Quid novi?

Il Dittamondo (2-04)


Il Dittamondodi Fazio degli UbertiLIBRO SECONDOCAPITOLO IVSeguita ora a dir de l’alta gloria, del nipote di Cesare, Ottaviano, e d’ogni sua vertú qui far memoria. Dico che quanti nel tempo pagano ne fur, né poi, niun come costui 5 liberamente tenne il mondo in mano. Prudenzia e fortezza trovai in lui e vidil tanto temperato e giusto, che d’esser sua molto contenta fui. Costui a’ suoi contrari fu robusto 10 e con gli amici benigno e pietoso e ’l primo fu che si fe’ dire Augusto. Insomma, il vidi tanto grazioso, ch’io l’adorava, s’avesse voluto, come s’adora Cristo glorioso. 15 E quel che fece in contro a Cassio e a Bruto e contro a gli altri del gran tradimento, ben ti sarebbe a vederlo piaciuto. Qui non ti posso dire a compimento di Cleopatra e di Antonio come 20 si dier la morte per fuggir tormento. Al fine, essendo corso col suo nome per Grecia, per Egitto e per la Spagna, con gran triunfo a lui sol diedi il pome. Poi quel che fe’ Tiberio ne la Magna: 25 per lui l’opra fu tal, ch’io credo ancora che Germania e Pannonia il piagna.Non molto dopo questo, poi dimora che ’l mondo si ridusse tutto a pace e degno fu che Cristo nacque allora. E questo fu quel tempo che veracemente dir posso ch’io fui nel piú colmo e ch’io vidi il mio stato men fallace: ché tanta terra quanta aombra un olmo nota non m’era, ch’io non soggiogassi; 35 pensa s’a ricordarlo me ne dol mo. Tu mi pregasti ch’io ti raccontassi qual fui donzella e fino a cui crebbi e com povera venni ti mostrassi. E sai che giá t’ho detto come io ebbi 40 sette mariti re e come apresso co’ miei figliuoli adornai li miei trebbi; che a passo a passo era ita in fino adesso in su la rota, come va l’uccello di ramo in ramo su per l’arcipresso; 45 e tanto traslatai di questo in quello, che posta fui al sommo de la rota per questo mio signor, di cui favello. Onde, se ben per te si stima e nota, io t’ho giá fatto di due punti chiaro 50 e segue che nel terzo si percota. In questo tempo, ch’io dico sí caro, poco era fatto sacrifizio a Marte, per che le porte a Giano si chiavaro. Di Saturno e de gli altri la piú parte 55 era l’onore: e cosí il popol mio riposar vidi e ciascun viver d’arte. E s’io dicessi quel gran nover ch’io de’ cittadin trovai, non è cuore ch’a vederlo ora non venisse pio. 60 Morto fu di velen questo signore e per lo molto onore e benefizio ch’ebbi da lui, ne portai gran dolore. In questo tempo spirò in Brandizio Virgilio mantovano, le cui ossa 65 fun traslatate a piú nobile ospizio. Similemente perdé ogni possa de’ membri suoi e del bel dire Orazio e io nel Campo mio gli fei la fossa. E perché qui rimagni alquanto sazio, 70 l’etá del mondo è ben ch’io ti rammenti e de la mia di uno in altro spazio. Cinque mil censettantanove e venti anni erano iti dal tempo che Adamo sol s’avea visto e senza vestimenti, 75 in fino al dí, che del Vergine ramo nacque il bel Fior ch’alluminò il mondo e ch’è la mia speranza e ’l mio richiamo. E io potevo avere tutto a tondo da settecento diece cinque e piue 80 in fino al punto che qui ti secondo. Quando la legge portata mi fue, n’avea trecento e Italia penai ad acquistar da cinquecento in sue. E poi che Scipio in Africa mandai, 85 i’ dico quel che Cartago disfece, con la giunta di sei io mi trovai averne da sessanta volte diece. E questo mio signor, che sí mi piacque, come hai udito, e che tanto mi fece, 90cinquanta sei e mezzo in sul mio giacque.