Quid novi?

Il Dittamondo (1-29)


Il Dittamondodi Fazio degli UbertiLIBRO PRIMOCAPITOLO XXIXInvidia, superbia e avarizia vedea moltiplicar tra’ miei figliuoli piú, quanto piú cresceva in lor divizia: per ch’io di gravi e di cocenti duoli, ch’apparver poi, giá m’ero indovina, 5 come per vento il tempo stimar suoli. Ma prima che sentissi tal ruina, sopra ’l Rodano Mario i Galli e i Cibri distrusse e la lor gente feminina. E fenno contro a me, per viver libri, 10 insieme compagnia Giugurta e Bocco, come tu puoi veder per molti libri. E, dopo piú miei danni, ch’io non tocco, Mario, vincendo, li fece tornare per forza in ver Numidia e nel Morocco. 15 Vidi preso Giugurta incarcerare, che detto avea di me assai giá bene: ch’i’ a vender fosse, pur chi comperare. De’ due Metelli parlar mi convene, perché l’un di Sardigna triunfai, 20 di Tracia l’altro, dopo molte pene. Niun de’ miei per suo valor giá mai con gente avea passato monte Toro, quando Servilio n’ebbe onore assai. Del monte Rodopeo ancora onoro 25 Scribonio con ciascuno suo compagno, che di lá pria ne portâr gran tesoro. Ma tanto, lassa!, del mio mal mi lagno, al ricordo che la saga vestio, che gli occhi e ’l volto di lagrime bagno. 30 Vero è ch’apresso, pensando com’io mi rimisi la toga, mi conforto e Cesar lodo qui con gran disio. De la gran guerra ancor memoria porto, la qual durò intorno di trent’anni con Mitridate, che dal figlio è morto. Chi ti potrebbe dire i molti danni, chi ti potrebbe dir la lunga spesa, chi ti potrebbe dire i gravi affanni, ch’allor soffersi per tanta contesa? 40 Certo non so, ma per fermo ti conto ch’al fin l’onor fu mio di quell’impresa. I Luculli, che passaro Ellesponto, qui convien ch’a la mente ti riduca, perché ciascuno al mio onor fu pronto. 45 E come il serpe esce fuor de la buca nel sol del Cancro, con la gola aperta, e l’occhio ha tal, che par carbon che luca, tal Saturnino uscio con la testa erta e gli occhi accesi al mal, fuor del mio seno, 50 e mosse quel, ch’io fui presso a diserta. Otriaca fu Mario al suo veleno e a quello di ciascuno, che si mosse per seguitare il suo mal volto freno. Sempre la ’nfermitá, che sta ne l’osse, 55 perché si cela è piú pericolosa che quella in che si veggion le percosse. E perché allor la mia era nascosa, dubitava sí forte de la vita, quanto giá mai di alcun’altra cosa. 60 E pensa s’i’ dovea stare smarrita, ché per annunzio, credo, fuor del pane spicciò il sangue qual d’una ferita. E lassar l’uom fuggire al bosco il cane, la terra aprire e fuor gittar la fiamma 65 veduto fu e altre cose strane. Silla crudel, dei qual mi credea mamma, per sua invidia con Mario prese briga, che diece anni durò e non men dramma. Ahi, lassa!, come ’l pianto il volto riga, 70 quando ricordo il triunfar di Mario e quanto giá per me portò fatiga! E poi penso che sí, per lo contrario, la fortuna contro a Silla gli offese, che dal bene al suo mal non so divario. 75 Dire non so quel duol, ch’allor discese sopra il mio sangue, né credo sia lingua che far potesse il gran danno palese. Passato questo e fatta un poco pingua, ordinò Catellina la gran giura, 80 la qual Sallustio par che chiar distingua. Qui soffersi io gran pena e gran paura e se non fosson, piú sarebbe stata, Tullio e Caton, che preson di me cura. Cosí, come odi, una e altra fiata 85 per li tre vizi, ch’io ti dissi dianzi, mi vidi lagrimosa e sconsolata. E però quale intende a grandi avanzi, o Signore o Comun, sempre convene partirli dal suo cuore innanzi innanzi. 90 Or come sai che per natura avene che ’l dolce si conosce per l’amaro, la notte per lo dí e ’l mal dal bene, cosí per le virtú, che son contraro di questi vizi, avièn che l’uomo sale 95 ispesse volte in luogo degno e caro. Quasi in quel tempo, ch’i’ stava sí male, in vèr levante mandai io Pompeo, d’animo forte, franco e liberale. Lá vinse il Turco, l’Armino e ’l Giudeo, 100 quello d’Egitto e quel di Babilona, Albania e Siria e per mar ciascun reo. E tanto fece per la sua persona, che d’Asia e d’Europa prese e mise una gran parte sotto mia corona, 105 e Tolomeo fe’ re, che poi l’uccise.