Quid novi?

Terze Rime 20 (2)


Terze Rime di Veronica FrancoAddelkader Salza, Bari, Laterza 1913XX (seguito)Della signora Veronica Franca[Lamenta la durezza d'un uomo, che non la riama e che, mentr'ella di notte va a casa sua per trovarlo, è assente, forse presso un'amica più fortunata di lei. Spera tuttavia corrispondenza dall'animo gentile di lui; altrimenti ne morrà.]Oimè! che, d'altra standosi nel letto, me lascia raffreddar sola e scontenta, colma d'affanni e piena di dispetto: altra ei fa del suo amor lieta e contenta, e del mio mal con lei fors'ancor ride, che vanagloriosa ne diventa. Quanto per me si lagrima e si stride, dolce concento è de le lore orecchie, da cui 'l mio amor negletto si deride.Così convien che sempre m'apparecchie a soffrir nuovi di fortuna colpi, e che 'n novello strazio alfin m'invecchie. Né però avien che del mio affanno incolpi chi più devrei; ned in mercé mi valse, quanto in ciò più credei, che più 'l discolpi. Oimè, che troppo duro Amor m'assalse, poi che, per farmi di miseria essempio, m'insidia ancor con sue speranze false. Da un canto il certo mio danno contempio; e, perché 'l duol più nuoccia meno atteso, di speme al van desio conforme m'empio. Non fosse almen da voi medesmo offeso l'affetto uman del gentil vostro seno, ne l'essermi il soccorso, oimè, conteso. D'ogni mia avversità mi duol via meno, che di veder ch'a voi s'ascriva il fallo di quanto in amar voi languisco e peno. Ben sapete, crudel, che 'l mondo udrallo, e con mia dolce ed amara vendetta d'ogn'intorno la fama porterallo. Né così vola fuor d'arco saetta, com'al mio essempio mosse fuggiranno d'amarvi a gara l'altre donne in fretta; e, quanto del mio mal pietate avranno, tanto, dal vostro orgoglio empio a schivarsi, caute a l'esperienzia mia saranno. Oh che pregiata e nobil virtù, farsi anco amar in paese sconosciuto, col benigno e pietoso altrui mostrarsi! e quante volte è in tal caso avenuto che de' meriti altrui senz'altro il grido d'uom ignoto ave 'l cor arder potuto! Ond'io, che di mie doti non mi fido, pensando che voi sète uom degno e chiaro, da me la speme in tutto non divido; anzi, nel colmo del mio stato amaro lusingando me stessa, attender voglio al mio dolor da voi schermo e riparo, poi che di grand'onor il mio cordoglio esser vi può, se pronto a sovenirmi sarete, mentre a voi di voi mi doglio: se non, vedrete misera morirmi.