l dì, ch'io fui rimossada la mia patria e dal mio amato bene,per cui riduco in cenere quest'ossa.Fortunato 'l mio nido, che ritienequello, a cui sempre torno col pensiero,da cui lunge mi vivo in tante pene!Ben prego il picciol dio, bendato arciero,che m'ha ferito 'l cor, tolto la vita,mostrargli quanto amandolo ne pèro.Oh quanto maledico la partita,ch'io feci, oimè, da voi, anima mia,bench'a la mente ognor mi sète Unita,ma poi congiunta con la gelosia,che, da voi lontan, m'arde a poco a pococon la gelida sua fiamma atra e ria!Le lagrime, ch'io verso, in parte il focospengono; e vivo sol de la speranzadi tosto rivedervi al dolce loco.subito giunta a la bramata stanza,m'inchinerò con le ginocchia in terraal mio Apollo in scienzia ed in sembianza:e, da lui vinta in amorosa guerra,seguiròl di timor con alma cassa,per la via del valor, ond'ei non erra.Quest'è l'amante mio, ch'ogni altro passain sopportar gli affanni, e in fedeltateogni altro più fedel dietro si lassa.Ben vi ristorerò de le passatenoie, signor, per quanto è 'l poter mio,giungendo a voi piacer, a me bontate,troncando a me 'l martìr, a voi 'l desio.IVD'incerto autore alla signora Veronica Franca[Rispondendo all'epistola precedente, l'amante, pur dolendosi ch'ella abbia voluto allontanarsi, spera che per la pietà di lui s'induca a tornar presto.]A voi la colpa, a me, donna, s'ascriveil danno e 'l duol di quelle pene tante,che 'l mio cor sente e 'l vostro stil descrive.L'alto splendor di quelle luci santerecando altrove, e 'l lor soave ardore,ai colpi del mio amor foste un diamante.Io vi pregai, dagli occhi il pianto foresparsi largo, e sospir gravi del petto:non m'aiutò pietà, non valse amore.Valse, via più che 'l mio, l'altrui rispetto;e, benché umìl mercé v'addimandai,pur sol rimasi in solitario tetto.D'ir altrove eleggeste, io sol restai,com'a voi piacque ed a mia dura sorte:sì che invidia ai più miseri portai.E, s'or avvien che a voi pentita apportealcun dolore il mio grave tormento,in ciò degno è ch'amando io mi conforte.Dunque per me del tutto non è spentoquel foco di pietà, ch'ove dimorafa d'animo gentil chiaro argomento.Di voi, cui 'l ciel tanto ama e 'l mondo onora,di bellezza e virtute unico vanto,con cui le Grazie fan dolce dimora,gran prezzo è ancor, se nel corporeo manto,dove star con Amor Venere suole,virtù chiudete in ciel gradita tanto.èe 'l vostro cor del mio dolor si duole,s'egualmente risponde a' miei desiri,oh vostre doti e mie venture sole!Tra quanto Amor le penne aurate giri,non ha chi, com'io, dolce arda e sospire,né tra quanto del sol la vista miri.Dolc'è, quant'è più grave, il mio languire,se, qual nel vostro dir pietoso appare,sentite del mio mal pena e martìre.Che poi non mi cediate nell'amare,esser non può, ché la mia fiamma ardentenel gran regno amoroso non ha pare.Troppo benigno a' miei desir consenteil ciel, se dal mio cor la fiamma mossavi scalda il ghiaccio della fredda mente.In voi non cerco affetto d'egual possa,quel ch'a far di duo uno, un di duo viene,e duo traffigge di una sol percossa.Troppo del viver mio l'ore serenefôrano, e tanto più il mio ben intero,quanto più raro questo amando avviene:quanto Amor men sostien sotto 'l suo imperoche 'n duo cor sia una fiamma egual partita,tanto più andrei de la mia sorte altero.sì come troppo è la mia speme ardita,che sì audaci pensieri al cor m'invia,per strada dal discorso non seguìta,da l'un canto il pensar sì com'io sia,verso 'l vostro valor, di merto poco,dal soverchio sperar l'alma desvia;da l'altro Amor gentil ch'adegui invocola mia tanta con voi disagguaglianza,e gridando mercé son fatto roco.D'Amor, ch'a nullo amato per usanzaperdona amar, dove un bel petto serrapensier cortesi, invoco la possanza:quella, onde 'l ciel ei sol chiude e disserra,e, perch'a lui la terra è poco bassa,gli spirti fuor de l'imo centro sferra,prego che l'alma travagliata e lassasostenga; e, se non ciò, vaglia pietatelà dove 'l vostro orgoglio non s'abbassa.Di mercé sotto aspetto non mi datelusingando martìr, tanto più ch'iov'adoro; e quanto prima ritornate,ch'al lato starvi ognor bramo e desio.