Quid novi?

Terze Rime 17-18


Terze Rime di Veronica FrancoAddelkader Salza, Bari, Laterza 1913XVIIDella signora Veronica Franca[Sfogo di gelosia contro un suo amante, che ha lodato un'altra donna; ma, poiché ancor gli vuole bene, lo invita a venir presto da lei e gli perdona.]Questa la tua Veronica ti scrive, signor ingrato e disleale amante, di cui sempre in sospetto ella ne vive. A te, perfido, noto è bene in quante maniere del mio amor ti feci certo, da me non mai espresse altrui davante. Non niego già. che 'n te non sia gran merto di senno, di valor, di gentilezza, e d'arti ingenue, onde sei tanto esperto; ma la mia grazia ancor, la mia bellezza, quello che 'n se medesma ella si sia, da molti spirti nobili s'apprezza. Forse ch'è buona in ciò la sorte mia; e forse ch'io non son priva di quello, ch'ad arder l'alme volontarie invia: almen non ho d'ogni pietà rubello il rigido pensier; n', qual tu, il core in ogni parte insidioso e fello. E pur contra ragion ti porto amore: quel che tu meco far devresti al dritto, teco 'l fo a torto, e so ch'è a farlo errore. Tu non m'avresti in tanti giorni scritto, che star t'avvenne di parlarmi privo, mostrando esser di ciò mesto ed afflitto, com'io cortesemente ora ti scrivo; e, se ben certo m'offendesti troppo, teco legata in dolce nodo vivo, il qual mentre sciôr tento, e più l'ingroppo, e, sì come d'Amor diposto fue, non trovo in via d'amarti alcun intoppo. Ma pur furono ingrate l'opre tue, poi che pensar ad altra donna osasti, e limar versi de le lodi sue: farlo celatamente ti pensasti, ma io ti sopragiunsi a l'improviso, quando manco di me tu dubitasti. Ben ti vidi perciò turbar nel viso, e per la forza de la conscienza ne rimanesti timido e conquiso, sì che gli occhi d'alzar in mia presenza non ti bastò l'errante animo allora. Ahi teco estrema fu mia pazienza! Chiudesti 'l libro tu senza dimora, ed io gli occhi devea con mie man trarti: misera chi di tale s'innamora! Io non ho perdonato per amarti ad alcuna fatica, ad alcun danno, sperando intieramente d'acquistarti: e tu, falso, adoprando occulto inganno per cogliermi al tuo laccio, or che mi tieni, mi dài, d'amor in ricompensa, affanno, Ben son di vezzi e di lusinghe pieni i tuoi detti eloquenti, e con pia vista sempre a strazio maggior, empio, mi meni. D'odio e d'amor gran passion or mista m'ingombra l'alma, e 'l torbido pensiero agitando contamina e contrista: e 'n te dal ciel quella vendetta spero, ch'io non vorrei; ed infelicemente d'alto sdegno e d'amor languisco e pèro. Contra gli error si deve esser clemente, che dimostrati a quel che gli commise, sì com'è ragionevole, si pente. Quel libro d'altrui lodi in sen si mise questo importuno, acciò ch'io nol vedessi: ahi contrarie in amor voglie divise! D'ira tutta infiammata allor non cessi, fin che di sen per forza non glien tolsi, e quel, che v'era scritto entro, non lessi. Quanto 'l caso chiedea, teco mi dolsi, amante ingrato; e 'l libro stretto in mano, altrove il piè da te fuggendo volsi, bench'ir non ti potei tanto lontano, ch'al lato non mi fosti, e non facesti tue scuse, e 'l libro mi chiedesti invano. Dimandereiti or ben quel che vedesti, da farti pur alzar gli occhi a colei; ma tu senz'esser chiesto mel dicesti: piena dentro e di fuor di vizi rei, forse perch'io di tal non sospettassi, la ponesti davanti agli occhi miei: agli occhi miei, che 'n tutto schivi e cassi d'ogni altro lume, tengon te per sole, benché spesso in gran tenebre gli lassi. Dubito se fùr vere le parole che dicesti; né so di che, ma temo, e dentro sospettando il cor si dole. Di gelosia non ho 'l pensier mai scemo, tal ch'avampando in freddo verno al ghiaccio, nel mezzo de le fiamme aggelo e tremo; e, quanto più di liberar procaccio l'alma dal duolo, in maggior duol la invoglio, e 'l mio mal dentro 'l grido e teco 'l taccio. Pur romper il silenzio or teco voglio; e, perché t'amo e perch'altri il comanda, teco fo quel, che con altrui non soglio: la buonasera in nome suo ti manda per me 'l buono e cortese Lomellini, e ti saluta e ti si raccomanda. Tu hai, non so perché, buoni vicini, che ti lodano e impètranoti il bene, se ben per torta strada tu camini. A questi d'obedir a me conviene, e, in quel ch'imposto m'han significarti, questi versi di scriverti m'avviene. Di costor gran cagion hai di lodarti, bench'io convengo ancor per viva forza, crudel, protervo e sempre ingrato, amarti. Contra mia voglia scriverti mi sforza Amor, che tutto il conceputo sdegno cangia in dolce desio, non pur l'ammorza: spinta da lui, mandarti ora convegno queste mie carte, accioché tu le legga; anzi sempre con l'alma a te ne vegno. Ma, perché in corpo ancor ti parli e vegga, ch'a bocca la risposta tu mi porte forz'è che con instanzia ti richiegga, e che tu venghi in spazio d'ore corte.XVIIIDella signora Veronica Franca[Prega un amico cortese di correggerle i versi d'un'epistola da lei scritta per far la pace con l'amante.]Molto illustre signor, quel che iersera ne recai mio capitolo a mostrarvi, scritto di mia invenzion non era; ma non per tanto di ringraziarvi non cesso, ch'avvertita voi m'abbiate che, ch'io nol mandi a quell'amico, parvi; e vi so grado che mi consigliate di quello c'ho da far, quando a voi vengo perché i miei versi voi mi correggiate. Grand'obligazione al cielo tengo ch'un vostro pari in protezzion m'abbia, e più da voi di quel ch'io merto ottengo. La gelosia, che dentro 'l cor m'arrabbia, mi fece scriver quello ch'io non dissi; ma fu del mio signor martello e rabbia. Egli pria mi narrò quello ch'io scrissi, e molte cose mi soggiunse appresso, perché di lui 'n sospetto non venissi. Non so quel che sia in fatto, ma confesso ch'io mi sento morir da passione di non averlo a ciascun'ora presso: e questi versi scritti a tal cagione, con scusa di mandargli quei saluti di iersera, inviarli il cor dispone. Prego la mercé vostra che m'aiuti in racconciarli, e in far ch'a me ne venga il mio amante e lo sdegno in pietà muti: gli altri versi di ieri ella si tenga, ch'io farò poi di lor quel ch'a lei piace; e, pur ch'umil l'amante mio divenga, d'ogni altra avversità mi darò pace.