Quid novi?

Terze Rime 9-10


Terze Rime di Veronica FrancoAbdelkader Salza, Bari, Laterza 1913IXD'incerto autore[Altro lamento d'un amante di Veronica, durante un'assenza di lei.]Donna, la vostra lontananza è stataa me, vostro fedel servo ed amante,morte tanto crudel quanto insperata.Nel gentil vostro angelico sembianteabitar l'alma e 'l mio cor vago suole,e ne le luci sì leggiadre e sante:queste fùr risplendente unico solesovra i miei dì, senza lor tristi e negri,e di quel pieni, ond'uom via più si duole,come sono a me adesso orbati ed egri,in questa sepoltura de la vita,che non fia, senza voi, che si reintegri.Con voi l'anima mia s'è dipartita,anzi 'l mio spirto e l'anima voi sète,e tutta la virtù vitale unita:e, s'uom morto parlar vien che si viete,non io, ma di me parla in cambio quella,che ne le vostre man mia vita avete.Questa non pur vi scrive e vi favellaper miracol d'Amor, in cotal guisa,che, ne l'esser io morto, in voi vive ella;ma, stando dal cor vostro non divisa,vi susurra a l'orecchie di segreto,e 'l mio misero stato vi divisa.Né perciò del mio male altro ben mieto,se non ch'agli occhi vostri ei si figuracon spettacolo a voi gioioso e lieto;e, mentre meco ognor v'innaspra e indura,superate ne l'essermi crudelele fiere mostruose a la natura.Lasso, ch'io spargo ai venti le querele,anzi è un percuoter d'onde a duro scoglio,quanto mai di voi pianga e mi querele.Mosso s'insuperbisce il vostro orgoglio,sì come 'l mar a l'impeto de' venti,mentre a ragion con voi di voi mi doglio:ed or, per far più gravi i miei tormenti,per levarmi 'l ristoro, ch'io sentianel formarvi propinquo i miei lamenti,n'andaste a volo per diversa via,quando men sospettava, a dimostrarviin tutti i modi a me contraria e ria.Qual neve sotto 'l sol, piangendo sparvicon quest'orma di vita, e con quest'ombravana e insufficiente a seguitarvi;anzi, da' miei sospir caccia e sgombra,col vento, ch'a voi venne, si risolse,che spirando al bel sen fors'or v'ingombra.Empio destin, ch'altrove vi rivolsedal mirar lo mio strazio e quella pena,che infinita al mio cor per voi s'accolse!Troppo era la mia vita alta, serena,darvi in presenzia de la mia gran fedecol vicin pianger mio certezza piena,e riceverne asprissima mercededi presenti minacce e di ripulse,contrario a quel ch'a la pietà si chiede.Ben certo allor benigno il ciel m'indulse:e troppo chiara ancor nel sommo sdegnola luce de' vostr'occhi a me rifulse.Di gustar quel piacer non era degno,ch'io sentia, nel vedervi, aspro e mortalefar più sempre 'l mio duol, con ogni ingegno:or lasso piango il mio passato male,quando a le mie d'amor gravi percossenon fu in dolcezza alcun diletto eguale.Amor d'acerbo colpo mi percosse,di quel che di piacer è in tutto privo,quando da me, madonna, vi rimosse.Dianzi fu 'l viver mio lieto e giulivo,ed or, a prova del mio mal cotanto,sento 'l mio ben, mentre di lui mi privo.Deh tornate a veder il mio gran pianto;venite a rinovar l'aspre mie piaghe,senza lasciarmi respirar alquanto:di ciò contente fian mie voglie e paghe,che 'l mio duol, da voi fatto ancor maggiore,mirin da presso lame luci vaghe.A me fia d'alta gioia ogni dolore;e in gran pietà riceverà lo strazio,e in dolce aita ogni aspra offesa il core,pur ch'a noi ritorniate in breve spazio.XRisposta della signora Veronica Franca per l'istesse rime[Non potendo ella, invaghita d'un uomo a lei caro su tutti, corrispondere ad altro affetto, s'è allontanata da Venezia, perché nella sua assenza si mitighi l'ardore di chi l'ama senza speranza.]In disparte da te sommene andata,per frastornarti da l'amarmi, avantech'unqua mostrarmi a tanto amore ingrata:né mia colpa fia mai ch'alcun si vantegiovato avermi in opre od in parole,senza mercede assai più che bastante;ma s'uom, seguendo ciò che 'l suo cor vuole,di quel m'attristi, ond'ei via più s'allegri,meco non merta, e mi sprezza, e non cole.Quei sì, che son d'amor meriti intègri,quando, per far a me cosa gradita,per me ti sono, i tuoi dì tristi, allegri:e nondimeno tu con infinitadoglia sentisti che mai cose lietenon m'incontrár dal tuo amor disunita.Che mi prendesti a l'amorosa rete,presa da un altro pria, vietò mia stella;non so se per mio affanno, o per quiete:basta che, fatta d'altro amante ancella,l'anima, ad altro oggetto intenta e fisa,rendersi ai tuoi desir convien rubella.Con tutto questo, e ch'al mio ben precisala strada fosse, e fattomi divieto,dal tuo seguirmi poco men che uccisa,con giudicio amorevole e discretotanto stimai 'l tuo amor senza misura,quanto più al mio voler fosti indiscreto:e, di te preso alcuna dolce cura,bench'a me tu temprasti amaro felecol tuo servirmi, in ciò non ti fui dura:e, per te non avendo in bocca il meledi quell'affetto, ch'entro 'l sen raccoglio,che in altrui pro convien che si rivele,liberamente, come teco soglio,ti raccontai ch'altrove erano intentii miei spirti; e mostraiti il mio cordoglio.Or, perché teco ad un non mi tormenti,tentando invan ch'a mio gran danno io siapietosa a te, con tuoi dogliosi accenti,da te partimmi; e, non potendo piaesserti, almen veridica t'apparvi :non rea, qual da te titol mi si dia.Quanto è 'l peggio talvolta il palesarvi,effetti d'alma di pietate ingombra,dov'altri soglia male interpretarvi!Benché, se vaneggiando erra et adombrail tuo pensier, che da ragion si tolse,seguendo Amor per via di lei disgombra,non però quel, ch'ad util tuo si vòlseda me, da cui 'l desir tuo si raffrena,che d'ir al precipizio piè ti sciolse,a meritar alcun biasmo mi mena;anzi di quel, ch'aiuto in ciò ti diede,la mia chiara pietà si rasserena:ché, s'io mossi da te fuggendo 'l piede,fu perché le presenti mie repulsem'eran de la tua morte espressa fede.E quante volte fu che ti repulseda sé 'l mio sguardo, o ti mirò con sdegno,so che 'l gran duol del petto il cor t'evulse.Ch'io ti vedessi d'alta doglia pregnomorirmi un dì davante, eccesso taleera a me sconvenevole ed indegno.Da l'altra parte, assai potev'io malerisponder al tuo amor: non men che fosseil tentar di volar non avendo ale.E che far potev'io contra le possedi quell'arcier, che, del tuo bene schivo,d'oro in te, in me di piombo il suo stral mosse?Ma d'òr prima anco al mio cor fece arrivola sua saetta, stand'io ferma intanto,mirando incauta l'altrui volto divo.Quinci un lume, ch'al sol toglieva il vanto,m'abbagliò sì, che non fia che s'appaghed'alcun ben altro mai l'anima tanto.E, perch'errando 'l mio stil più non vaghe,io parti' per disciorti dal mio amore,con le mie piante a fuggir pronte e vaghe.èo che la lontananza il suo furoremitiga; e quando tu, del viver sazio,pur vogli amando uscir di vita fuore,te, con quest'occhi, e me insieme non strazio.