Quid novi?

Terze Rime 21-22


Terze Rime di Veronica FrancoAddelkader Salza, Bari, Laterza 1913XXIDella signora Veronica Franca[Scrive all'amante, da cui s'è allontanata: incauta, ché senza di lui non ha un momento di pace.]Io dicea: — Mio cor, se ciò mi fannol'armi mie proprie, quelle, onde mi pungela fortuna crudel, che mi faranno? —S'io stessa, col fuggir dal mio ben lunge,sento che 'l duol via più mi s'avvicina,che la partenza mia mel ricongiunge;al mio languir contraria medicinacerto avrò preso al vaneggiar del core,che per misera strada m'incamina.Lassa, or mi pento del commesso errore,anzi non mossi così tosto il passodal dolce loco, ov'abita 'l mio amore,ch'io dissi: — Oimè! dunque è pur ver ch'io lassoquella terra e quell'acque, ove 'l mio soledi splendor rende ogni altro lume casso? —E, se ridir potessi le parole,che volgendomi indietro al caro suolodissi, qual chi lasciar ciò ch'ama suole,vedrei gli augelli ancor con lento voloseguirmi ad ascoltar il mio lamento,alternando in pia voce il mio gran duolo;vedrei qual già. fermarsi a udirmi 'l vento,e quetar le procelle, e i boschi e i sassimoversi a la pietà del mio tormento.Ma per troppo gridar afflitti e lassisono i miei spirti, onde già. i pesci e l'ondele mie miserie a meco pianger trassi.Tanta rena non han d'Adria le sponde,quante volte il suo nome allor chiamai,com'or qui 'l chiamo, ov'Eco sol risponde.Co' sospiri arsi e col pianto bagnail'amate spoglie, e di lui in vece accolteal seno me le strinsi e le basciai,dicendo: — O spoglie, che già. foste avvolteintorno a quelle membra, che da Martesembrano in forma di Narciso tolte;se 'l ciel mi riconduce in quella parteonde stolta parti', non sarà maiche quinci 'l fermo piè volga in disparte. —Non fu pietra né pianta, ov'io passai,che non piangesse meco, e forse alloranon mi dicesse: — Folle! ove ne vai? —Dal cerchio estremo, ove fan la dimorascintillando le stelle, certamentemeco pianger mostrár la notte ancora.Ben vidi 'l sol levar chiaro e lucente;ma, perché gli occhi ad abbagliarmi e 'l coreun più bel lume impresso avea la mente,scorso del sol mi parve lo splendore;o fu, forse, ch'udendo 'l mio gran pianto,anch'ei si scolorì del mio dolore.Oh com'è privo d'intelletto, e quantocolui s'inganna, che nel patrio nidoviver può lieto col suo bene a canto,e va cercando or l'uno or l'altro lido,pensando forse che la lontananzaai colpi sia d'Amor rifugio fido!Fugga pur l'uom, se sa: la rimembranzadel caro obbietto sempre gli è d'intorno,anzi porta in cor viva la sembianza.S'io veggo l'alba a noi menar il giorno,mirando i fiori e le vermiglie rose,che le cingon la fronte e 'l crin adorno,— Tal — dico, — è 'l mio bel viso, in cui riposetutti i suoi doni il cielo, e la naturala sua eccellenza più ch'altrove espose. —Poi, quando scorgo per la notte oscuraaccendersi là su cotante stelle,Amor, ch'è meco, sì m'afferma e giurache quelle luci in cielo eterne e belletante non son, quante virtù in colui,che poi crudo del sen l'alma mi svelle.E, per far i miei dì più tristi e bui,dal mio raggio lontan, sempre al cor vivoho 'l sole ardente, onde pria accesa fui:al qual piangendo e sospirando scrivo.XXIIDella signora Veronica Franca[La crudeltà dell'amante l'ha spinta a rifugiarsi in campagna: quivi ogni spettacolo naturale, rivelandole la potenza d'Amore, la richiama alla sua triste sorte e a Venezia, miracolo unico di bellezza; onde sospira il ritorno.]Poi ch'altrove il destino andar mi sforzacon quel duol di lasciarti, o mio bel nido,ch'in me più sempre poggia e si rinforza,con quel duol, che nel cor piangendo annido,con la memoria sempre a te ritorno,o mio patrio ricetto amico e fido:e maledico l'infelice giorno,che di lasciarti avennemi; e sospirola lentezza del pigro mio ritorno.Dovunque gli occhi lagrimando giro,lunge da te, mi sembra orror di mortequalunque oggetto ancor ch'allegro miro.Tutto quel che ristora e gioia apporte,per questi campi e per le piagge amene,reca a me affanno e duol gravoso e forte.L'apriche valli, d'aura e d'odor piene,l'erbe, i rami, gli augei, le fresche fonti,ch'escon da cristalline e pure vene,l'ombrose selve, e i coltivati monti,che da salir son dilettosi e piani,e più facili quant'uom più su monti,e tutto quel, che con industri maniqui l'arte e la natura e 'l ciel opráro,sono per me deserti alpestri e strani.Non può temprar alcun dolce l'amaroch'io sento de l'acerba dipartita,ch'io fei dal natio loco amato e caro:quivi lasciai nel mio partir la vita,ch'ai piè negletta del mio crudo amanteda me giace divisa e disunita.E pur tra questi fiori e queste piantela vo cercando, e di quell'empio l'orme,ch'ovunque io vada ognor mi sta davante.E par ch'io 'l vegga, e poi ch'ei si trasformeor d'un abete, or d'un faggio, or d'un pino,or d'un lauro, or d'un mirto in varie forme;parmelo aver negli occhi da vicino,e le mani a pigliarlo avide stendo,e la bocca a basciarlo gli avicino:in questo lo mio error veggio e comprendo,ché, da l'imaginar e da la spemedelusa, un tronco o un sasso abbraccio e prendo.Se cantando posar gioiosi insiemeduo augelletti sopra un ramo veggo,con quel desio ch'Amor dolce al cor preme,del mio misero stato, e più m'aveggoche col rimedio de la lontananza,dov'altri non m'aita, invan proveggo.Stan pur duo uccelli in lieta dilettanza,godendo di quel bene unitamente,ch'al lor desire agguaglia la speranza;ne le selve e nei boschi Amor si sente,dal consorzio degli uomini sbandito,tra i bruti, i quai pur s'aman parimente;un concorde voler al dolce invitode la gioia d'amor le fiere tragge,con affetto in duo cori egual partito;per monti e valli e selve e lidi e piagge,quinci e quindi congiunta in modo strettocoppia sen va di due bestie selvagge:e l'uom, dal cielo a dominar elettotutti gli altri animali de la terra,dotato di ragione e d'intelletto;l'uom, che se non vuol, rado o mai non erra,fa, nei desir d'amor dolci, a se stessocosì continua abominosa guerra,sì ch'a lui poi d'amar non è concesso,senza trovar di repugnanti vogliede la persona amata il core impresso.In ciò contrario a le donne si vogliepiù ch'agli uomini 'l ciel; ch'amano senzasentir quasi in Amor altro che doglie.Far non può de le donne resistenzala natura sì molle ed imbecilla,di Venere del figlio a la potenza;picciol'aura conturba la tranquillafeminil mente, e di tepido focol'alma semplice nostra arde e sfavilla.E quanto avem di libertà più poco,tanto 'l cieco desir, che ne desvia,di penetrarne al cor ritrova loco;sì che ne muor la donna, o fuor di viaesce de la comun nostra strettezza,e per picciolo error forte travia.Quanto a la libertate è manco avezza,tanto in furia maggior l'avien che saglia,s'Amor quei nodi violento spezza;né per poco vien mai che doglia assagliaper tirar il suo amante al suo desioma ciascun mezzo prova quant'ei vaglia.Così sforzata son di far anch'io,d'amor ne la difficile mia impresa,per ottener il ben ch'amo e desio;e, se ben fatt'a me vien grande offesa,nullo argomento usato in espugnarti,amante ingrato mi rincresce o pesa.Per darti luogo, venni in queste parti,ed al tuo arbitrio di te cassa vivo,sperando in tal maniera d'acquistarti.Qui, dov'è 'l prato verde e chiaro il rivo,venni, e de le dolci onde al roco suono,e degli uccelli al canto e parlo e scrivo.In luogo ameno e dilettevol sono,ma non è quivi l'allegrezza mia,se non quanto di te penso e ragiono;anzi 'l pensar di te dagli occhi invialagrime amare, e de l'altrui piaceresento più farsi la mia sorte ria.L'altrui gioie d'amor tante vederea le fiere, agli augelli, ai pesci darsimi fa nel mio dolor più doglia avere:non può l'invidia mia dentro celarsi,ma con sospiri e pianto, e con lamentivien per la bocca e gli occhi a disfogarsi.Ben più, che degli altrui dolci contenti,allargo 'l pianto e senza fin mi dogliode l'acerba cagion de' miei tormenti;ma, poi d'ammollir tento un aspro scoglio,che più s'indura, e più s'impietra, quantopiù mostro il sospiroso mio cordoglio,e poi che 'l mio dolor ti giova tanto,io mi vivrò, tra queste selve ombrose,sol de la tua memoria e del mio pianto.Qui farà l'ore mie liete e gioioseveder che 'l prato, il poggio, il bosco e 'l fiumedian ricetto a l'altrui gioie amorose;veder per natural dolce costumegli augei, le fiere e i pesci insieme amarsiin modo, che da l'uom non si costume;e senza alcun sospetto insieme andarsiliberamente ovunque Amor gli guide,e l'uno in grembo a l'altro riposarsi.Nulla il gran lor piacer toglie o divide,ma sempre il sommo lor diletto cresce;di che me, con duol mista, invidia uccide.Ecco, che fuor d'un antro, or ch'io parlo, escecoppia felice di due dame snelle,cui sempre star in un sol luogo incresce;e là due rondinette unirsi anch'elleveggo in un ramo verde. Ahi del mio amantevoglie contrarie al mio desir rubelle!Dove parlan d'amor l'erbe e le piante,dove i desir d'ognun sono concordi,in quest'almo paese circostantem'addusse Amor, perch'io più mi ricordi,ne la dolcezza de l'altrui venture,dei pensier d'uom crudel dai miei discordi.Né questo accresce sol le mie sventure,per prova intender dai boschi e dai sassiquanto sian meco acerbe le sue cure;ché sempre avanti a la memoria stassiquanto, per fuggir l'odio di colui,da la patria gentil mi dilungassi:da quell'Adria tranquilla e vaga, a cuidi ciò che in terra un paradiso adorninon si pareggi alcun diletto altrui:da quei d'intagli e marmo avrei soggiorni,sopra de l'acque edificati in guisa,ch'a tal mirar beltà queto il mar torni;e perciò l'onda dal furor divisaquivi manda a irrigar l'ama cittadedel mar reina, in mezzo 'l mar assisa,a' cui piè l'acqua giunta umile cadee per diverso e tortuoso calles'insinua a lei per infinite strade.Quivi tributo il padre Ocean dàlled'ogni ricco tesoro, e 'l cielo amicociascun'altra a lei pon dopo le spalle;sì che nel tempo novo o ne l'anticonon fu mai chi tentasse violarla,ch'al pensar sol confuse ogni nemico.Tutto 'l mondo concorre a contemplarla,come miracol unico in naturapiù bella a chi si ferma a mirarla,e, senza circondata esser di mura,più d'ogni forte innaccessibil partesenza munizion forte e sicura.Quanto per l'universo si comparted'utile e necessario a l'uman vitto,da tutto l'universo si diparte;ed, a render recato a lei 'l suo dritto,di quel, che in lei non nasce, ella più abondad'ogni loco al produr atto e prescritto,sì ch'eterna abondanzia la circonda,e di tutti i paesi fruttuosipiù ricca è d'Adria l'arenosa sponda.Altro che valli amene o colli ombrosisembrano d'Adria placida e tranquillai palagi ricchissimi e pomposi.Il mar e 'l lito quivi arde e sfavillad'amor, che tra nereidi e semideiquell'acque salse di dolcezza instilla.Venere in cerchio ancor degli altri dèiscende dal ciel su questa bella riva,con l'alme Grazie in compagnia di lei.E senza che più avanti io la descriva,per fortuna noiosa e violenta,gran tempo son di lei rimasta priva:per far la voglia altrui paga e contentaio diparti', sperando alfin quell'ira,se non estinguer, e far tepida e lenta.Or, che quanto si piange o si sospiraper me infelice è tutto sparso al vento,ché 'l mio amante la vista altrove gira;poi che 'l crudele ad altro oggetto è intento,perché lontan da la mia patria amatavo facendo più grave il mio tormento?Ma, se t'ho follemente, Adria, lasciata,del cor l'arsura alleviar pensando,dal mio danno veder allontanata,l'ardor più tosto è in ciò gito avanzando,e con la gelosia e col sospettos'è venuto più sempre riscaldando.L'altrui d'amor goduto a pien dilettoper questi campi, e 'l temer che compagnal'empio, a me, non faccia altra del suo letto,e de la patria mia celebre e magnagli alti ornamenti e lo splendor supernoqui 'l bosco odiar mi fanno e la campagna:ad Adria col pensier devoto internoritorno e, lagrimando, espressamentea prova del martìr l'error mio scerno.Ma, se 'l suo fallo scema chi si pente,d'esser da te partita mi pentisco,o mio bel nido, e me ne sto dolente;e, dapoi che non cessa il mio gran riscoper lontananza il meglio è ch'io mi moradel gran dolor che per amar soffrisco,senz'a' miei danni aggiunger questo ancora,di far da le mie cose a me più careper tanto spazio sì lunga dimora.Perch'alfin mi risolvo di tornare,e, se non m'è contraria a pien la sorte,se ben un'ora un secolo mi pare,spero tornar in spazio d'ore corte.