Quid novi?

Rime inedite del 500 (X)


Tratte da: Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918)X[1 Di Borso Arienti] Sonetto del signor Borso Arienti Mentre noioso fren mi tien lontanoDall'alma luce, che il mio cor confortaNon può legarsi il pensier che mi portaDinanzi a lei ch'ogni mia sorte ha in mano. Onde vagheggio il bel sembiante umanoE con lei parlo, e ne la fronte smortaLe mostro quanto duol l'alma sopportaLungi, e le bacio indi la bella mano.Così diletto e gioia l'alma eliceDa sé medesma col pensier non lassoDi sempre figurarla a parte, a parte.E ben fora ella in ciò paga e felice,Se non ch'a me tornando, veggio, ahi lasso!Quant'aria dal bel viso mi diparte.[2 Di Borso Arienti]Di Borso ArientiAmor che fa la donna nostra, quellaCh'è mio sol, gloria tua, stupor del mondo,Quella che coi begli occhi e 'l bel crin biondoTi somministra face, arco e quadrella; Quella, ch'arde altrui 'l cor quando favellaCh'inalza l'onestà già posta al fondo;Quella a cui ogni stil fora secondoE sopra ogni altra è saggia, e sola, e bella? Ben vegg'io da lontan col mio pensieroChe sproni e giri i begli occhi e le chiomeOnd'io n'ho preso, e tu se' adorno e altero. Ma non ho poi spedite a volar comeTu l'ali, e per me cosa altra or non cheroPur che le piaccia ch'io l'adori e nome. [3 Di Borso Arienti]Di Borso Arienti Per fuggir queste larve e questi mostriChe mi stan sempre intorno e affliggon tantoChe ormai si sface il cor per doglia in piantoE non è chi pietà pur le dimostri. Per ritrovar chi de' superni chiostriMi conduca al sentier riposto e santoE mi consoli e doni aiuto intantoCh'il dorso io franga a questi draghi e mostri. Hor peregrino, e sconsolato, e grave;Né fatica m'affanna, o mi sgomentaPer selve ombrose e solitari poggi. All'ombra, al sole, in ogni parte là veO il raggio miri, o la sua fiamma sentaCerco il mio sole, e spero vederlo oggi.[4 Di Borso Arienti] Di Borso Arienti Già non potete voi, donna, sanarmePerché mercede al cor finta si porga,Che dalla mano ond'è che passi e sorgaQuanto in suo regno Amor di ben può darme. Quella m'avventò al cor foco e per armeUsola il crudo, indi il mio ben risorga,O cada in tutto a pena, e duol mi scorgaCelata, o aperta pur cerchi quetarme. Però ch'è ben ragion, né posso altro io,Ch'indi s'aquieti il core, onde guerra ebbeOgn'altra medicina, e poca, e tarda. Ardi' fu il colpo suo sì dolce e rioChe ben che pera il cor, nulla gl'increbbeE brama ond'ognor più s'impiaghi et arda. [5 Di Borso Arienti] Di Borso Arienti Ti sei pur dunque tant'oltre avventataCon le cerasti tue, furia d'Averno,Che la mia primavera hai volta in vernoE m'hai la donna mia, lasso, rubata. Sfinge crudel, idra a latrar dannataCh'hai gli altrui pianti a tuo diletto, a scherno;Drago che fischi, e spiri, e vomi eternoNebbia e bile a turbar gli amanti nata. Per te più che aspe è sorda, e fugge, e ascondeQuella i begli occhi a cui fui car' amante,Or vile, ond'io non spero aita altronde. Se non se', morte, altrui buia in sembiante,A me non già mi rape e mi secondeE del suo dolce oblìo m'asperga e ammante. [6 Di Borso Arienti] Di Borso Arienti Luce degli occhi miei, pura e celeste,Che quasi novo sol, novo anno apporti,Ond'hanno e i giorni chiari, e i suoi confortiPur le mie notti tenebrose e meste. Cessino hormai le nubi e le tempesteTante, e lo splendor torni e i color smortiQual di fior già dal verno secchi e mortiOr verde poggio si ricopre e veste. Così il ciel serbi quel soave raggioDel sole, ond'io son vivo, e tu sì bellaEt egli ha in noi sembianza eterno e aperto. Ogni amante, ogni stil ti renda omaggioT'adori, e quel che in altra orgoglio appellaChiami poi ch'è divinitate e merto. [7 Di Borso Arienti] Di Borso Arienti Già radunava l'ultime tremantiStelle l'aurora con le mani eburneE lieve sonno alfin dopo gran piantiChiudeami gli occhi, e l'ore aspre e notturne. Quando deposti i suoi crudi sembiantiCon le luci alle mie notti dïurneM'apparve il mio bel sol: e perché tantiSospir, disse, Versar si dogliose urne? Poscia coi bei rubin bacio gentile,Di castitate e di pietate adornoM'impresse, ond'anco refrigerio sento. E col crespo oro fin nobil monileMi cinse al collo, ch'anco porto intornoE partendosi lui rest'io contento. [8 Di Borso Arienti] Di Borso Arienti Ragion è ben ch'io arda e che non troveRefrigerio al dolor che mi disossaDall'alma luce mia lungi, che mossaDal vel rugiada nel mio foco piove. Tu che non vuoi, signor, ch'io volga altroveL'afflitto cor, né credo anco ch'io possa;Dammi, ond'io possa quinci e rotta e scossaLa catena in ch'io son mirar' le nove Sue forme e il vivo lume, e il dolce guardoCh'è scorta, e sole a le mie notti e al ghiaccio,Onde senza di lei vo cieco e carco. Fammi contro il rio fren lieve e gagliardoSe per tuo onor, se per mio ben non taccioE la strada mi sgombra e mostra il varco. [9 Di Borso Arienti] Di Borso Arienti Tra questi ombrosi pini, ove ripostaSpelonca fanno con trecciati ramiVerdi ginepri, e par che l'aura chiamiIl pellegrino alla fresch'ombra ascosta. Colei che fu dal ciel scelta e propostaPerch'io l'adori sempre, e tema e brami,Mi torna innanzi, e alla sinistra costaM'impiaga e trammi il cor co' suoi dolci ami. Ed io la prego, e s'io mi lagno e gridoNon val che ne la man tinte di sangueSen' porta il cor, che l'è sì pronto e fido. E s'indi surgo e pur rinforzo il gridoL'alma in sé stessa torna e a doppio langueScorgendo tutto del suo core il nido. [10 Di Borso Arienti] Di Borso Arienti Caro mio sguardo, or che volèi tu dirmeMentre così pietoso e così mestoTra il nero manto e il puro avorio destoVeniste il cor di nova piaga aprirme. Sai pur che l'ardor mio per più ferirmeNon cresce oltre lo stral primo et infestoEt or non sol non ho crudo e molesto;Ma non può fuor che lui dolce venirme. In tanto vostro duol dolermi anch'ioQual' non vil servo e vero amante devePosto, e ben sallo Amor, donna, s'io ploro. Ché s'io potessi il mio caldo desioGiungere a riva, tornerebbe in breveL'ostro a la guancia, e al crin l'ambra e il dolce oro. [11 Di Borso Arienti] Di Borso Arienti All'apparir del volto, onde da priaTaciti entraro al cor, che langue e geme,Dolor, timor, pietà, sdegno, odio e spemeDa cui io creda mai sicur non fia. L'alma in membrar di lui sé stessa oblia,Spera, arde, osa, chier' pace, e gela, e teme,E tante ella ha varietati insiemeChe non è vita più penosa e ria. Ahi! crudo Amor, arse il cor dunque et arseDolce e lieto finor perch'abbia in peneTra gelo e foco a incenerir eterno? Oh! brevi gioie, e fuggitive, e sparse,Chi l'aggiunge, o l'aduna, o le ritiene?Quanto instabile è, Amor, il tuo governo! [12 Di Borso Arienti] Di Borso Arienti Lungi dal mio bel sol questa contrada,Che m'era già lucente, atra mi sembra,E notte, e morte, e inferno mi rimembraTutto che più m'affligge e meno aggrada. Lasso! che far non so, né dove io vada,Che intoppa sempre queste afflitte membraE sento ove il pie' volgo un che mi smembraTal ch'alfin converrà ch'io pera e cada. Torna dunque, o mio sol, torna, e m'adduciQuel bel sembiante onde i miei spirti han vitaE fa ch'io veggia le sue chiare luci. Al proprio albergo omai l'alma smarritaCol vicin raggio tuo dolce riduciCh'altronde altra, e tu 'l sai, non haggio vita. [13 Di Borso Arienti] Di Borso Arienti Da mille pianti e mille prieghi vinta,Pur volle alfin l'innamorata CloriIn seno a un prato d'amorosi fioriDarsi in poter del fortunato Aminta. Poi d'un color di rose asperta e tinta,Sdegnosetta e tremante apparve fuoriAllor che vide i suoi perfetti onoriQuasi novella vite ad olmo avvinta. Risero l'erbe a quel felice incarco,E parea che d'intorno invido il ventoPortasse irato quei focosi baci. E quando Amor, già stanco, allentò l'arcoUn augellin a l'alte gioie intentoDisse al pastor cantando: or godi, e taci. [14 Di Borso Arienti] Di Borso Arienti Basciami, ed ogni bacio duri quantoDura il desìo che di basciarti porto;Così basciami ancor, basciami tantoChe 'l desìo del basciar resti a mi morto. E se questo basciar ti sembra cortoFa ch'ogni bacio sia lungo altrettanto,Indi il raddoppia, e come il vedi scortoPresso il suo fin, destane un altro intanto. Non abbia il basciar nostro ordine, o modo;Non abbia fin; moriam, ben mio, basciando,Che sol quand'io ti bascio ho pace e gioia. Ché gioia ha Amor senza basciarti? E quandoSenza bacio è diletto? In altro modoNon so come vivendo uom dolce moia. [15 Di Borso Arienti] Di Borso Arienti Musa, che ascosa e solitaria viviTra questi verdi piaggie e verdi boschi,Onde i miei dì di morte pieni e foschiMolti sovente ebbi sereni e vivi. Musa, che meco un tempo i dì partiviGli aspri assenzi temprando e i crudi boschi,Ch'Amor, fortuna e ingegni sordi e loschiPoser tra quei piacer che tu nodrivi. Deh! poiché già gran tempo iniquo fatoNe tolse i nostri allor dolci diporti,Musa, omai torna a questo sconsolato. Homai col tuo son dolce anco i confortiMi riconduci, Musa, e 'l primo stato,Musa, che pace sempre e gioia porti. Tratte da: Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918)