Quid novi?

Il Dittamondo (2-12)


Il Dittamondodi Fazio degli Uberti LIBRO SECONDOCAPITOLO XIIQuando i miei danni e le cagion rimembro, veracemente dir non ti saprei quanto dolor sopra dolore assembro: onde, se pianger vedi gli occhi miei e hai rispetto a quel ch’a dir ti vegno, maravigliar per certo non ti dèi. Colui ch’or segue, che tenne il mio regno, fu ’l Magno Costantin, che, sendo infermo, a la sua lebbre non trovava ingegno, quando Silvestro, a Dio fedele e fermo, partito da Siratti e giunto a lui, sol col battesmo li tolse ogni vermo. E questa è la cagion, per che costui li diede il mio e tanto largo fue: benché contenta molto allor ne fui, ch’i’ pensava fra me: se costor due saran, com’esser denno, in un volere, temuta e onorata sarò piue. Per ver ti giuro ch’io credetti avere sí come il ciel, qua giú la luna e ’l sole e starmi in pace e con essi a godere. Ma colei che ci dá speranza e tole e che gira e governa la sua rota non come piace a noi, ma ch’altrui vole, la mia credenza ha fatto di ciò vôta, come ben può veder, a passo a passo, qual il mio tempo digradando nota. Ond’io accuso, quando ben compasso, il lor mal fare, per l’una cagione per la qual son caduta sí a basso. L’altra dir posso natural ragione, perché ogni cosa convien aver fine in questo mondo, che mortal si pone; la terza, le mie genti cittadine vivute senza fede e senza amore, 35 punte d’avare e invidiose spine. Piú potrei dir, ma se tu poni il core al ver di queste tre, vedrai per certo ch’esse radice son del mio dolore. E cosí t’ho mostrato e discoperto 40 quel di che mi pregasti tanto chiaro, che quasi il dèi, com’io, vedere aperto". Qui si taceo e mai non lacrimaro occhi di donna lacrime sí spesse, come i suoi quivi il viso bagnaro. 45 E quale è sí crudel che si potesse veggendo la pietá del suo gran pianto, tener che ’n su quel punto non piangesse? Non credo un serpe, c’ha il cuor cotanto acerbo; ond’io non fui allor sí duro, 50 ch’apresso lei non lacrimassi alquanto. Ma poi che ’l pianto suo amaro e scuro vidi allenar, parlai per questo modo, pieno d’angoscia, reverente e puro: "Io ho sí ben legato a nodo a nodo 55 ne la mia mente ciò che detto avete, ch’a pena una parola non ne schiodo. Vero è, madonna, ch’una nuova sete m’è giunta, poi che cominciaste a dire di quei signor, coi quai vivuta sete. 60 E questo è solo di volere udire de gli altri, i quali il vostro governaro, sí come den per ordine seguire. Onde con quanto amor può figliuol caro a la sua dolce madre mover preghi, 65 vi prego che per voi qui ne sia chiaro, a ciò che s’ello avièn che giá mai freghi la penna, per trattar di questa tema, che i nomi lor co’ nominati leghi. Ché noi veggiam che quando un’opra è scema, 70che sia quanto vuol bella, l’occhio corre pur al difetto che la mostra strema. Ma quando è sí compiuta, che apporre non vi si può, allora si vagheggia e qual cerca vederla e qual riporre". Ond’ella mi rispuose: "Ben che veggia ch’esser non può la cosa mai perfetta, che manchi o che sia piú ch’esser non deggia, io sono tanto dal dolor costretta, che gran pena mi fia giungere al segno, 80 dove a me pare che ’l tuo arco saetta: ché vo’ che sappi che quanto piú vegno, parlando, verso il tempo ch’or ne cinge, che piú con pianto mi cresce disdegno. Ma pure il prego tuo tanto mi stringe 85 e ’l dover, poi, per la ragion che hai mossa, che nel mio cor verace si dipinge, che presta son, secondo la mia possa, oltra seguire e ricordar coloro per li quali fui piú e men riscossa, 90 secondo che vertú regnava in loro.