Quid novi?

Il Dittamondo (2-07)


Il Dittamondodi Fazio degli UbertiLIBRO SECONDOCAPITOLO VIIIo non posso fuggir ch’i’ non mi doglia, quando ricordo quel tempo felice dove ’l ciel contentava ogni mia voglia. Dianzi ti parlai de la fenice, quant’ella è bella e che fra noi è sola e sopra ogni altro uccel valer si dice. Ben vo’, figliuol, che noti la parola: bella fui io e sol donna del mondo e or son men che ne l’abbí l’a sola: onde, se spesso nel pianto confondo, maraviglia non è, se ben rimiri come da tanto onor son ita al fondo. Ma qui non vo’ che tu, perch’io m’adiri, il tempo perda, onde ritorno al segno, dove or par ch’abbi tutti i tuoi disiri. Non per sé tanto questo signor degno alcuna volta il cristian perseguio, quanto per mal consiglio e falso ingegno. E piú sarebbe stato in vèr lor rio, non fosse Plinio, che con le parole oneste e sante li tolse il disio. Nove anni e diece questo mio bel sole con meco visse e tanto mi fu strano, quando morio, ch’ancora me ne dole. Rimasi tra le braccia d’Adriano: molto ben visse, ma fu invidioso del suo buon zio, io dico di Traiano. Al mondo il vidi forte e grazioso: e ciò fu degno, ché vo’ ben che sappia che sempre il tenne con dolce riposo. E voglio ancor che nel tuo petto cappia che fu il secondo che ’l Giudeo distrusse, che poi in Ierusalem non s’accalappia. Leggi fe’ molte e assai ne ridusse a ordinato modo e vissi seco con pace, qual se Numa stato fusse. Ragionar seppe ben latino e greco; a la fede cristiana men mal fece, ch’alcun che prima fosse stato meco. In Campagna costui morbo disfece e, poi che meco fu, la vita sua durò un anno con due volte diece. Qui ferma gli occhi de la mente tua: guarda, fortuna quando corre al verso, come l’un ben dopo l’altro s’indua; 45 e cosí nel contraro; onde, e converso, questo dich’io: che piú signori allora mi seguîr buoni e poi venne il riverso. Dopo costui, che tanto me onora, il gener suo mi tenne, Antonio Pio, 50 del quale mi lodai e lodo ancora. Costui in pace tenne me e ’l mio; tanto mi piacque, che poi l’adorai come Romolo, Giano o altro iddio. E perché forse ancor parlare udrai 55 sí come amor la sua Faustina punse, onde bello ti fie se tu ’l saprai, per ver ti dico ch’ella si congiunse per medicina e l’appetito spense col sangue del suo amato, ond’ella sunse. 60 E ben che cosí fosse, vo’ che pense che onesta fu e di nobil costume, né mai tal vizio il suo bel cuor non vense. Galieno in quel tempo fece lume a’ versi d’Ippocras, come si vede 65 e legge ancora in alcun suo volume. Ogni grazia, figliuol, da Dio procede, come si par ne le piante e ne l’erba; e stolto è ben colui ch’altro ne crede. Or dunque quel signor che s’insuperba, 70 come Neron, per gran prosperitade, ben si può dir ch’egli ha la testa acerba. Questo dich’io per lodar la bontade d’Antonio Pio, ché quant’ebbe piue e piú il vidi benigno e con pietade. 75 Due anni e trenta meco signor fue: ben puoi pensar allora ch’io ’l perdeo se trista fui; e qui non dico piue. In questo tempo fiorio Tolomeo, ch’a noi alluminò l’astronomia, e, storiografo, di Spagna Pompeo. E qui Sabina fu per Serapia riconosciuta e morta per cristiana e Secondo lasciò filosofia. In questo tempo, ch’io vivea sí sana, 85 Marco Antonio con Lucio mi tenne e cotal signoria mi parve strana: però che non sta bene e mai s’avenne ad una cappa due cappucci avere, piú che facciano insieme l’esse e l’enne. 90 Lucio morio e rimase il potere a Marco Antonio, che governò in guisa, ch’assai mi fu di star con lui piacere. Costui fu tale che, avendo conquisa Numanzia, Granata e Terra Schiava, 95 ch’a minor somma il censo lor divisa. Costui per briga alcuna non gravava li suoi suggetti e, quando avea bisogno, vendeva il suo e i cavalier pagava.E cosí visse al tempo ch’io ti pogno. 100