Quid novi?

Il Dittamondo (2-09)


Il Dittamondodi Fazio degli UbertiLIBRO SECONDOCAPITOLO IXMorto questo signor, del qual ti dico, Antonio Caracalla, suo figliuolo, (non figliuol dovrei dir, ma suo nimico) sette anni mi tenne in tanto duolo, ch’io dicea fra me: – Domiziano 5 tornato è qui dal tenebroso stuolo –. Lussurioso, crudele e villano, avaro, malizioso e in ogni cosa pessimo il vidi e di volere strano. La sua noverca Iulia si fe’ sposa. 10 Quando fu morto, tal piacer mi fue, quanto mi fosse d’alcun’altra cosa. Macrin fu poi, del qual l’opere sue un anno vidi, ché ’l figliuolo e ’l padre invidia uccise e qui non dico piue. 15 Seguio un altro Antonio e se bugiadre non fur le lingue, tal fu e senza legge, che morto il vidi insieme con la madre. Qui dèi veder che l’uom che molto legge che spesso truova cosa di che gode 20 e onde si raffrena e si corregge. Cosí aviène che chi ascolta e ode dai buon di belli asempri ed ello è tale che li sappia tener, ch’assai gli è prode. Tu odi ben sí come mal per male ispesse volte ricevean costoro, ch’eran signor d’ogni cosa mortale. Onde non creder né esser sí soro, che del bene e del mal Chi tutto vede a la fine non renda il suo ristoro. 30 Costui, ch’io dico, ebbe assai men fede da la cintola in giú, che Macometto, secondo che udio e che si crede. E tanto fe’, che Dio l’ebbe in dispetto. Forse tre anni tenne la mia seggia, 35 ché morto fu cosí com’io t’ho detto. Ormai è buon ch’a mia materia reggia e d’Alessandro ragionar la vita; se dritto seguir deggio l’altra greggia. Dico la Persia, che s’era partita 40 de la mia signoria, io disdegnosa condannata l’avea ed isbandita. Costui, essendo Augusto, mai non posa in fin ch’egli ebbe con la mano ardita fatto vendetta di ciascuna cosa. 45 Tredici anni fe’ meco la sua vita; da’ suoi fu morto in Gallia, si disse, di che rimasi trista e sbigottita. In questo tempo Origenes visse, che sei milia volumi fece e piue, 50 senza le molte pistole che scrisse: e qual ne la scienza, cotal fue ne la sua vita: Ieronimo il prova, che lesse giá tutte le cose sue. Quel, che or dico, dire non mi giova: 55 Massimiano senza il mio Consiglio tolse la signoria ch’era a dar nova. E mise la Fé nostra in tal periglio e per sí fatto modo la percosse, ch’io la vidi tremar da’ piedi al ciglio. 60 E poi che ad acquistare il mio si mosse, con piú province Germania conquise, le quali in contro a me s’erano smosse. E come da costoro si divise e tornava di qua, trovò Pupino 65 che col figliuolo in Aquilea l’uccise. Cotal qual odi fu il suo destino: tre anni posso dir che visse meco, ma ’l piú del tempo si vide in cammino. Ora Gordiano a la mente ti reco, 70 che per signore apresso mi fu dato: sei anni tenne il mio e vissi seco. Costui, vinta la Persia, ov’era stato, con la milizia sua, pien di conforto, tornava a me per esser triunfato, 75 quando da’ suoi udii ch’egli era morto. Ahi, cupidigia, quanti fatti n’hai, nel mondo, di signor morire a torto! Dopo costui, di cui mi dolse assai, a Filippo fu dato il mio tra mano, 80 che per signor sette anni me ’l trovai. E nota che fu il primo cristiano imperatore e Ponzio fu colui che ’l battezzò con la sua santa mano. E sappi ancor ch’al tempo di costui 85 fu l’ultimo anno che compio il millesimo, dico dal dí che isposata fui. E, se ben mi ricordo ancora ed esimo, tanta letizia se ne fece, ch’io a pena dir te ne potrei il centesimo. 90E cosí stava allora il comun mio.