Quid novi?

La Bella Mano (061-065)


La Bella Mano di Giusto de' Conti LXINon porrà mai con tutta sua durezza.Questa selvaggia, o con più rea sembianza,Levar dal petto mio l'alta speranzaChe già fermata è sì, che nulla apprezza. Ben può suo sdegno insieme et sua vaghezzaDisfar di me quel poco che ne avanza;E il resto di mie spoglie in la bilanzaTener tra vita et morte in tanta asprezza. Ma per ritrarmi dall'ardente laccio,Indarno ver di me si mostra dura,Da tal benigna stella vien mia sorte. Dico l'errante fera, che ognior caccio,Leggera et sciolta sì che nulla cura,Di sua beltà superba et di mia morte. LXIISolo fra l'onde senza remi o sarte,A meza notte priva d'ogni luce,Mi trovo in picciol legno, et è mio duceErrore et Caso, non Ragione et Arte. Quando io son combattuto d'ogni parteUn nuvol di sospir, che mi conduceVicino al mortal passo, al cor m'adduceCagion, ch'io mi lamenti in mille carte. Et più pavento allor, ch'io mi ricordoChe, stando dentro al legno ben non veggioCome fortuna intorno mi minaccia. Il mio fido soccorso è fatto sordo,Morta è pietà per me dove la chieggio,Chiuse ha mia speme le pietose braccia. LXIIIDeh torci gli occhi dallo soperchio lume,Anima dolorosa, che due stelleTi par la vista, che ti mena al fine,Et pensa chi vien tosto omai la sera;Sì che io già sento rinforzar gli venti,Et la fortuna infin dentro del porto. Ben fora tempo omai ridursi in porto,Ch'io veggio intorno già sparito il lume,Et al mio navigar turbati i venti:Et le tranquille mie due care stelleMi stan celate in tutto, da la seraCh'io vidi al viver mio sì pronto il fine. Di quinci lasso di mia vita il fine,Quindi si mostra al mio soccorso il porto,Et al pigliar consiglio vien la sera:Ma sì m'abbaglia un dispietato lume,Ch'io sprezo il segno di mie fide stelle,Et la salute mia commetto ai venti. Se mai s'acquetan gli turbati venti,Sì che, venendo la tempesta al fine,All'orizzonte sorgan le mie stelle,Io scamperò fuggendo in qualche porto,Nanzi ch'un'altra volta il maggior lumeTrapassi il monte, et torni l'altra sera. Ma pria mi giugnerà l'ultima sera,Che mai levar dall'Ostro senta i ventiPer isgombrare il ciel nanzi al bel lume:Et prima Amor trasporterammi al fine,Ch'io volga vela per ritrarme in porto,Durando il corso delle crude stelle. Se tanto a me nimiche son le stelle,Che voglion ch'io sospir mattino et seraSu l'onde errando et mai no arrivi a porto,Movansi d'ogni parte tutti i venti,Sì che una volta veggia trarmi al finePer non veder per gli occhi mai più lume. Leggiadro et vago lume di mie stelleScorgimi a miglior fine innanzi seraCon più suavi venti in qualche porto.LXIVFra scogli in alto mar, pien di disdegno,Colma ho la vela; e il sol già si nasconde;Et solo mi ritrovo, et non so dondeConforto aspetti omai per mio sostegno, Non veggio lume in porto o stella o segno,Non luna che le corna aggia ritonde,Ma tenebrose nebbie, et turbide onde,Et giunto al duro fin mio stanco legno. In tanto, di me dubbio, disperandoScorgo il maggior periglio, et lì m'aventoPer venir tosto all'ultimo sospiro; Ma lei, che d'ogni ben mi tiene in bando,Sostien ch'io non perisca in tanto stento,Perché sia sempiterno il mio martiro.LXVSe l'alma non s'accorge dell'inganni,Non posso lungamente omai soffrire:Smarrita è l'arte, et manco vien l'ardire,Et la ragione è morta tra gli affanni. La guerra è lunga et crudel troppo, et gli anniMen freschi, stanchi sotto il gran martire:La spene m'abbandona, e il gran disireSempre più ardente trovo né miei danni. Il cor che né sue imprese tante volteQuante ne ardisce, è vinto da costei,Talor si sdegna, et pur meco s'adira. Così mi vivo, et non è chi m'ascolteDè miei pensier, che tutti son di lei:Onde la mente a doppio ne sospira.Giusto de' ContiLa Bella Mano