Quid novi?

Il Dittamondo (2-13)


Il Dittamondodi Fazio degli UbertiLIBRO SECONDOCAPITOLO XIIICome si dice a questo tempo d’ora mille trecento cinquantuno e sette, trecento venti tre correva allora. Qui passo a dir le discordie e le sette, di Massenzo, lo qual giá mai non fina 5 di darmi angoscia in fin che meco stette. Qui passo a dirti la mortal ruina che di qua fece di ciascun cristiano e oltra mare ancor di Caterina. Tanto fu aspro e di costumi strano 10 e nemico de gli uomini e di Dio, che certo piú non fu Diocleziano. Ma ora torno a dirti sí com’io abbandonata fui da Costantino, che possedea allora me e ’l mio. 15 Nel mar si mise e tal fu il mio destino, che di Bisanzo un’altra Roma fece e quivi visse e finio il suo cammino. E cosí cadde fra le genti grece l’aquila mia, ch’i’ m’avea notricata 20 mille anni e piú cinquantacinque e diece. Cosí mi vidi sola, abbandonata, ben ch’allora mi piacque; e cosí fui, non cognoscendo il mal, del me’ pelata. Ne l’acqua de la Fé bis fu costui 25 lavato; e, se nel vero non m’annebbio, trent’anni e piú si tenne il mio per lui. Costui licenza di venire a trebbio a’ cristian diede e di far concistoro; e qui fiorio Nicolao ed Eusebbio. 30 Un tempio fece a Pier di gran lavoro ed un altro a Lorenzo tanto vago, ch’assai vi spese d’ariento e d’oro. Apparve allora nel mio grembo un drago, ch’era sí velenoso e tanto crudo, 35 che uccideva altrui sol con lo smago. Silvestro senza lancia e senza scudo, solo col segno de la croce, allora il prese e d’ogni possa il fece ignudo. Dopo costui, il mio rimase ancora 40 a tre suoi figli, ma due funno tali, che poco in signoria ciascun dimora. Qui lasso a dir le gran discordie e i mali ch’ebbon fra loro e quanto funno ingrati in verso me e contro altrui mortali. 45 Per costor vidi i Cristian tormentati ispesse volte e morti a gran doloree gli Ariani esser su sormontati. Ario fu il primo, onde mosse l’errore per cui giá Cristo appario a Pietro coi drappi rotti e senza alcun colore. Cosí, come odi, ora tornava indietro la nostra Fede e ora innanzi giva, sí come quella ch’era ancor di vetro. Tu vedi bene, per venire a riva 55 del mio parlar, come in breve ti conto ciò che io allora vedeva e udiva. In questo tempo, che ora t’affronto, si portâr l’ossa di Luca e d’Andrea dov’è la mia soror sopra Ellesponto. 60 In questo tempo Donato vivea, che de le sette, in sí breve volume, l’uscio ci aperse a la prima scalea. Questi tre figli, de’ quai ti fo lume, Costantino, Costanzio e Costante, 65 nomati fun da le paterne piume. Venti quattro anni in questo bistante tennon lo ’mperio e quel che men mi spiacque fu Costantino, che piú visse avante. Seguio apresso Giulian, che nacque 70 d’un zio di loro, a governare il mio, il qual trentadue mesi su vi giacque. E di costui questa novella udio: che poi che da Sapor fu vinto e morto, che ’l cuoio dipinse per gran sdegno e rio. 75 Sagace fu e in arme assai accorto; ma troppo fe’, per quel che si ragiona, sopra la nostra Fé gravezza e torto. Gioviano, apresso, tenne la corona da sette mesi e, se ’l tempo fu poco, 80 nondimen lodo assai la sua persona. Cristiano fu e fuggí come il foco ogni scommettitore, ogni discordia, e pace disiava in ciascun loco. Seguita ora, ne le mie esordia, 85 Valentino, che, quanto a lui bisogna, ben seppe menar guerra e far concordia. Certo io credo ben che quando il sogna, per la paura, sí forte il percosse, che tutto trema ancor quel di Sansogna. 90 E mostrato averebbe le sue posse maggiori assai, in Pannonia dico, se la morte, che l’assalio, non fosse. Quattro e sette anni mi fu buono amico.