Quid novi?

Terze Rime 23-24


Terze Rime di Veronica FrancoAddelkader Salza, Bari, Laterza 1913XXIIIDella signora Veronica Franca[Oltraggiata da un vile, in sua assenza, chiede consiglio ad un uomo d'arme, esperto delle questioni d'onore, per vendicarsi, com'è suo diritto.]Lungamente in gran dubbio sono statadi quel che far a me s'appartenea,da un certo uomo indiscreto provocata.Nel pensier vane cose rivolgeadel far e del non far la mia vendetta,né a qual partito accostarmi sapea;alfin, la propria mia ragion negletta,che 'l buon camin non sa prender né puote,da la soverchia passion costretta,vengo a voi per consiglio, a cui son notele forme del duello e de l'onore,per cui s'uccide il mondo e si percuote.A voi, che guerrier sète di valore,e, ch'oltre a l'esser de la guerra esperto,vostra mercede, mi portate amore,per consiglio ricorro; e ben m'accertoche mi sareste ancor non men d'aita,per grazia vostra più che per mio merto.Ma io non voglio a quel, dove m'invitade la vendetta il gran desio, voltarmi,benché la via mi sia piana e spedita:voglio, prima ch'io venga al trar de l'armi,il mio parer communicar con voi,e con voi primamente consigliarmi;e, se determinato fia tra noiche con gli effetti io debba risentirmi,non sarò pigra a pigliar l'armi poi.Ma saria forse un espresso avvilirmi,far soggetto capace del mio sdegnochi non merta in pensier pur mai venirmi:un uom da nulla, e non sol vile, e indegnoche da seder si mova a lui pensandoqualunque ancor che pigro e rozzo ingegno.E pur d'ira m'infiammo, rimembrandola villania da lui fatta a se stesso,di doverla a me far forse stimando.Inescusabil fallo vien commessoda chi dice d'alcun mal in sua assenza,s'anco ver sia quel che vien detto espresso;perché in ciò l'uom dimostra gran temenza,e par che 'n quella vece non ardiscadir il medesmo ne l'altrui presenza.Ma poi, se di menzogne si forniscae, nel contaminar l'onore altrui,con frode e infamia contra 'l ver supplisca,ben certamente merita costuicancellarsi del libro de' viventi,sì che 'l suo nome ad un pèra con lui.Oh, se le rane avesser unghia e denti,come sarian se drittamente addocchio,talor più de' leon fiere e mordenti!Ma poi, per gracidar d'alcun ranocchio,di gir non lascia a ber l'asino al fosso,anzi drizza a quel suon l'orecchio e l'occhio.Se un ser grillo, a dir mal per uso mosso,de la sua buca standosi al riparo,m'ha biasmato in mia assenzia, io che ne posso?E se, tratte a quel suon, quivi n'andáromolte vespe e tafani, e per tenoredi quel suon roco in compagnia ruzzáro,non patisce alcun danno in ciò 'l mio onore,e, quanto aspetta a me, più tosto rido;ma de l'altrui sciocchezza ho poi dolore.D'una brutta cornacchia a l'aspro gridotrassero altri uccellacci da carogne,e di sterco l'empiêr la strozza e 'l nido.Quest'è proprietà de le menzogne,che quelli ancor, che son malvagi e tristi,versan sopra l'autor biasmi e vergogne.Del mio avversario fùr primieri acquistisparger detti, in mia assenza, di me falsi,da nulla verità coperti o misti.Ad ira contra lui perciò non salsi;ma m'allegrai, quando contra 'l suo diretacendo col mio ver chiaro prevalsi.Ben poi via più insolente divenirenel mio silenzio il vidi; e quasi ch'iod'averlo fatto tale posso dire.Ma qual era in quel caso officio mio,se non quel dirmi mai dopo le spallenon curar punto, da un uomo vile e rio?Troppo al giudicio mio vien che s'avvalleil pensier di chi segue tai diffetti,c'hanno precipitoso e tetro il calle.Raffrena, uom valoroso, i ciechi affetti,e non voler opporti a ciascun'ormade la malignitate ai falsi detti:segui de la virtù la dritta norma,che, di se stessa paga, agli altrui errorigenerosa non guarda, e par che dorma.Così fec'io, che, d'ogni dritto fuoriinfamiata e biasmata da un uom vile,mi confortai co' miei pensier migliori:e farei più che mai ora il simìle,se per la mia pazienzia quel villanonon discendesse a via peggiore stile.Ma con armata e minacciosa manom'importuna, e mi sfida, e quasi sforzail pensier di star queta a render vano.Con l'acqua alfin ogni foco si smorza:così la costui rabbia e l'arroganzaa quel ch'io men vorrei mi spinge a forza.So ch'egli per natura e per usanzaè pessimo e vilissimo a volerepugnar con una donna, di possanza.E quasi che non porta anco il devere,ch'al provocar de l'armi io gli risponda,non usa il ferro ignudo in man tenere.Ma tanto più d'audacia ei soprabonda,quanto l'armi paura più si crede,e con nuove insolenzie mi circonda.Non so quel che in tal caso si richiede:il parer vostro non mi sia negato,ch'a lui son per prestar assenso e fede.Io sono stata in procinto, da un lato,di disfidarlo a singolar battaglia,comunque più gli piace, in campo armato.Ma dubitai che di piastra e di magliaei proponesse grave vestimento,e ferro ehe non punge e che non taglia.So ch'egli è un asinaccio a questo intentod'assicurarsi contra i colpi crudi,dove vi sia di sangue spargimento:del resto sovra 'l dorso se gli studi,s'altri volesse ben con un martello,come s'usa di far sopra le incudi.Questo m'ha messo a partito il cervello,ch'io non vorrei con sferza o con bastoneprender a castigar un uom sì fello.Non so se in ciò potessi con ragionerifiutar armi non micidiali,ma solamente a bastonarsi buone:so ch'ei dirìa ch'a lui si denno tali,e ch'io non debbo ricusarle, quandod'ogni lato le cose vanno eguali.Io sono andata a questo assai pensando,ed ho discorso che, s'io 'l disfidassi,da l'insultar s'andria forse arretrando:forse ch'ei volgerebbe altrove i passi,e meco fuggiria d'entrar in prova,perch'ancor, col baston non l'amazzassi.Ma s'ei temprate ha l'ossa a tutta provacontra ogni copia di gran bastonate,sì ch'altri a dargli stanco alfin si trova;senz'aver le devute sue derrate,rendermi stanca in guisa alfin potrebbe,che l'armi avessi in mio affanno pigliate.E poi di me qual cosa si direbbe?Ch'io non sia buona per un uom codardo,cui con la verga un fanciul vincerebbe:un, che fa l'invincibile e 'l gagliardocontra una donna, che sopporta e tace,senza pur minacciarlo con lo sguardo.Dunque 'l debbo lasciar seguir in pace,e sommettermi in guisa al suo talento,ch'egli m'offenda come più gli piace?Quest'è strana maniera di tormento,e tal, ch'offese a non sopportar usa,a questa men ch'ad altra atta mi sento.Dunque sarò da sì vil uom delusa,senza prender vendetta in parte alcunadi quanto egli m'offende e sì m'accusa?In questo punto il mio pensier s'aduna,e per incaminarmi a buona stradatrovo scarsa e contraria la fortuna.Ma s'io sto queta, e, come avien ch'accadaun giorno, che passar quindi gli avenga,incontra armata a ucciderlo gli vada?Forse la sete fia che 'n tutto io spengadi quel sangue maligno, e con dilettosenza contrasto alcun vittoria ottenga.Dunque commetterò sì gran diffettodi bruttar di quel sangue queste mani,ch'è di malizia e di viltate infetto?Cessin da me pensieri così strani.Ma che farò? S'io taccio, mal; e pois'io faccio, peggio. Oh miei discorsi vani!Datemi, signor mio, consiglio voi.XXIVDella signora Veronica Franca[Rimprovero cortese ad uno, che per ira ha offeso una donna, e per poco non l'ha percossa.]Sovente occorre ch'altri il suo pareredice, stimando fatte alcune cose,che non successer, né fùr punto vere.Di queste, che pur son dubbie e nascose,in noi un certo instinto la natura,che tende al peggio ed al biasmarle, pose;benché null'opra è di qua giù sicura,e di quel, che men par ch'avvenir possastiasi con più sospetto e con paura.Del mondo ingannator quest'è la possa,che quel, ch'è più contrario al ver, succeda,per cagion torta, occoltamente mossa.La ragion vuol ch'ogni ben di voi creda,ma poi del verisimile l'effettofa che quel, ch'io credei prima, discreda.Comunque sia, egli m'è stato detto:se falso o ver, non importa ch'io dicas'io son risolta o se n'ho alcun sospetto:basta che mi tegniate per amica,come infatti vi son, sì che in giovarvinon sarei scarsa d'opra o di fatica.Ed or ch'io mi conduco a ragionarvidi quanto intenderete, a quel m'accosto,che d'é chi fa profession d'amarvi.Dunque a la mia presenza vi fu oppostoch'una donna innocente abbiate offesacon lingua acuta e con cor mal disposto;e che, moltiplicando ne l'offesa,quant'è colei più stata paziente,in voi l'ira si sia tanto più accesa,sì che, spinto da sdegna, impazientele man posto l'avreste adosso ancora,se nol vietava alcun, ch'era presente;ma voi la minacciaste forte allora,e giuraste voler tagliarle il viso,osservando del farlo il tempo e l'ora.Strano mi parve udir, d'un uom divisodai fecciosi costumi del vil volga,un cotal nuovo inaspettato aviso;e, mentre col pensiero a voi mi volgo,de la virtute amico e de l'onesto,la fede a quel, che mi fu detto, tolgo.Da l'altra parte so quanto è molestolo spron de l'ira, e come spesso ei menaa quel ch'è vergognoso ed inonesto:né sempre la ragion, che i sensi affrena,a stringer pronto in man si trova il morso,e 'l gran soverchio rompe ogni catena.Se per impeto d'ira il fallo è occorso,non durate nel mal, ma conoscetequanto fuor del dever siate trascorso.Gli occhi del vostro senno rivolgete,e quanto ingiuriar donne vi siadisdicevole, voi stesso vedete.Povero sesso, con fortuna riasempre prodotto, perch'ognor soggettoe senza libertà sempre si stia!Né però di noi fu certo il diffetto,che, se ben come l'uom non sem forzute,come l'uom mente avemo ed intelletto.Né in forza corporal sta la virtute,ma nel vigor de l'alma e de l'ingegno,da cui tutte le cose son sapute:e certa son che in ciò loco men degnonon han le donne, ma d'esser maggioridegli uomini dato hanno più d'un segno.Ma, se di voi si reputiam minori,fors'è perché in modestia ed in saperedi voi siamo più facili e migliori.E che sia 'l ver, voletelo vedere?che 'l più savio ancor sia più pazientepar ch'a la ragion quadri ed al devere:del pazzo è proprio l'esser insolente,ma quel sasso del pozzo il savio tragge,ch'altri a gettarlo fu vano e imprudente.E così noi, che siam di voi più sagge,per non contender vi portamo in spalla,com'anco chi ha buon piè porta chi cagge.Ma la copia degli uomini in ciò falla;e la donna, perché non segua il males'accomoda e sostien d'esser vassalla.Ché, se mostrar volesse quanto vale,in quanto a la ragion, de l'uom sariadi gran lunga maggiore, e non che eguale.Ma l'umana progenie mancheria,se la donna, ostinata in sul duello,foss'a l'uom, com'ei merta, acerba e ria.Per non guastar il mondo, ch'è sì belloper la specie di noi, la donna tace,e si sommette a l'uom tiranno e fello,che poi del regnar tanto si compiace,sì come fanno 'l più quei che non sanno(ché 'l mondan peso a chi più sa più spiace),che gli uomini perciò grand'onor fannoa le donne, perché cessero a lorol'imperio, e sempre a lor serbato l'hanno.Quinci sete, ricami, argento ed oro,gemme, porpora, e qual è di più pregiosi pon in adornarne alto tesoro;e, qual conviensi al nostro senno egregio,non sol son ricchi i nostri adornamentid'ogni pomposo e più prezzato fregio,ma gli uomini a noi vengon riverenti,e ne cedono 'l luogo in casa e in strada,in ciò non punto tardi o negligenti.Per questo anco è ch'a lor portar accadaberretta in testa, per trarla di noia qualunque dinanzi ei se ne vada;e, s'ancor son tra lor nimici poi,non lascian d'onorar, sempre ch'occorre,l'istesse donne de' nemici suoi.Da questo argumentando si discorrequanto l'offesa fatta al nostro sessola civiltà de l'uom gentile aborre.Né ch'io parli così crediate adessocon altro fin, che di mostrarvi quantol'offender donne sia peccato espresso.Informata ancor son da l'altro cantochi sia colei, di cui mi fu affermatoche ingiuriaste e minacciaste tanto:certo questo non merita il suo stato,e l'avervi 'l suo amore a tanti segniin tante occasioni manifestato.Cessin l'offese omai cessin gli sdegni,e tanto più che d'uom nato gentilequesti non sono portamenti degni;ma è profession d'uom basso e vilepugnar con chi non ha diffesa o schermo,se non di ciance e d'ingegno sottile.Perdonatemi in ciò, ch'io troppo affermole colpe vostre; poi ch'io non intendocomprender voi, più d'alcun altro, al fermo;ma quel ch'adesso vado discorrendoè quanto ad onta sua colui s'inganni,che vada con le donne contendendo;perch'al sicur di lui son tutti i danni:s'ei vince, mal; e peggio, se vien vinto:il rischio è certo e infiniti gli affanni.Col viso di rossore infuso e tinto,d'essere stato ogni uom d'onor s'accorgedi far ingiuria a donne unqua in procinto;e, quanto più 'l valor viril risorge,tanto più l'armi fuor da l'ira trattevergognando al suo loco altri riporge,e si pentisce de le cose fattein via che, se potesse frastornarle,le ridurria da l'esser primo intatte.Ma, poi che non può adietro ritornarle,con dolci modi a l'offese ripara,e, quanto può, si sforza d'annullarle:ritorna ancor l'amata al doppio caranel rifar de la pace; e, per turbarsi,più d'ogni parte l'alma si rischiara.Così nel ben vien a moltiplicarsi,e così certa son che voi farete,sì come suol da ogni par vostro farsi:e colei certo offesa o non avete,o, se vinto da sdegno trascorreste,l'error di voi non degno emenderete.Ed io di ciò vi prego in fin di queste.