Quid novi?

Il Dittamondo (2-10)


Il Dittamondodi Fazio degli UbertiLIBRO SECONDOCAPITOLO XAvea dal dí che nacque il nostro Amore in fino a quello che qui ti rammento, ch’io stava in tanto gaudio e in tanto onore, da cinque volte diece con dugento; e, ben ch io fossi afflitta alcuna volta, tosto mi rifacea di quel tormento. Ma qui ti vo’ contare, e tu m’ascolta, del mio Filippo e del figliuolo ancora come dal lor piacer mi vidi sciolta. Una grave battaglia fu allora, dove ciascun di lor morto fu visto: pensa se duolo ancor dentro m’accora! Vero è che ’l lor tesoro e ’l loro acquisto, tant’eran caldi ne l’amor di Dio, per farne bene altrui lassaro a Sisto. Ma poi, come tu leggi e ch’io udio ne le storie de’ Santi, da Lorenzio un altro il volse, a cui rimase il mio. Qui vorrei ben poter tener silenzio e lassar Decio con ciascun suo vizio, ma la tema mi stringe a dir l’assenzio. Di lui ti do per certo questo indizio: ch’avar fu sí, che mai veder non volle povero alcuno dentro dal suo ospizio. E come fu avar, cosí fu folle contro a la fede di Cristo e per certo giá mai a tal voler si vide molle. Questo ebbe in sé: che fu in arme sperto, ma non pur tanto, per quel ch’io intesi, che dal diavol non fosse al fin diserto. Due anni tenne il mio e quattro mesi; tanto l’amai, che de l’acerba morte, quando l’udio, niun dolor ne presi. Gallo e Volusian dopo tal sorte signoreggiâr due anni e fu sí poco, 35 che pro né danno n’ebbe la mia corte. Valeriano tenne apresso il loco per quindici anni e sappi che fu tale, che piú province ne sentîr gran foco. E poi ch’egli ebbe assai battute l’ale, 40 da Sapor re si vide preso e vinto, che poi li fe’ sentir di molto male. Claudio segue che qui sia distinto, lo qual fu tal che, se vivuto fosse, molto piú caro te l’avrei dipinto. 45 Costui la Gozia e la Magna percosse e disertolle per sí fatto modo. che lungo tempo loro il danno cosse. Tu vedi ben cosí com’io annodo l’un dopo l’altro in brieve, onde figura 50 lo reo piú reo e ’l buon di maggior lodo. Un anno meco la sua vita dura. D’Aurelio fui, al qual rendo ancor laude, perché piú ricca fe’ la mia cintura. Molto le genti mie per lui fun baude: 55 cinque anni visse e a la fin fu morto da’ suoi a tradimento, per gran fraude. Costui in arme fu franco e accorto: s’io dico il vero que’ di Dacia il sanno, i Goti e i Franchi, a cui il fatto è scorto. 60 Costui ti dico ancor, s’io non m’inganno, dei miei fu il primo con corona in testa d’oro e di gemme, sí come or si fanno. E quel ch’ora di lui a dir mi resta, si è che fece al Sole un ricco tempio 65 di care pietre, ove facea gran festa. In contro a’ cristian fu aspro ed empio e con piú molti beata Colomba fece martoriare e farne scempio. Seguita ora che suoni la tromba 70 per Tacito, che fu largo e prudente; ma poco meco il suo nome rimbomba, ché, secondo ch’ancor m’è ne la mente, sette mesi e non piú m’ebbe in governo: se morto fu, ciò spiacque a la mia gente. E se ben mi ricordo e ’l ver dicerno, apresso di costui mi seguí Probo che fece di Macreo non buon governo. Costui per pro e per sicuro approbo; da’ suoi fu morto e del tempo che visse 80 sei anni tenne meco questo globo. Fiorian fu poi, di cui nulla si disse: e giusto è bene a non far d’un cattivo piú viva menzion, che sé morisse. Seguita Caro e io di lui ti scrivo 85 che passò in Partia e quivi fu dal fiume sorbito, onde da poi non parve vivo. E se tu cerchi bene il mio volume, il troverai di ciascun vizio pieno e d’ogni brutto e cattivo costume. 90 Due anni tenne in man del mio il freno; molto contenta fui dentro dal core quando mi venne, com’io dico, meno, sempre sperando in un altro migliore.